The Holy See
back up
Search
riga

APERTURA DEL 3° ANNO DEL SINODO DIOCESANO

OMELIA DI S.Em. ENNIO CARD. ANTONELLI
PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA

    Cattedrale di Adria– 19 settembre 2010

 

Vangelo: Luca, 16, 1-13

Diceva anche ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.

Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?

Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui. Egli disse loro: «Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole.

La Legge e i Profeti fino a Giovanni: da allora in poi viene annunciato il regno di Dio e ognuno si sforza di entrarvi.

Non potete servire Dio e la ricchezza

Siamo chiamati a servire Dio per amore, cioè a fare la sua volontà, che coincide sempre con il nostro vero bene. La volontà di Dio è la nostra vita e la nostra pace.

Viceversa non dobbiamo mai servire la ricchezza; ma piuttosto servirci di essa; possederla, senza esserne posseduti. E’ stoltezza far dipendere dalla ricchezza accumulata il proprio valore e la propria riuscita e salvezza. Il cuore appesantito dai beni materiali, preso dall’attivismo affannoso, sedotto dai piaceri diventa insensibile al prossimo e sordo alla voce di Dio che risuona nella coscienza. La bramosia del possesso finisce per diventare schiavitù e disumanità, secondo il rimprovero che San Basilio fa al ricco: “Tu sei veramente povero, anzi, privo di ogni vero bene. Sei povero di amore, povero di umanità, povero di fede in Dio, povero di speranza nelle realtà eterne” (S. Basilio, Sui ricchi).

In cima alla scala dei valori dobbiamo mettere il regno di Dio. Il regno di Dio è il tesoro nascosto nel campo e la perla preziosa, per il cui acquisto bisogna essere pronti a vendere ogni altra cosa. Esso coincide con l’amore. Dio è amore infinito e Cristo è la sua espressione visibile nel mondo. Noi uomini, chiamati a diventare figli di Dio e fratelli di Cristo, abbiamo la grazia e la responsabilità di amare come Dio ama, per poter partecipare alla sua vita. “L’uomo, afferma Benedetto XVI, diventa simile a Dio nella misura in cui diventa qualcuno che ama” (Discorso 6 giugno 2005). Amare, cercare e volere il vero bene, è la vocazione originaria e fondamentale dell’uomo, nella quale trova il suo sviluppo personale e la sua felicità, prima nella storia e poi nell’eternità, anche se adesso comporta spesso fatica e sacrificio.

La ricchezza, come tutte le altre realtà terrene, deve essere posta a servizio dell’amore, cioè di Dio, dello sviluppo integrale delle persone, della comunione fraterna. “E’ con i nostri patrimoni che diventiamo fratelli”, scriveva Tertulliano nei primi tempi del cristianesimo (Apologetica 39, 10). E San Massimo di Torino, in antitesi alla miseria spirituale del ricco egoista, metteva in evidenza che “l’uomo misericordioso diviene più ricco, quando comincia a possedere di meno per il fatto di donare ai poveri” (Discorsi 71, 44).

I beni sono strumentali, in quanto voluti in funzione di qualcos’altro, oppure sono gratuiti, in quanto voluti per se stessi come un fine. Del primo tipo sono le cose utili, i servizi, la tecnologia, la ricchezza; del secondo tipo sono la contemplazione della natura, la poesia, la musica, l’arte, la festa, l’amicizia, la preghiera. Sia i beni strumentali sia i beni gratuiti sono necessari per la vita e la felicità dell’uomo; e vanno perseguiti in modo ordinato secondo la gerarchia dei valori e al momento opportuno.

Le persone, sebbene da esse si possano ottenere molti benefici, non devono mai essere ridotte a puro strumento. Solo l’amore gratuito è all’altezza della loro dignità. E’ lecito e anche necessario cercare negli altri il proprio utile, ma sarebbe cieco egoismo e grave disordine morale ridurre a questo il rapporto con loro. Gli altri sono un bene in se stessi e devo cercare il loro bene con la stessa serietà con cui cerco il mio; devo farmi carico, secondo le mie possibilità, della loro crescita umana, affrontando anche il sacrificio e portando il peso dei loro limiti e peccati, come ha fatto il Signore Gesù nei confronti di tutti gli uomini.

Come il mercato è l’istituzione tipica dello scambio dei beni strumentali, così la famiglia è l’istituzione paradigmatica della gratuità e dell’amore. In una famiglia autentica ognuno considera gli altri non solo come un bene utile per la propria vita, ma come un bene in se stessi, un bene insostituibile, senza prezzo. Anzi, se c’è un’attenzione preferenziale è per i più deboli: bambini, malati, disabili, anziani.

Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne”; Gesù ci esorta ad essere industriosi come l’amministratore infedele; ma in senso molto diverso da lui, in senso opposto. Essere ingegnosi come lui, ma nella carità, facendo partecipare alle nostre ricchezze i poveri, perché essi diventino nostri intercessori presso il Padre celeste. Così si mettono veramente a frutto i beni che si possiedono.

