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Il segno di un nuovo inizio
La preghiera per lÂunità dei cristiani nellÂanno del Grande Giubileo
Piero Coda
ÂCredere in Cristo significa volere lÂunitàÂ. Sono parole di Giovanni Paolo II nell Ut unum sint, lÂenciclica sullÂecumenismo che il Santo Padre, ponendosi dinnanzi agli occhi il grande appuntamento del Giubileo, ha voluto indirizzare ai cristiani di tutte le Chiese nel 1995. Gesù Cristo, infatti, è venuto nel mondo per Âraccogliere in unità i figli di Dio che erano dispersi (cf Gv 11,52). E per questo, in definitiva, che credere in Lui significa volere lÂunità. E ciò evidentemente vale innanzi tutto per i cristiani. Ma la storia della Chiesa - lo sappiamo - ha sperimentato più volte la dolorosa divisione della comunità dei credenti. Senza che ciò compromettesse, è vero, quella radice dÂunità che è la comune fede in Cristo sigillata dal battesimo. Ma la pienezza della comunione è altra cosa, come stanno a testimoniare le incomprensioni e i conflitti che hanno segnato il bimillenario cammino della Chiesa. Appena varcata la soglia del terzo millennio, dobbiamo dunque riconoscere con gioia e gratitudine un evento di straordinaria portata ecclesiale in quel movimento che, a partire dal XIX secolo, ha cominciato a interessare i cristiani di tutte le denominazioni: si tratta del movimento ecumenico, lÂirreversibile mettersi in marcia cioè, da parte dei cristiani, verso la piena comunione. Segno evidente ed efficace dellÂazione dello Spirito Santo che, agendo nellÂintimo dei cuori, li apre a Dio in Cristo e così li apre ai fratelli e alle sorelle. LÂunità in Cristo è dono di Dio. Non è per niente che Gesù, nel momento supremo dellÂultima cena, prega il Padre proprio per lÂunità: ÂChe tutti siano una cosa sola, perché il mondo creda (Gv 17,21). La settimana di preghiera per lÂunità dei cristiani ha dunque questo grande e insostituibile significato: raccogliere i credenti in Cristo nella comune invocazione a Dio del dono dellÂunità. Una preghiera che, per essere autentica, esige la conversione del cuore, il presentarsi disarmati di fronte a Dio per essere pronti a percorrere con fiducia e decisione i sentieri che Egli stesso vuol tracciare davanti a noi verso la casa dellÂunità. Preghiera e conversione del cuore vanno di pari passo. Esse, come ha affermato il Decreto del Concilio Vaticano II sullÂecumenismo, Âsi devono ritenere come lÂanima di tutto il movimento ecumenicoÂ. Questo tradizionale momento di preghiera, oramai condiviso da tutti i cristiani e sempre più presente nella vita delle nostre comunità ecclesiali, ha più di un secolo di vita, e ha accompagnato come un filo dÂoro lo snodarsi del cammino ecumenico e le tappe, prima impensabili, che ne hanno tracciato il progresso. Se ne comincia a parlare già nellÂ800, tanto che Papa Leone XIII, nel 1894, incoraggia la pratica dellÂottavario di preghiere per lÂunità nel contesto della celebrazione della Pentecoste. Nel 1907 lÂiniziativa conosce nuovo impulso grazie allÂimpegno del cattolico Paul Wattson e dell anglicano Spencer Jones, che ne stabiliscono la data tra le due feste della cattedra di San Pietro - che si celebrava allora il 18 gennaio - e la conversione di San Paolo, che si festeggiava e si festeggia il 25 gennaio. Finchè lÂabate Paul Couturier, nel 1935, la trasforma in Âsettimana universale di preghiera per lÂunità dei cristianiÂ, con lÂinvito appunto a pregare insieme perché si realizzi ÂlÂunità che Cristo vuole e con i mezzi che Egli vuoleÂ. Dopo il Concilio Vaticano II che, tra i principali obiettivi annunciati da Giovanni XXIII, mette in primo piano lÂistanza ecumenica, nel 1968 per la prima volta la Âpreghiera per lÂunità viene celebrata in base al testo elaborato in collaborazione dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell