CELEBRAZIONE DELLA PASSIONE DEL SIGNORE OMELIA DI PADRE RANIERO CANTALAMESSA, O.F.M. Cap. Basilica di San Pietro ÂLa tunica era senza cuciture ÂI soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d'un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca. Così si adempiva la Scrittura: Si sono divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte (Gv 19, 23-24). Ci si è chiesti sempre che cosa abbia voluto dire lÂevangelista con lÂimportanza che da a questo particolare della Passione. Una spiegazione recente è che la tunica ricorda il paramento del sommo sacerdote e che Giovanni, perciò, abbia voluto affermare che Gesú morì non soltanto come re, ma anche come sacerdote. Della tunica del sommo sacerdote non si dice, però, nella Bibbia, che doveva essere senza cuciture (cf. Es 28, 4; Lev 16,4); per questo i più autorevoli esegeti preferiscono attenersi alla spiegazione tradizionale secondo cui la tunica inconsutile simboleggia lÂunità della Chiesa (1). Qualunque sia la spiegazione che si da del testo, una cosa è certa: lÂunità dei discepoli e, attraverso di essi, di tutto il genere umano, è, per Giovanni, lo scopo per cui Cristo muore: ÂGesù doveva morire per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi (Gv 11, 51-52). NellÂultima cena lui stesso aveva detto: ÂNon prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato (Gv 17, 20-21). La lieta notizia da proclamare il Venerdì Santo è che lÂunità, prima che un traguardo da raggiungere, è un dono da accogliere. Che la tunica fosse tessuta ÂdallÂalto in bassoÂ, scrive san Cipriano, significa che ÂlÂunità recata da Cristo proviene dallÂalto, dal Padre celeste, e non può perciò essere scissa da chi la riceve, ma deve essere accolta integralmente (2). I soldati fecero in quattro pezzi Âla vesteÂ, o Âil mantello (ta imatia), cioè lÂindumento esteriore di Gesú, non la tunica, il chiton, che era lÂindumento intimo, portato a diretto contatto con il corpo. Un simbolo anche questo. Noi uomini possiamo dividere la Chiesa nel suo elemento umano e visibile, ma non la sua unità profonda che si identifica con lo Spirito Santo. La tunica di Cristo non è stata e non potrà mai essere divisa. È la fede che professiamo con le parole: ÂCredo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolicaÂ. Ma se lÂunità deve servire da segno Âperché il mondo credaÂ, essa deve essere una unità anche visibile, comunitaria. È questa unità che è andata perduta e che dobbiamo ritrovare. Essa è ben più che dei rapporti di buon vicinato; è la stessa unità mistica interiore, in quanto accolta, vissuta e manifestata, di fatto, dai credenti: ÂUn solo corpo, un solo Spirito, una sola speranza, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio Padre di tutti (Ef 4, 4-6). Una unità che non è compromessa dalla pluriformità, ma anzi si esprime in essa. Dopo la Pasqua gli apostoli chiesero a Gesú: ÂSignore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?Â. Oggi rivolgiamo spesso a Dio la stessa domanda: È questo il tempo in cui ricostituirai lÂunità visibile della tua Chiesa? Anche la risposta è la stessa di allora: ÂNon spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni (At 1, 6-8). Lo ricordava il Santo Padre nellÂomelia tenuta, il 25 Gennaio scorso, nella Basilica di san Paolo fuori le Mura, a conclusione della settimana per lÂunità dei cristiani: ÂLÂunità con Dio e con i nostri fratelli e sorelle, diceva, è un dono che viene dallÂAlto, che scaturisce dalla comunione dÂamore tra Padre, Figlio e Spirito Santo e che in essa si accresce e si perfeziona. Non è in nostro potere decidere quando o come questa unità si realizzerà pienamente. Solo Dio potrà farlo! Come san Paolo, anche noi riponiamo la nostra speranza e fiducia nella grazia di Dio che è con noi". Anche oggi, sarà lo Spirito Santo, se ci lasciamo guidare, a condurci allÂunità. Come fece lo Spirito Santo a realizzare la prima fondamentale unità della Chiesa: quella tra giudei e pagani? Venne su Cornelio e la sua casa nello stesso modo con cui a Pentecoste era venuto sugli apostoli. Sicché a Pietro non rimase che tirare la conclusione: "Se dunque Dio ha dato a loro lo stesso dono che a noi per aver creduto nel Signore Gesù Cristo, chi ero io per porre impedimento a Dio?" (At 11,17). Ora, da un secolo a questa parte, noi abbiamo visto ripetersi sotto i nostri occhi questo stesso prodigio, su scala mondiale. Dio ha effuso il suo Spirito Santo, in modo nuovo e inconsueto, su milioni di credenti, appartenenti a quasi tutte le denominazioni cristiane e, affinché non ci fossero dubbi sulle sue intenzioni, lo ha effuso con le stesse identiche manifestazioni. Non è questo un segno che lo Spirito ci spinge a riconoscerci a vicenda come discepoli di Cristo e a tendere insieme allÂunità? Questa unità spirituale e carismatica da sola, è vero, non basta. Lo vediamo già allÂinizio della Chiesa. L'unità tra giudei e gentili è appena fatta che è già minacciata dallo scisma. Nel cosiddetto concilio di Gerusalemme vi fu una "lunga discussione" e alla fine fu raggiunto un accordo, annunciato alle Chiesa con la formula: "Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi..."