Che significa riforma nella Chiesa? di Gerhard Card. Müller
Secondo la definizione fornita dallo storico della Chiesa Diarmaid MacCulloch, professore a Oxford, la cosiddetta «Riforma protestante», che ha avuto come esito il frazionamento religioso e politico della cristianità occidentale, coincide con l’epoca compresa tra il 1490 e il 1700.[1] A seconda dei rispettivi punti di vista, le valutazioni di questo evento storico possono essere molto differenti, se non addirittura contrastanti. Alcuni, prescindendo dal contenuto della fede cristiana, leggono la Riforma protestante, assieme alla riforma cattolica e alla controriforma, come un processo di pluralizzazione avvenuto a cavallo tra Medioevo ed Età moderna. Per i sostenitori di una lineare fede nel progresso invece, la Riforma protestante storica diventa antesignana e ideatrice di un progresso conclusosi con l’Illuminismo e l’Età moderna. Ma che cos’è l’Età moderna: l’uomo senza Dio o l’uomo in un rapporto paritario con Dio? Allora la Riforma protestante, alla fine, prescindendo dalla sua originaria intenzione religiosa, condurrebbe a una visione secolare del mondo, in cui la scelta religiosa e in particolare quella cristiana, è solo una tra le tante.[2] La Riforma protestante sarebbe dunque soltanto il primo passo verso unʼauto-relativizzazione della verità e della salvezza, che avrebbe fatto il suo ingresso definitivo nel mondo con l’autorivelazione escatologica di Dio. L’intento dei riformatori però, non era spianare la strada a un processo che vuole scristianizzare la società e privare della religione la comunità cristiana. Loro mirarono a ciò che ritenevano un rinnovamento della Chiesa. È vero che così entrarono in contrasto con la visione cattolica del Vangelo e della Chiesa, ma non formarono alcuna alleanza con la cultura secolare inaugurata dal Rinascimento, come invece sostiene la lettura dellʼevento storico della Riforma protestante e della rivoluzione contro la Chiesa cattolica, fornita dal movimento tedesco del cosiddetto “Kulturprotestantismus”. Risultano perciò de facto inconsistenti tutte le vecchie descrizioni contraddittorie e polemiche, nate da una lettura superficiale della giustizia prodotta dalla fede o dalle opere, che vorrebbero contrapporre una Chiesa evangelica del Vangelo, della libertà, della coscienza e della parola ad una Chiesa cattolica della legge, dell’obbedienza, dell’autorità e dei sacramenti. Nonostante tutte le controversie sulla dottrina, sulla vita e sulla condizione della Chiesa, i cristiani di tutte le confessioni sono però uniti dalla fede nella definitiva e sublime autocomunicazione di Dio nella Sua Parola, il Figlio del Padre, che con la sua morte sulla croce e la sua risurrezione dai morti ha preso la nostra carne e ha edificato il Regno di Dio per sempre. Sotto questo punto di vista, la comune confessione della figliolanza divina e della mediazione salvifica universale di Cristo, unisce il cristianesimo cattolico a quello evangelico, non distinguendo affatto tra una Chiesa segnata da una presunta arretratezza medievale e una Chiesa sviluppatasi in apparente compatibilità con l’Età moderna. La Chiesa quale segno sacramentale e strumento del regno di Dio che è venuto e si compie nel Cristo che verrà, non può essere sopraffatta né dalle forze del male né dalla morte. È questa la promessa che, a Cesarea di Filippo, Gesù fece ai suoi discepoli guidati da Simon Pietro (cfr. Mt 16, 18). Quando la pienezza dei tempi si sarà compiuta, non potrà più esserci niente di nuovo al di sopra di lui; niente potrà superarlo né rendere obsoleto il suo messaggio. In quanto corpo di Cristo, la Chiesa, però, è tanto strettamente legata al suo capo da partecipare sempre alla sua vita ed essere sempre vivificata mediante il suo Spirito, in modo tale che essa non potrà mai essere completamente staccata da lui, né aver bisogno di una rinascita e di una nuova istituzione, perché “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola” (Ef 5, 25s). Allo stesso modo in cui il matrimonio tra un uomo e una donna è indissolubile in Cristo e, nonostante ogni crisi possibile, verrà sempre rinnovato dalla sorgente dell’amore, così Cristo non abbandonerà mai la Chiesa, nonostante tutti i peccati e tutte le mancanze delle sue membra. Così come marito e moglie sono un corpo solo, questo vale anche per Cristo, capo della Chiesa, che “non ha mai preso in odio la propria carne; al contrario Egli nutre e cura la Chiesa, poiché è membra del suo corpo” (cfr. Ef 5,29). La riforma non significa cambiare le dimensioni vitali di martyria, leiturgia e diakonia, che Cristo ha istituito nella sua Chiesa, ma rinnovare le membra del corpo di Cristo nella vita che si spande dal capo al corpo della sua Chiesa. La riforma non è una via che, nel senso dell’Umanismo e del Rinascimento, riconduce ad fontes con la pretenziosità di coloro che, nell’appropriarsi filologicamente dei testi originali greci, ebraici e latini della Bibbia, dei Padri della Chiesa e