Per il regno di Dio, regno di amore e di comunione fraterna, bisogna impegnarsi con coraggio, intelligenza, volontà decisa e perseverante, almeno in misura pari a quella degli affaristi di questo mondo. “Il padrone – dice Gesù nella parabola – lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”. Non lo lodò certo per la disonestà; ma per la scaltrezza e la prontezza con cui aveva saputo reagire a una situazione difficile.

Anche nell’ambito della famiglia possono esserci le situazioni difficili, perché è in essa che si fa esperienza delle gioie e delle sofferenze più grandi. Di per sè i familiari sono un dono inestimabile gli uni per gli altri. Il marito è un dono per la moglie e viceversa la moglie è un dono per il marito. I genitori sono un dono per i figli e viceversa i figli sono un dono per i genitori. I fratelli sono un dono l’uno per l’altro. La differenza delle persone, dei sessi e delle generazioni consente l’interazione, lo scambio, l’aiuto reciproco per la crescita umana di ciascuno. Grazie agli altri ciascuno può diventare pienamente se stesso, valorizzando le proprie doti spirituali e fisiche. Di questo ognuno deve rendersi conto ogni giorno e ringraziare Dio.

Tuttavia gli altri sono anche un peso, da portare con amore paziente. Una certa tensione tra marito e moglie è inevitabile, fisiologica. Ognuno ha la sua personalità, la sua storia, il suo temperamento, i suoi interessi, i suoi punti di vista, i suoi difetti, i suoi peccati. Ognuno è chiamato a farsi carico dell’altro senza tener conto del dare e dell’avere, a gestire in modo intelligente i conflitti, rendendosi disponibile a perdonare e a chiedere perdono.

Nelle situazioni drammatiche, come la malattia, i rovesci finanziari, la perdita del lavoro, occorre grande forza d’animo; ma in un tempo come il nostro, in cui si cerca lo spettacolo, l’emozione forte, la novità incessante, attecchisce facilmente anche il disagio per la vita quotidiana ordinaria, grigia e ripetitiva (casa, lavoro, cucina, bucato, gesti e parole consumate dall’abitudine): il rimedio sta nel curare le relazioni e la comunicazione interpersonale, nel cercare di rendersi amabili, nell’intuire e soddisfare i bisogni e i desideri ragionevoli dell’altro.

Quanto ai figli, essi, pur essendo un bene meraviglioso, comportano per i genitori impegni assai gravosi. La cura e l’educazione richiedono tempo, presenza, controllo di sé, armonia coniugale, comune accordo educativo, equilibrio tra affettuosa tenerezza e ragionevole fermezza, disponibilità al gioco e al dialogo, collaborazione con la comunità ecclesiale e con la scuola. Avere dei figli costa molto anche dal punto di vista economico. Per evitare un ingiusto impoverimento della famiglia, lo Stato, tenendo conto che i figli sono un bene pubblico indispensabile per la società e per il suo futuro, dovrebbe dare un adeguato sostegno di risorse finanziarie e di servizi. Purtroppo la politica non è ancora abbastanza sensibile alle giuste esigenze della famiglia e della sua missione procreativa ed educativa. La Chiesa è grata a quei coniugi che, seguendo la vocazione e la missione ricevute da Dio, decidono di trasmettere la vita generosamente, malgrado tutte le difficoltà.

La sofferenza, in un modo o nell’altro, non manca mai nella famiglia. Di essa sa nutrirsi l’amore. Ma anche l’individualismo libertario ed egocentrico, che insegue il piacere e l’utile immediato, ha le sue pene, in quanto finisce per affondare nella solitudine, opprimente e senza speranza. È angoscioso – dice Benedetto XVI – soddisfare “solo il proprio io con le sue voglie e, sotto l’apparenza di libertà, diventa per ciascuno una prigione” (Discorso 6 giugno 2005). La libertà è liberante solo se cerca la verità e il bene. La sua massima espressione è proprio l’accettazione del sacrificio, in cui l’uomo rivela la sua superiorità sugli animali, che restano sempre prigionieri degli istinti di attrazione e repulsione.

La libertà di cercare la verità e il bene e di accettare la croce è sostenuta dalla grazia, cioè dallo Spirito Santo che Dio ci comunica attraverso Cristo. “Chi rimane in me, e io in lui – dice il Signore – porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5). È necessario tenere vivo e caldo il rapporto personale con il Signore, mediante la preghiera in famiglia, l’ascolto della parola di Dio, la partecipazione alla Messa, la frequenza al sacramento della penitenza e alla comunione eucaristica. Come dice Benedetto XVI, “tutta la vita familiare, in base alla fede, è chiamata a ruotare intorno all’unica Signoria di Gesù Cristo” (Discorso 7 febbraio 2007).

Accogliere il regno di Dio, avere Gesù come unico Signore della propria vita, perché “Non potete servire Dio e la ricchezza”.

 

 

 

top