(Atti 15, 28). Lo Spirito Santo opera, dunque, anche attraverso un'altra via che è il confronto paziente, il dialogo e perfino il compromesso tra le parti, quando non è in gioco lÂessenziale della fede. Opera attraverso le "strutture" umane e i "ministeri" posti in atto da Gesú, soprattutto il ministero apostolico e petrino. È quello che chiamiamo oggi ecumenismo dottrinale e istituzionale. Anche questo ecumenismo dottrinale, o di vertice, non è però sufficiente e non avanza, se non è accompagnato da un ecumenismo spirituale, di base. Ce lo ripetono con sempre maggiore insistenza proprio i massimi promotori dellÂecumenismo istituzionale. Nel centenario dellÂistituzione della settimana di preghiera per lÂunità dei cristiani (1908-2008), ai piedi della croce, vogliamo meditare su questo ecumenismo spirituale: in che consiste e come possiamo avanzare in esso. LÂecumenismo spirituale nasce dal pentimento e dal perdono e si alimenta con la preghiera. Nel 1977 partecipai a un congresso ecumenico carismatico a Kansas City, nel Missouri. CÂerano quarantamila presenti, metà cattolici (tra cui il cardinal Suenens) e metà di altre denominazioni cristiane. Una sera, al microfono, uno degli animatori cominciò a parlare in un modo, per me, a quel tempo, strano: ÂVoi sacerdoti e pastori, piangete e fate lamento, perché il corpo del mio Figlio è spezzato Voi laici, uomini e donne, piangete e fare lamento perché il corpo del mio Figlio è spezzatoÂ. Cominciai a vedere le persone cadere una dopo lÂaltra in ginocchio intorno a me e molte di esse singhiozzare di pentimento per le divisioni nel corpo di Cristo. E tutto questo mentre una scritta campeggiava da una parte allÂaltra dello stadio: ÂJesus is Lord, Gesú è il SignoreÂ. Io ero lì come un osservatore ancora assai critico e distaccato, ma ricordo che pensai tra me: Se un giorno tutti i credenti saranno riuniti a formare una sola Chiesa, sarà così: mentre saremo tutti in ginocchio, con il cuore contrito e umiliato, sotto la grande signoria di Cristo. Se lÂunità dei discepoli deve essere un riflesso dellÂunità tra il Padre e il Figlio, essa deve essere anzitutto una unità dÂamore, perché tale è lÂunità che regna nella Trinità. La Scrittura ci esorta a "fare la verità nella carità" (veritatem facientes in caritate) (Ef 4, 15). E sant'Agostino afferma che "non si entra nella verità se non attraverso la carità": non intratur in veritatem nisi per caritatem (3). La cosa straordinaria, circa questa via allÂunità basata sullÂamore, è che essa è già ora spalancata davanti a noi. Non possiamo "bruciare le tappe" circa la dottrina, perché le differenze ci sono e vanno risolte con pazienza nelle sedi appropriate. Possiamo invece bruciare le tappe nella carità, ed essere uniti, fin d'ora. Il vero, sicuro segno della venuta dello Spirito non è, scrive santÂAgostino, il parlare in lingue, ma è l'amore per l'unità: ÂSappiate che avete lo Spirito Santo quando acconsentite a che il vostro cuore aderisca allÂunità attraverso una sincera carità (4). Ripensiamo all'inno alla carità di san Paolo. Ogni sua frase acquista un significato attuale e nuovo, se applicata all'amore tra membri delle diverse Chiese cristiane, nei rapporti ecumenici: "La carità è pazienteÂ
. Questa settimana abbiamo accompagnato alla sua dimora eterna una donna, Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei focolari. Ella è stata una pioniera e un modello di questo ecumenismo spirituale dellÂamore. Ha dimostrato che la ricerca dellÂunità tra i cristiani non porta alla chiusura verso il resto del mondo; è anzi il primo passo e la condizione per un dialogo più vasto con i credenti di altre religioni e con tutti gli uomini che hanno a cuore le sorti dellÂumanità e della pace. ÂAmarsi, è stato detto, non significa guardarsi lÂun lÂaltro, ma guardare insieme nella stessa direzioneÂ. Anche tra cristiani, amarsi significa guardare insieme nella stessa direzione che è