degli autori antichi, si sono mostrati più abili di coloro che li precedevano nelle cattedre o del popolo comune. Rinnovamento in Cristo è una via che porta avanti, verso il Signore che verrà, affinché possiamo fare come le sagge vergini che, con le lampade accese, vanno incontro allo sposo ed entrano con il Signore nelle nozze (cfr. Mt 25,10). La Riforma in senso teologico, non ha niente a che fare con l’antico mito dell’Era dorata che si vorrebbe ristabilire. E anche le letture della storia della Chiesa, che evidenziano una defezione dalla pura origine o il progresso puramente positivo, vengono smentite dalla fede nella presenza escatologica della salvezza operata in Cristo e dalla consapevolezza della drammaticità della storia del mondo e della Chiesa tra civitas Dei e civitas terrena. Cristo è la luce intramontabile di Dio nel mondo. Ma la storia della Chiesa si muove tra luci e ombre. La Chiesa “prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio” annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cfr. 1 Cor 11,26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà, anche se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce” (LG 8). Alla domanda degli gnostici, che cosa avrebbe portato Cristo di così straordinariamente nuovo, sant’Ireno di Lione, nel II secolo, risponde: “Portando se stesso per rinnovare e vivificare l’uomo, Colui che è stato annunciato ha portato solo cose nuove”. – Omnem novitatem attulit semetipsum afferens ... quoniam novitas veniet innovatura et vivificatura hominem.[3] Il progresso della scienza, della tecnologia e dell’ordinamento sociale non può né superare Cristo né stare al passo con lui. La pienezza della salvezza e della verità è stata comunicata per sempre a tutti gli uomini in Cristo da Dio, suo Padre. Nello Spirito Santo, la Chiesa viene introdotta a una conoscenza sempre più profonda delle verità rivelate. Per questo, nonostante la pienezza dei tempi compiuta in Cristo, esiste un progresso comunitario e individuale, con delle rispettive diverse forme di inculturazione del cristianesimo, che fanno nascere delle nuove forme di cultura cristiana. In forza della presenza incarnata e sacramentale della verità e della salvezza, non si tratta di una trasmissione meccanica, ma della tradizione viva dell’insegnamento apostolico che è vitale e risveglia la vita spirituale. Perciò, il magistero ecclesiale non ha né una funzione puramente conservativa né innovativa. È piuttosto nel concorso di entrambe queste funzioni, che si mostrano la fedeltà alla definitività della Rivelazione e la crescita della Chiesa nella fede viva delle sue membra. Puntualizzando questa tensione, il Concilio Vaticano II afferma nella sua Costituzione Dogmatica sulla Divina Rivelazione Dei Verbum: “Gli apostoli poi, affinché l'Evangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, lasciarono come loro successori i vescovi, ad essi «affidando il loro proprio posto di maestri» (Ireneo di Lione, Adversus haer. II,3,1). […] Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con la intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio”(DV 7u.8). Secondo la credenza cattolica, fondata sulle parole di Gesù, una moltitudine di confessioni contrapposte contrasterebbe l’unità della Chiesa nella verità rivelata. Essendo la Chiesa corpo di Cristo, tenuto insieme nelle sue tante membra da Cristo stesso quale capo di questo corpo, la fede e la vita sacramentale non possono conoscere che una sola Chiesa. La Chiesa è “un solo spirito, un solo corpo”, e cioè: “un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,5ss). Anche Martin Lutero, Ulrico Zuinglio e Giovanni Calvino, che hanno fortemente influenzata, anzi avviata, la storica epoca della Riforma protestante, essendosi così guadagnati il nome di “riformatori”, non vollero affatto rinunciare all’unità della Chiesa a favore di una moltitudine di confessioni. Vollero piuttosto riformare e rinnovare la Chiesa esistente, istituita da Cristo nella storia, nello spirito del suo fondatore divino e del suo Capo vivente. Adattarono il metodo della purificazione della Chiesa di Cristo dagli errori dogmatici che avevano comportato una serie di malcostumi e abusi compromettenti per la salvezza. Ciò che scatenò la separazione dei seguaci di Lutero, Zuinglio e Calvino dalla Chiesa schieratasi attorno al Papa e ai vescovi, non fu il desiderio di migliorare la vita morale e spirituale, di modernizzare le istituzioni umane della Chiesa (Università, cura dei poveri, scelta e formazione di candidati adatti per il ministero sacro) e di combattere la mondanizzazione della Chiesa: ciò che determinò la svolta, il passaggio da una riforma nella Chiesa alla Riforma protestante che avrebbe dato vita a un’altra Chiesa, fu l’affermazione che la Chiesa aveva errato gravemente nella fede. E qui siamo arrivati al punto in cui la concezione cattolica e quella protestante della riforma nella Chiesa divergono. Se la Chiesa può rinnegare la Rivelazione, prendendo