Unità dei cristiani e dalla Commissione ÂFede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Così sino ad oggi, con un coinvolgimento sempre maggiore. Perché la divisione tra i cristiani con sempre maggiore consapevolezza è avvertita come una ferita che occorre senzÂindugio rimarginare, come una vera e propria controtestimonianza, come un fatto intollerabile: proprio Âperché credere in Cristo significa volere lÂunitàÂ. Il Âlibro dellÂecumenismo - come lÂha definito Giovanni Paolo II - ha intanto registrato sulle sue pagine grandi eventi e importanti e concreti passi in avanti. Così che il Papa, nella Tertio millennio adveniente, ha voluto sottolineare a più riprese lÂessenziale dimensione ecumenica del Giubileo. Nulla di più opportuno ed efficace dunque - ora che la porta santa del Giubileo è stata spalancata ed attraversata - che vivere con la massima intensità di fede e di amore la presente settimana. Non sono mancati, anche recentemente, significativi segni di speranza, come la firma ad Augsburg, in Germania, da parte della Chiesa cattolica e della Federazione luterana mondiale, della Dichiarazione congiunta sul tema centrale della giustificazione. E come la commovente visita del Papa, prima in un Paese in cui la maggioranza appartiene alla Chiesa ortodossa, in Romania. Lì, durante la solenne concelebrazione allÂaperto presieduta da Giovanni Paolo II, presente il Patriarca ortodosso Theoctist, a un certo punto qualcuno tra la folla ha cominciato a scandire la parola ÂunitàÂ, che, come un fiume in piena, mano mano ha coinvolto tutta lÂimmensa assemblea in questa sola, corale invocazione. NellÂanno del Giubileo, la settimana di preghiera per lÂunità non può essere soltanto un episodio tra i tanti. Ma il segno di un nuovo inizio. Non solo perché la preghiera deve farsi più ardente, non solo perché la volontà di conversione - da parte di tutti - deve farsi più convinta e concreta, ma soprattutto perché il credere in Cristo e il volere con tutte le forze lÂunità debbono diventare inscindibili nella coscienza cristiana. Col Giubileo lÂecumenismo è chiamato a diventare un fatto di popolo. E al dialogo degli esperti e alle indicazioni autorevoli dei Pastori è chiamato ad affiancarsi il dialogo della vita, fatto di gesti quotidiani. Nei primi secoli del cristianesimo, Tertulliano affermava lapidario che Âil sangue dei martiri è seme di nuovi cristianiÂ. Il pastore valdese Paolo Ricca è arrivato a dire che oggi Âil sangue dei martiri è seme di unitàÂ. Il nostro secolo ne ha conosciuti molti. Di tutte le Chiese. In questa settimana non possiamo non ricordare, in particolare, Suor Maria Gabriella Sagheddu: che non è morta di morte violenta, ma per incurabile malattia dopo aver offerto la sua vita per lÂunità, nello spirito che aveva con prontezza assimilato nel corso dellÂottavario di preghiera. Aveva compreso che credere in Cristo significa volere lÂunità. Morì il 23 aprile del 1939. E il 25 gennaio del 1983, a conclusione della settimana di preghiera per lÂunità dei cristiani, Giovanni Paolo II lÂha proclamata beata. Da allora lÂumile suora della trappa di Grottaferrata, è chiamata Maria Gabriella dellÂUnità. Se credere in Cristo significa volere lÂunità, volere lÂunità significa donare la propria vita. Come Gesù, che ha vissuto lui per primo ciò che ha detto: Ânessuno ha amore più grande di chi dona la vita per i propri amiciÂ. E non cÂè da pensare soltanto a gesti estremi ed eroici, ma a quel morire a sé che è sempre necessario per far spazio allÂaltro, per conoscerlo ed amarlo, ma anche per farsi conoscere ed amare, per camminare insieme costi quel che costi, nella fedeltà alla verità e al comandamento nuovo della carità reciproca. E per pregare di saper accogliere - quando e come Dio vorrà - il dono dellÂunità. |