Cristo. ÂEgli è la nostra pace (Ef 2,14). Se ci convertiremo a Cristo e andremo insieme verso di lui, noi cristiani ci avvicineremo anche tra di noi, fino a essere, come lui ha chiesto, Âuna cosa sola con lui e con il PadreÂ. Succede come per i raggi di una ruota. Essi partono da punti distanti della circonferenza, ma a mano a mano che si avvicinano al centro, si avvicinano anche tra di loro, fino a formare un punto solo. Ciò che potrà riunire i cristiani divisi sarà solo il diffondersi tra di essi, per opera dello Spirito Santo, di unÂondata nuova di amore per Cristo. È ciò che sta avvenendo nella cristianità e che ci riempie di stupore e di speranza. ÂLÂamore di Cristo ci spinge, al pensiero che uno è molto per tutti (2 Cor 5,14). Il fratello di unÂaltra Chiesa Âanzi, ogni essere umano - è Âuno per cui Cristo è morto (Rom 14,16), come è morto per me. Un motivo deve soprattutto spingerci avanti in questo cammino. La posta in gioco allÂinizio del terzo millennio, non è più la stessa che allÂinizio del secondo millennio, quando si produsse la separazione tra oriente e occidente; neppure è la stessa che a metà dello stesso millennio, quando si produsse la separazione tra cattolici e protestanti. Possiamo dire che la maniera esatta di procedere dello Spirito Santo dal Padre o il modo in cui avviene la giustificazione dellÂempio siano i problemi che appassionano gli uomini di oggi e con cui sta o cade la fede cristiana? Il mondo è andato avanti e noi e siamo rimasti inchiodati a problemi e formule di cui il mondo non conosce più neppure il significato. Nelle battaglie medievali cÂera un momento in cui, superati i fanti, gli arcieri e la cavalleria, la mischia si concentrava intorno al re. Lì si decideva lÂesito finale dello scontro. Anche per noi la battaglia oggi è intorno al re. Esistono edifici o strutture metalliche così fatti che se si tocca un certo punto nevralgico, o si leva una certa pietra, tutto crolla. Nell'edificio della fede cristiana questa pietra angolare è la divinità di Cristo. Tolta questa, tutto si sfalda e, prima di ogni altra cosa, la fede nella Trinità. Da ciò si vede come ci siano oggi sono due ecumenismi possibili: un ecumenismo della fede e un ecumenismo dell'incredulità; uno che riunisce tutti quelli che credono che Gesù è il Figlio di Dio, che Dio è Padre Figlio e Spirito Santo, e che Cristo è morto per salvare tutti gli uomini, e uno che riunisce tutti quelli che, in ossequio al simbolo di Nicea, continuano a proclamare queste formule, ma svuotandole del loro vero contenuto. Un ecumenismo in cui, al limite, tutti credono le stesse cose, perché nessuno crede più a niente, nel senso che la parola Âcredere ha nel Nuovo Testamento. ÂChi è che vince il mondo, scrive Giovanni nella Prima Lettera, se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?Â, (1 Gv 5,5). Stando a questo criterio, la fondamentale distinzione tra i cristiani non è tra cattolici, ortodossi e protestanti, ma tra coloro che credono che Cristo è il Figlio di Dio e coloro che non lo credono. ÂL'anno secondo del re Dario, il primo giorno del sesto mese, questa parola del Signore fu rivolta per mezzo del profeta Aggeo a Zorobabele figlio di Sealtièl, governatore della Giudea, e a Giosuè figlio di Iozedàk, sommo sacerdote : Vi sembra questo il tempo di abitare tranquilli nelle vostre case ben coperte, mentre la mia casa è ancora in rovina? (Ag 1, 1-4). Questa parola del profeta Aggeo è rivolta oggi a noi. È questo il tempo di continuare a preoccuparci solo di quello che riguarda il nostro ordine religioso, il nostro movimento, o la nostra Chiesa? Non sarà proprio questa la ragione per cui anche noi Âseminiamo molto, ma raccogliamo poco (Ag 1, 6)? Predichiamo e ci diamo da fare in tutti i modi, ma il mondo si allontana, anziché convertirsi a Cristo. Il popolo dÂIsraele ascoltò il richiamo del profeta; smisero di abbellire ognuno la propria casa per ricostruire insieme il tempio di Dio. Dio allora inviò di nuovo il suo profeta con un messaggio di consolazione e di incoraggiamento che è anche per noi: ÂOra, coraggio, Zorobabele - oracolo del Signore - coraggio, Giosuè figlio di Iozedàk, sommo sacerdote; coraggio, popolo tutto del paese, dice il Signore, e al lavoro, perché io sono con voi (Ag 2,4). Coraggio, voi tutti che avete a cuore la causa dellÂunità dei cristiani, e al lavoro, perché io sono con voi, dice il Signore! Note (1) Cf. R. E. Brown, The Death of the Messiah, vol. 2, Doubleday, New York 1994, pp. 955-958.
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