come unico criterio per la retta prassi e dottrina le Sacre Scritture, allora bisogna purificare e riformare la Chiesa sulla base della Parola di Dio, nel suo insegnamento, nella sua vita e nel suo ordinamento. Ma se – come insegna la dottrina cattolica – la Chiesa non può rinnegare la Rivelazione, allora la riforma può prendere soltanto la forma di un rinnovamento o di un approfondimento. Nel mondo protestante abbiamo una Riforma della Chiesa e cioè una profonda trasformazione della Chiesa sulla base della Parola di Dio. Nel mondo cattolico invece abbiamo soltanto una riforma nella Chiesa, nel senso che il Papa, i vescovi, i religiosi e l’insieme dei laici sono chiamati a far sì che la loro vita rispecchi al meglio la loro vocazione. I riformatori, convinti che, per quanto riguarda la dottrina centrale circa la salvezza e la giustificazione dei peccatori, la Chiesa – con a capo il Papa e i vescovi – si sarebbe allontanata dal Vangelo di Cristo, si convinsero che bisognava mettere in atto una riforma e una trasformazione sostanziali della Chiesa e di una portata tale da superare tutte le riforme messe in atto sino ad allora. Ricordiamoci, per esempio, di riforme attuatesi nella Chiesa cattolica come la Rinascita carolingia, che era sostanzialmente una riforma dei luoghi di formazione cattolica. La riforma gregoriana, poi, mirò alla liberazione della Chiesa dalle strette briglie della società feudale e delle Chiese proprietarie, avendo come scopo primario la lotta alla simonia e all’investitura laica, nonché il sostegno del celibato ecclesiastico. C’erano le grandi riforme dei monasteri (Gorze, Cluny, Hirsau, Windsheim, Melk) e la nascita di nuovi ordini religiosi con specifici carismi, in risposta alle nuove esigenze legate ai processi di trasformazione in atto nella Chiesa e nella società. Conosciamo le riforme dei programmi di studi e dei seminari dopo il Concilio di Trento. E conosciamo anche i vescovi che cercarono con zelo apostolico di corrispondere all’ideale di pastore proposto dal Concilio di Trento (per esempio il cardinale Carlo Borromeo di Milano, l’arcivescovo Turibio de Mogrovejo, il cardinale Gregorio Barbarigo di Padova). Le grandi fondazioni monastiche di san Domenico e san Francesco invece, puntarono al rinnovamento della predicazione apostolica, a una pastorale capace di rispondere all’emergente cultura urbana e alle esigenze dei giovani accademici, come anche a un ideale di vita basato sull’umiltà e sulla povertà evangelica. Fu nel XIX e nel XX secolo che la Chiesa, con nuovi ordini religiosi e lo sviluppo della sua dottrina sociale, diede una esemplare dimostrazione di quanto fosse capace di adattare la sua mentalità e la sua struttura alle nuove esigenze. I Concili riformatori del XV secolo tentarono, seppure ancora invano, di avviare una riforma della Chiesa che avrebbe toccato sia il capo che le sue membra. Rivelatori del clima sempre più ostile nei confronti di Roma e dei crescenti dubbi circa la Chiesa visibile e la sua azione salvifica sacramentale furono per esempio le Gravamina Germanicae nationis che venivano spesso presentate in occasione delle diete, spianando la strada alla rivoluzione scatenatasi nella Chiesa del XV secolo. La riforma cattolica seguita al Concilio di Trento si distingue essenzialmente dalla Riforma protestante che diede vita alle varie associazioni confessionali protestanti, in quanto la Chiesa cattolica ha conservato la sua identità nella dottrina e nell’ordinamento sacramentale. Ma ci sono anche elementi che la accomunano con le comunità nate dalla Riforma protestante: ambedue hanno a cuore un approfondimento della religiosità e la serietà della vita morale nella sequela di Cristo. Nell’insieme, però, il cristianesimo ha perso credibilità a causa non solo delle guerre di religione che infuriarono in Inghilterra, Francia, Svizzera e Germania, ma anche a causa della persecuzione e dell’oppressione disumana e poco cristiana dei seguaci di altre confessioni, come anche per la violenza inflitta a eretici, concittadini ebrei e persone appartenenti a religioni non-cristiane. Al cristianesimo e a tutte le religioni orientate verso la trascendenza, l’Illuminismo contrappose una lettura della nostra vita che colloca lo scopo dell’esistenza umana non più in Dio, ma nella felicità terrena. E qui inizia la fede nel progresso che mira al perfezionamento di sé con l’aiuto della scienza e della costruzione sociale ideale, perfezionamento che vorrebbe sostituirsi alla fede nella redenzione per grazia divina. La teonomia nella parola e nel comandamento divini venne utilizzata come argomento contro l’autonomia morale della persona umana. Facendo così però, si dimenticava che la grazia di Dio non ci condanna alla passività, ma rende il libero arbitrio capace di partecipare in modo attivo alla venuta del Regno di Dio. La grazia infatti presuppone la natura; non la distrugge, ma la perfeziona, come scrisse San Tommaso d’Aquino parlando del rapporto tra la creatura e il suo Signore e Creatore.