PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI
NOTA ESPLICATIVA
X. La natura giuridica e l’estensione della «recognitio» della Santa Sede (Communicationes, 38 [2006] 10-17)
La «recognitio» nei documenti della Santa Sede 1. La recognitio applicata sistematicamente a tutti i Concili particolari, provinciali e plenari, risale al tempo di Sisto V.[1]
2. Nella legislazione ecclesiastica la recognitio della Santa Sede è richiesta: a) per la promulgazione degli atti e dei decreti generali del Concilio particolare (can. 446 CIC); b) per l’emanazione dei decreti generali delle Conferenze episcopali (can. 455 CIC); c) per la pubblicazione degli atti e dei decreti delle Assemblee plenarie delle Conferenze episcopali (can. 456 CIC); d) per la traduzione in lingua corrente dei libri liturgici (can. 838, § 3 CIC; can.657, § 1 CCEO); e) per la redazione di un proprio rito del matrimonio da parte di una Conferenza episcopale (can. 1120 CIC).
3. Il Motu Proprio Apostolos suos[2] nn. 21-23, artt. 1-2, in linea con quanto previsto dal can. 753 CIC, ha riconosciuto la possibilità delle Assemblee plenarie delle Conferenze episcopali di produrre documenti di natura dottrinale aventi valore di magistero autentico, trattandosi di questioni nuove su cui non si è pronunciata la Chiesa, che hanno ricadute sul proprio territorio, e su cui i Vescovi membri hanno espresso parere unanime: qualora solo una maggioranza dei due terzi si dichiarasse favorevole, è necessaria la recognitio della Santa Sede.
4. Questo Pontificio Consiglio, in due lettere al Segretario di Stato (4 dicembre 1997; 25 febbraio 1998), ha messo in evidenza che «questo intervento giuridico e prudenziale della Santa Sede riguarda non soltanto gli Statuti, i Decreti generali, gli adattamenti liturgici, ecc. delle Conferenze episcopali (cfr. cann. 451; 455, § 2; 838, § 2), ma anche i Decreti dei Concili particolari, plenari o provinciali (cfr. can. 446). La recognitio di questi testi giuridici o liturgici non è una generica o sommaria approvazione e tanto meno una semplice “autorizzazione”. Si tratta, invece, di un esame o revisione attenta e dettagliata: per giudicare la legittimità e la congruità con le norme universali canoniche o liturgiche dei relativi testi che le Conferenze episcopali desiderano promulgare o pubblicare».[3] Sulla errata traduzione di recognitio con «autorizzazione», questo Dicastero ha fatto notare che «la traduzione esatta di recognitio, utilizzata tra l’altro anche nell’edizione italiana della Costituzione Apostolica Pastor Bonus (cfr. artt. 82 e 157), non è autorizzazione ma revisione». Nei verbali dell’ultima riunione plenaria della Pontificia Commissione per la Revisione del CIC, si legge: «Come appare evidente, i sinonimi di recognitio vengono indicati dalla Commissione nei termini approbatio e confirmatio, che non equivalgono ad autorizzare. La mens della Commissione, però, viene chiaramente espressa là dove si specifica che la recognitio è un tipico atto della potestà di governo con il quale viene rivisto totalmente l’atto della Conferenza ed eventualmente vengono imposte anche modifiche ad esso. Si tratta di un intervento di carattere aggiuntivo di controllo e di tutela, proprio dell’Autorità superiore. Tale intervento, come già detto, è la condizione necessaria perché l’atto della Conferenza possa acquisire forza vincolante. Certamente, dopo questo approfondito esame di revisione, la Conferenza si può considerare autorizzata a promulgare o pubblicare il relativo testo, ma questa autorizzazione non costituisce la sostanza dell’atto, bensì soltanto la sua conseguenza. Tradurre il termine recognitio con “autorizzazione/autorizzare” non è esatto e per di più potrebbe essere fonte di gravi equivoci dottrinali e giuridici. L’autorizzazione, al limite, può essere considerata soltanto come un aspetto della più ampia competenza che il Legislatore ha riservato alla Santa Sede con la recognitio».[4]
5. Nel nuovo Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi Apostolorum Successores[5] è più volte ribadito il concetto della recognitio: - Al n. 24, circa la potestà legislativa dei Concili particolari, si dice che «tutte le decisioni vincolanti del Concilio particolare, sia decreti generali come particolari, debbono essere esaminati ed approvati dalla Sede Apostolica prima di essere promulgate» (cfr. can. 446; PB artt. 82 e 157). - Al n. 31, circa le competenze giuridiche e dottrinali della Conferenza episcopale, è detto: «Tali norme debbono essere riesaminate dalla Santa Sede, prima delle loro promulgazione, per garantire la conformità con l’ordinamento canonico universale» (cfr. can. 445, § 2). - Sempre nello stesso numero, il 31, a proposito dei documenti di natura dottrinale delle Conferenze episcopali, viene affermato che: «le dichiarazioni dottrinali per poter essere pubblicate devono ottenere la recognitio della Santa Sede».