[4]Le varie forme del “cristianesimo culturale” hanno cercato di alleviare la tensione creatasi tra la fede nella Rivelazione e nella grazia quale ragione di salvezza e l’insieme dei programmi liberalistici e socialisti di auto-redenzione terrena. Anche nel mondo cattolico questa tensione tra la fede tramandata e il cosiddetto mondo moderno si era avvertita. Il termine “mondo moderno” non descrive quindi soltanto alcune acquisizioni tecniche che rendono la vita concreta più facile. La cultura moderna è la quintessenza di tutti i principi e i modelli che sembrano essere l’opposto soprattutto della fede cattolica e della sua forma ecclesiale: la soggettività, la libertà, l’autonomia della coscienza e soprattutto la visione del mondo non metafisica diffusa dall’empirismo e dal positivismo. Per tanto tempo, il Sillabo (1864), l’elenco degli ottanta errori condannati da Papa Pio IX, venne considerato, sia dagli amici che dai nemici, il sinonimo e la prova del contrasto tra fede cattolica e mondo moderno. L’ultima frase di questo documento presa a bersaglio diceva: “Il Pontefice romano deve e può riconciliarsi con il progresso, il liberalismo e la cultura moderna, diventandone amico” (DH 2980). In questo contesto, però, bisogna riflettere sul significato del termine diffuso dalla “cultura-guida” liberale moderna, di cui il Papa, quale rappresentante supremo della fede nella Rivelazione cristiana, dovrebbe diventare amico, e cioè il liberalismo che permette semmai una religione dell’immanenza sotto forma di un “cristianesimo culturale”, servendosi poi dell’onnipotenza dello Stato per livellare i cittadini, soggiogandoli al proprio paradigma cognitivo. Le battaglie culturali e i cosiddetti “Kirchenkämpfe” (battaglie delle Chiese) scatenatesi nel XIX e XX secolo, ci dimostrano ampiamente quale fosse la forma di tolleranza e libertà della coscienza che la Chiesa si aspettava dai rappresentanti di una visione del mondo e di una ideologia basata sulla scienza. All’inizio del XX secolo, Albert Ehrhard, rappresentante di spicco del cosiddetto “Reformkatholizismus” (cattolicesimo riformatore), poté avanzare una convincente dimostrazione del significato culturale del cattolicesimo, in grado di smentire la tesi per esempio di Adolf von Harnack dell’incompatibilità della cultura moderna con la Chiesa cattolica e persino di una Chiesa nemica che impedirebbe il progresso.[5] Fu soprattutto con la Costituzione Pastorale Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, che il Concilio Vaticano II poté delineare il rapporto costruttivo tra Chiesa e mondo, evidenziando il suo sviluppo immanente e individuando la meta trascendente dell’uomo in Dio, facendo sì che venisse smentita la contrapposizione ostile tra Chiesa e mondo affermata invece dal liberalismo ideologico del XIX secolo e dalle ideologie politiche del XX secolo. E se la Chiesa cattolica ha potuto dare un così notevole contributo allo sviluppo positivo dell’umanità, fu soprattutto perché non ha mai smesso di insistere sulla dignità inalienabile dell’uomo, come viene dimostrato dalla dottrina sociale espressa già con Papa Leone XIII e, più recentemente, dall’enciclica Laudato sì di Papa Francesco sul rapporto tra ecologia e teologia della creazione. Il fatto che la Chiesa non solo debba difendere la sua identità di sacramento di salvezza istituita da Dio contro un’ideologia terrena di auto-redenzione e progresso, ma sia anche chiamata a sviluppare sempre nuove sintesi teologiche e pratiche di fede e ragione, grazia e verità, in grado di dare una risposta alla trasformazione profonda della nostra immagine scientifica e storica del mondo, ha dato, nel corso degli ultimi due secoli, il via alla polarizzazione e allo schieramento dei cosiddetti “liberali” e “progressisti” da una parte, e dei cosiddetti “conservatori” e “integralisti” dall’altra: uno sviluppo con delle conseguenze catastrofiche per la missione universale della Chiesa. Tutto ciò ha anche determinato la trasformazione del contenuto e della finalità del termine di “riforma” all’interno della Chiesa cattolica. Tutte le forme storiche di riforma nella Chiesa erano incentrate sul rinnovamento dell’essere cristiani e della vita della Chiesa, nonché sull’approfondimento della fede e su un rinnovamento in Cristo. La traduzione della lettera ai Romani nella Bibbia Vulgata ha marcato l’ingresso del termine “riforma” nella terminologia della Chiesa. L’apostolo invita i fedeli romani a non conformarsi a questo mondo (nolite conformari huic saeculo), ma a riformarsi e rinnovarsi nel modo di pensare (sed reformamini in novitate sensus vestri), “per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,2). Attualmente, le riforme ritenute necessarie mirano più a una mondanizzazione della Chiesa. E così si cerca di ridurre i comandamenti non vivibili di Dio a ideali che ognuno di noi può seguire secondo la propria scienza e coscienza, ma non necessariamente per essere in pace con noi stessi o raggiungere la felicità terrena. La Chiesa non è più servitrice del mondo in cammino verso Dio, ma le offre il suo servizio per dimostrare la sua utilità come una delle tante iniziative sociali, guadagnandosi così il suo diritto ad esistere. La Chiesa è oramai soltanto una visione del mondo utile al superamento della contingenza, un’agenzia per l’impegno sociale. La Chiesa, però, non essendo una realtà finita e transitoria creata dall’uomo, ma istituita da Dio, non può adottare un concetto politico e ideologico della riforma estraneo a se stessa. Tutto ciò che è stato creato dall’uomo può e deve essere adattato alle condizioni generali in continua trasformazione, in modo che possa servire sempre di più alla realtà familiare, statale, sociale ed economica dell’uomo. La misura è la realizzazione e la tutela della dignità dell’uomo. L’attenzione per i “segni dei tempi” e un’analisi dell’attuale situazione culturale ed economica dell’umanità con l’aiuto anche delle scienze empiriche, costituiscono il prerequisito affinché la Chiesa possa compiere la sua missione. Essa è stata mandata da Cristo in tutto il mondo e a tutti gli uomini per comunicare, alla luce di Cristo e in forza dello Spirito di Dio a ogni uomo, che egli è chiamato alla conoscenza di Dio e alla vita dalla sua grazia e misericordia. Così lo descrive il Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes (GS 4-10). Naturalmente, la Chiesa, in quanto creazione divina, non può essere oggetto degli sforzi riformatori dell’uomo. Non possiamo riformare e trasformare la Chiesa a nostro gusto e piacimento. Dio è il soggetto del popolo dell’Alleanza, che egli chiama. Dio, in Cristo, ha istituito la Chiesa. Egli stesso la guida come Buon Pastore, riempiendola con il suo Spirito e la sua vita. Non spetta a noi riformare la Chiesa di Dio a nostra immagine e somiglianza, ma è Dio che riforma noi, quando ci lasciamo rinnovare in Cristo nel nostro fare e pensare, configurandoci a lui. Il risultato di questo è la vivificazione della Chiesa nelle forme essenziali dell’annuncio e della cura pastorale, nella liturgia, nella carità e nei servizi sociali. È lo Spirito che porta la vita, non la lettera, e cioè: il rinnovamento della vita in Cristo fa sì che anche le riforme strutturali e organizzative possano acquistare un orientamento positivo. Perciò, il termine di uso politico del “blocco delle riforme” non può essere applicato alla Chiesa senza politicizzarla e mondanizzarla. L’opinione secondo cui basterebbe “abolire” il celibato dei presbiteri o re-introdurre i viri probati per risolvere il problema della mancanza di sacerdoti, è diffusa. E allo stesso modo si pensa anche che basterebbe ammettere le donne agli ordini sacri e la questione “Donne e Chiesa” sarebbe risolta. Che basterebbe invitare i cristiani evangelici alla sacra comunione e l’unità nella fede sarebbe restaurata – anche se rimarrebbero le contraddizioni dottrinali, e le chiese separate, vista la visibile ribellione alla volontà di Dio, darebbero un’anti-testimonianza della piena comunione nell’unica Chiesa di Cristo. Che basterebbe fare appello alla misericordia di Gesù, per poterci sbarazzare dell’indissolubilità del matrimonio sacramentale, che, però, in questo modo verrebbe ridotto a istituzione puramente umana, negando l’origine del matrimonio come alleanza di Dio con gli uomini. Essendo chiamate “riforme”, tutte queste operazioni e opzioni vorrebbero reclamare per sé una connotazione positiva; in verità, però, hanno poco a che fare con le riforme storiche della Chiesa e dei monasteri e con la riforma come segno del rinnovamento nella novità intramontabile di Cristo. Contrariamente a quanto spesso ritenuto, l’espressione Ecclesia semper reformanda non fu formulata da sant’Agostino, ma proviene dall’ambiente della teologia riformata del XVII secolo e più precisamente, dal teologo olandese Jodocus van Lodenstein e dal suo testo Contemplazione di Sion (Amsterdam 1674); un’espressione usata spesso anche da Karl Barth. Secondo la convinzione cattolica, la Chiesa, grazie alla sua successione apostolica, non può sperimentare un contrasto tra il suo magistero papale e vescovile e la fede rivelata nelle Sacre Scritture e nella tradizione apostolica. Essendo sacra e potendo, nei mezzi sacramentali della santificazione, confidare sempre nell’aiuto di Dio, essa porta nel suo grembo, come membra sue, non solo i laici e i vescovi, ma anche i peccatori. E questi, a causa dei loro peccati personali, per non aver adempiuto ai loro compiti o per aver omesso misure urgenti, possono rendersi colpevoli davanti a Dio e agli uomini. La Chiesa “è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento” (LG 8), come il Concilio Vaticano II afferma nella Costituzione Dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium. È qui che emerge il legame tra riforma della Chiesa ed ecumenismo. Sullo sfondo del triste frazionamento della cristianità d’Occidente, bisogna chiederci quale sarebbe stato il contributo degli uomini e quale responsabilità avremmo oggi per lo stallo verificatosi nel cammino ecumenico a causa di una mancanza d’amore, dell’aggravamento comodo dei vecchi pregiudizi e della precedenza data al pensiero politico anziché religioso laddove si tratta di risolvere delle controversie. Nel decreto sull’ecumenismo, il Concilio Vaticano II afferma: “Questa conversione del cuore e questa santità di vita, [...] devono essere considerate come l'anima di tutto il movimento ecumenico” (UR 8). È soltanto in questo contesto che la teologia può dare un importante contributo all’avvicinamento nelle questioni dogmatiche. Soltanto così sarà possibile che la Riforma protestante del 1517 possa dare un contributo importante che vada oltre la questione puramente storica e cioè invitando tutti i cristiani a dare, mediante il rinnovamento in Cristo e la “riforma” del nostro modo di pensare, testimonianza credibile della redenzione del mondo mediante la morte espiatoria di Gesù sulla croce per amore nostro e la sua risurrezione dai morti. Oggi, quando si parla della riforma o delle riforme nella Chiesa, si affaccia subito la domanda su che cosa potremmo o dovremmo fare. E allora cominciamo a organizzare dei dialoghi, oppure a incaricare un consulente aziendale, il cui consiglio è davvero “buono e caro”. Ci sbrighiamo a organizzare qualche azione pastorale o diocesana, o fondiamo ancora un’altra commissione. Gli ordini religiosi si mettono a elaborare nuovi statuti e i professori di teologia organizzano la raccolta di firme per manifesti appassionati e appelli inutili. Tutto questo tradisce un pensiero troppo pelagiano. Noi crediamo: prima dobbiamo fare qualcosa per ottenere qualcosa dagli uomini, e poi, alla fine, avremo anche la benedizione dello Spirito Santo. L’apostolo Paolo invece, basandosi sull’insegnamento del primato della grazia, adotta l’approccio opposto, non comincia dal fare: non spetta a noi configurarci al mondo. Il battesimo ha configurato l’uomo a Cristo, permettendogli così di vivere la sua vita come via di continua sequela. Il nuovo modo di essere fa nascere un nuovo modo di fare e di pensare e noi dobbiamo analizzare e riformare il nostro modo di pensare, per poter riconoscere la volontà di Dio e diventare, obbedendogli, buoni e perfetti. E questo deve valere anche per la definizione finora così controversa della Chiesa come creatura verbi o sacramentum mundi. In verità, il contrasto tra protestanti e cattolici finora non colmabile, non si riflette soltanto nella giustificazione per grazia, ma anche nel concetto di Chiesa. Infatti, come mostrano le fonti della fede cristiana rintracciabili nelle nostre comuni Sacre Scritture, nessun uomo può soggettivamente ottenere la giustificazione grazie alle proprie azioni, il che, in pratica, farebbe del peccatore il redentore di se stesso. Ma è altrettanto sbagliato ridurre la fede obiettiva nella realtà redentrice in Cristo alla certezza soggettiva di essere giustificati, il che renderebbe la condizione della mia personale convinzione più importante della reale redenzione in Cristo. La fede come fiducia, infatti, comprende anche la conoscenza di Dio e della sua Rivelazione nell’insegnamento della Chiesa; comprende la speranza come grazia continua che ci permette di proseguire su quella via, che è Cristo; e comprende la meta, che anch’essa è Cristo; e infine include l’amore come natura più intima e meta raggiunta della relazione con Dio. Il contrasto finora irrisolto non consiste nell’esistenza e nella natura della Chiesa, ma nel significato della sua forma sacramentale e della necessità della mediazione salvifica. È da lì che nascono, in modo coerente, anche le questioni circa i sacramenti, il sacerdozio e il magistero. Per Lutero tutta la Chiesa è creatura verbi: “Poiché la Chiesa nasce dalla Parola della promessa ottenuta dalla fede; ed è la stessa Parola della promessa a nutrirla e conservarla, e cioè, essa [la Chiesa] viene istituita dalla Promessa divina, e non è la promessa che viene istituita da essa [la Chiesa]. Poiché la Parola di Dio è infinitamente saggia e al di sopra della Chiesa; e su quella Parola di Dio la Chiesa, in quanto creatura, non ha alcun potere, non potendo essa istituire, amministrare o fare nulla, ma è lei che deve essere istituita, amministrata e fatta”.[6] Con questo si è detto che la Chiesa interiore quale comunità dei Santi, dei giustificati, che Dio solo conosce, va formandosi nella fede tramite la Parola della promessa, che, però, è solo laddove la Parola e il sacramento vengono predicati e amministrati secondo la volontà di Dio (CA 7). La cosa è diversa, quando l’ordinamento ecclesiale esteriore spetta all’autorità secolare o ai membri di un’organizzazione. Questa appartenenza istituzionale a un ente non ha alcuna rilevanza salvifica per la giustificazione e cioè per l’appartenenza alla Chiesa nel senso vero e proprio e cioè alla Chiesa come communio sanctorum, colei che è veramente stata giustificata nella fede e che Dio solo conosce. La visione cattolica della Chiesa parte dal presupposto che è soltanto per mezzo della Chiesa visibile con i suoi insegnamenti vincolanti, i suoi mezzi salvifici sacramentali e il riconoscimento del suo ordinamento apostolico istituito nello Spirito Santo, che possiamo giungere alla comunità salvifica. Nella sua Simbolica, Johann Adam Möhler definisce le differenze così: “I cattolici insegnano: la Chiesa visibile esiste per prima, poi viene quella invisibile. È la prima che forma la seconda. All’incontrario i luterani dicono: la Chiesa visibile esce dall’invisibile: la seconda è il fondamento della prima. Cotesta contrarietà così piccola al primo osservarla implica un enorme differenza.”[7] Come sostiene Möhler, il concetto che Lutero ebbe della Chiesa è unilaterale, ma non del tutto sbagliato. Perciò, non è da rifiutare in toto, ma può anche fornire la correzione di un’ecclesiologia cattolica unilateralmente concentrata sulla forma visibile della Chiesa. Per evitare di far dipendere la certezza salvifica nella Chiesa da cose create e dagli uomini, Lutero si rifiuta di riconoscere l’efficacia salvifica dei sacramenti ex opere operato, la rilevanza salvifica e l’infallibilità delle decisioni conciliari, nonché il mandato spirituale del sacerdote consacrato (character indelebilis) per l’offerta del sacrificio della messa. Infatti, egli, in tutto questo avverte il pericolo che l’uomo possa cercare di basare la sua relazione con Dio non sulla fede, ma sulle opere e sulle istituzioni fatte dall’uomo. Ma ciò che è stato creato, non può mai essere motivo della giustificazione del peccatore, ma soltanto il luogo che corrisponde alla natura fisica dell’uomo. Ciò che è visibile serve solo per accertare ciò che succede sul piano dell’immediatezza tra Dio e l’uomo nella correlazione tra promessa divina e fede per grazia. Lutero, però, sottovaluta la legge fondamentale della mediazione salvifica fondata nell’incarnazione, che, a causa della nostra condizione fisica, sociale e storica noi possiamo raggiungere soltanto per visibilia ad invisibilia. Se invece di contrapporre, in modo dialettico, Chiesa visibile e invisibile, salvezza divina e mediazione affidata all’uomo, essi, alla luce del mistero dell’incarnazione, vengono messi in relazione analoga tra loro − in ciò che li collega e ciò che li distingue −, allora si potrà riprendere il pensiero di Lutero e formulare la fede cattolica, evitando qualsiasi inutile controversia teologica, con la seguente definizione fornita dal Concilio Vaticano II: “Cristo, unico mediatore, ha costituito sulla terra e incessantemente sostenta la sua Chiesa santa, comunità di fede, di speranza e di carità, quale organismo visibile, attraverso il quale diffonde per tutti la verità e la grazia. Ma la società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, l'assemblea visibile e la comunità spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa arricchita di beni celesti, non si devono considerare come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino Per una analogia che non è senza valore, quindi, è paragonata al mistero del Verbo incarnato. Infatti, come la natura assunta serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza, a lui indissolubilmente unito, così in modo non dissimile l'organismo sociale della Chiesa serve allo Spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del corpo (cfr. Ef 4,16). Questa è l'unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica e che il Salvatore nostro, dopo la sua resurrezione, diede da pascere a Pietro (cfr. Gv 21,17), affidandone a lui e agli altri apostoli la diffusione e la guida (cfr. Mt 28,18ss), e costituì per sempre colonna e sostegno della verità (cfr. 1 Tm 3,15). Questa Chiesa, in questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui, ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l'unità cattolica” (LG 8). Nel senso strettamente evangelico-luterano, la Chiesa cattolica non può essere riconosciuta come la Chiesa, ma soltanto come una comunità ecclesiastica tra tante altre. Un’unità complessiva che abbraccia tutti i cristiani in una Chiesa visibilmente unica, nella forma in cui, cattolicamente parlando, essa si presenta grazie alla sua sacramentalità quale conseguenza del carattere incarnato della sua istituzione, non è necessario per la salvezza, seppure, per motivi pragmatici, altamente augurabile (“il Papa come portavoce della cristianità”, ma non come testimone di Cristo e perciò principio perpetuo dell’unità della Chiesa in Cristo).[8] Ed è per questo che, nonostante i contrasti nella professione e nell’ordinamento delle comunità ecclesiali conclamate, ci può essere una “diversità riconciliata” – se solo si ha l’unione con Cristo e cioè la comunione dei santi, grazie alla comunione nella predicazione, nel battesimo e nell’eucaristia. Nel senso cattolico il termine “Chiesa” non è un termine generale applicato o negato per definitionem a delle concrete comunità ecclesiali. La “Chiesa” è sempre quella specifica comunità identificabile dalla sua storicità e dai suoi tratti essenziali, che riconduce le sue origini a Cristo, la Parola incarnata. L’attestazione della sua identità e continuità storica fa parte del suo essere, ed è questo che caratterizza la Chiesa in senso proprio. Da lì si può anche definire il suo rapporto con altre chiese con vera successione apostolica e comunità ecclesiali che non hanno vescovi validamente ordinati. Essa cerca la piena comunità attraverso il ristabilimento dell’unità nella professione di fede, nelle essenziali forme sacramentali del culto divino e della mediazione salvifica, nonché nella base apostolica del suo magistero. Il Concilio Vaticano II ai cristiani che, senza colpa propria, non sono cattolici, riconosce molto chiaramente non solo l’unione con Cristo nella fede, nella speranza e nella carità; e, nonostante tutte le differenze nella comprensione e nella dimensione dei mezzi salvifici, il Concilio riconosce anche alle altre comunità ecclesiali il rango di strumento della salvezza (cfr. UR 3). Ed è per questo che, sul piano della visibilità, soprattutto nel sacramento battesimale, esiste ancora un’unità della Chiesa e una comunità visibile dei cristiani come membra dell’unico Corpo di Cristo, anche se la communio non è completa e mira alla sua piena unione visibile nella Chiesa sacramentale. La comprensione cattolica dell’ecumenismo e della riforma della Chiesa non vuole ristabilire lo status quo ante 1520, ma non può neanche accettare il paradigma di un processo di pluralizzazione necessario dal punto di vista della storia del pensiero, che si approprierebbe dello status quo delle chiese, che per istituzione e confessione sono diverse, il che tradirebbe un’opposizione totale alla volontà di Cristo, in cui l’unità, la santità, la cattolicità e l’apostolicità della Chiesa di cui lui è il Capo hanno il loro fondamento. La meta che si vuole raggiungere non è la diversità riconciliata − con l’accento sulla diversità che rimane −, ma la riconciliazione dei contrasti in una più profonda communio in Cristo: Unus et totus Christus, caput et membra. Il Concilio, avendo ricordato con gratitudine la molteplicità dei legami di unità con le chiese non-cattoliche, continua così: “Così lo Spirito suscita in tutti i discepoli di Cristo desiderio e attività, affinché tutti, nel modo da Cristo stabilito, pacificamente si uniscano in un solo gregge sotto un solo Pastore. E per ottenere questo la madre Chiesa non cessa di pregare, sperare e operare, esortando i figli a purificarsi e rinnovarsi perché l'immagine di Cristo risplenda più chiara sul volto della Chiesa” (LG 15). I mezzi salvifici disponibili al di fuori della communio, però, non devono indurci a non considerare più la piena comunione della Chiesa visibile istituzionale come meta dell’ecumenismo, in quanto, secondo la comprensione cattolica, l’unità della Chiesa non deve essere costruita dagli uomini e dai loro compromessi e negoziati, ma essa si è già realizzata nell’unità con il Papa e i vescovi. Questo riguarda la completezza dei mezzi di salvezza, ma non la vita spirituale e morale dei cattolici, vita che può prendere delle forme ancora più esemplari nelle comunità di cristiani non-cattolici. Costatando la colpa umana nella divisione tra cattolici e protestanti, Möhler definisce ciò che è la meta dell’ecumenismo: la riconciliazione dei cristiani e l’unità della Chiesa: “Questo è anche il luogo in cui un giorno cattolici e protestanti si incontreranno in grande massa, dandosi la mano. Tutti e due, consapevoli della loro colpa, dovranno esclamare: Abbiamo tutti peccato, solo lei [la Chiesa] è immacolata sulla terra. E poi, a questa aperta ammissione della colpa comune seguirà una grande festa di riconciliazione!”.[9] 500 anni di Riforma e divisione della Chiesa – nessun motivo per trionfalismi da parte dei protestanti o rinnovamento di sentimenti di inferiorità da parte cattolica. Fino al 2017 dovremmo tutti essere diventati più evangelici e più cattolici, nel senso del rinnovamento in Cristo e di una penitenza e riconciliazione comune. È questa la riforma della Chiesa che si realizzerà non tramite noi, ma dentro di noi. [1] Cfr. Diarmond MacCulloch, Reformation: Europe's House Divided 1490–1700, Penguin UK 2003. [2] Cfr. Charles Taylor, A secular age, Harvard University Press 2007. [3] Sant`Ireneo, Adversus haer. IV,34,1. [4] Cfr. S.Th I, q. 8 ad 2. [5] Cfr. Albert Ehrhard, Der Katholizismus und das zwanzigste Jahrhundert im Lichte der kirchlichen Entwicklung der Neuzeit, Stoccarda e Vienna 1902. [6] Martin Lutero, De captivitate babylonica: WA 6,560. [7] Möhler, Symbolik, §48. [8] Cfr. CA 7, dove con tradizioni umane non si intendono forme secondarie, ma si escludono i mezzi salvifici ritenuti, da parte cattolica, necessari per la salvezza e anche la sacramentalità della Chiesa. [9] Möhler, Symbolik, §37.
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