6. Anche nei nn. 79-84 dell’Istruzione della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina per i Sacramenti Liturgiam authenticam,[6] soprattutto in merito ai testi liturgici, l’argomento della recognitio è stato ampiamente sviluppato. In essa si legge: «la prassi di domandare la recognitio della Sede Apostolica per tutte le traduzioni dei testi liturgici offre la necessaria garanzia che la traduzione è autentica e corrisponde ai testi originali ed esprime, nonché favorisce, il vero legame della comunione tra il Successore di Pietro e i suoi fratelli nell’episcopato. Inoltre, questa recognitio non è tanto una formalità quanto atto della potestà di governo, assolutamente necessario (in caso di omissione, infatti, gli atti delle Conferenze dei vescovi non hanno forza di legge), che può comportare delle modifiche, anche sostanziali. … La recognitio della Sede Apostolica ha per fine di vegliare affinché le traduzioni stesse, così come i diversi adattamenti legittimamente introdotti, non nuocciano all’unità del popolo di Dio, ma piuttosto la rafforzino in misura sempre maggiore» (n. 80).
7. Nel Motu Proprio Apostolos suos,[7] in proposito si legge: «La revisione (recognitio) della Santa Sede serve inoltre a garantire che, nell’affrontare le nuove questioni che pongono le accelerate mutazioni sociali e culturali caratteristiche della storia attuale, la risposta dottrinale favorisca la comunione e non pregiudichi, bensì prepari, eventuali interventi del magistero universale» (n. 22).
La letteratura sulla «recognitio»
La letteratura sulla recognitio è molto ampia: 1. Un Autore ha scritto: «è da tener presente che essa (la recognitio), per sé, è una semplice approvazione in forma generica, che non conferisce una speciale forza giuridica alle deliberazioni del Concilio particolare. Queste rimangono espressioni di determinati gruppi di Vescovi e del loro potere giurisdizionale. È ovvio, tuttavia, che la revisione pontificia conferisce loro una maggiore autorità, ma solo da un punto di vista morale, non giuridico». Giuridicamente restano atti di diritto particolare, emanati da Vescovi riuniti collegialmente e, com’è loro dovere, in comunione col Romano Pontefice, pastore della Chiesa universale … «la recognitio della Santa Sede: è un appositio manus della Sede Apostolica, di cui la Conferenza episcopale deve tenere conto».[8] 2. Per un secondo Autore la recognitio è un elemento che manifesta, da parte di chi la chiede e di chi la concede, una espressione di comunione la quale dichiara che i Vescovi hanno agito nella hierarchica communio. Egli ritiene che la recognitio è la forma giuridica della comunione e ritiene che sia necessaria ad validitatem per gli atti delle Conferenze episcopali, e ad liceitatem per gli atti dei Concili particolari.[9] 3. Per un terzo Autore, «la recognitio non è un translativo, o una semplice comunicazione alla Santa Sede per rendere noto l’operato dell’assemblea plenaria della Conferenza episcopale. La recognitio richiede un attivo intervento di carattere aggiuntivo, appartenente al genere del controllo di tutela, proprio degli enti centrali, che è la condizione necessaria perché il decreto possa acquisire forza vincolante. Di conseguenza, le eventuali modifiche contenute nell’atto della recognitio sembra vadano interpretate come condizioni per l’efficacia dell’atto della Conferenza, ferma restando per questa la possibilità di sostituire la precedente delibera con un’altra e di richiedere l’ulteriore recognitio. La concessione della recognitio interessa organi differenti della Santa Sede. In primo luogo essa appartiene, come competenza propria, ai Dicasteri che hanno il compito di vigilare sull’esercizio della funzione episcopale nell’ambito della giurisdizione ordinaria (Congregazione per i Vescovi) o nella giurisdizione di missione (Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli). Inoltre la concessione della recognitio interessa altri Dicasteri ratione materiae, così come il Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei Testi Legislativi della Chiesa per quanto concerne il profilo formale e di legalità delle norme. Nei casi in cui le attribuzioni normative della Conferenza episcopale provengono da stipulazioni concordatarie stabilite tra la Santa Sede e lo Stato è la Segreteria di Stato ad avere competenza in materia».[10] 4. Per un quarto Autore «la recognitio non trasforma in atti pontifici le deliberazioni della Conferenza dei Vescovi – la quale resterebbe così priva di poteri vincolanti e avrebbe semplicemente diritto di proposta, che pure le viene riconosciuto in non poche materie di competenza della Santa Sede, ad esempio le delimitazioni delle diocesi – ma è un presupposto o condizione perché i decreti abbiano forza vincolante. La funzione di questa recognitio non è tanto quella di conferire ad esse una maggiore autorevolezza così come avviene con la confirmatio, quanto di permettere alla Santa Sede di accertare che non contengono nulla di contrario o di poco consono al bene della Chiesa e, in particolare, all’unità delle fede e della comunione. D’altra parte, la recognitio conferisce loro maggiore autorità morale, e rassicura i Vescovi che forse non erano d’accordo con le decisioni, lo stesso che gli altri fedeli. I concetti di recognitio, aprobatio e confirmatio sono diversi, ma sono in profonda relazione tra loro sino a confondersi. La recognitio riguarda direttamente l’atto di revisione: si esamina se è conforme a certi parametri (di diritto, di dottrina, di opportunità), e una volta fatto questo, si approva il documento che è stato così sottoposto a revisione e lo si conferma. L’aprobatio costituisce il secondo passo del processo accennato, comprende la recognitio e comporta la confirmatio. La confirmatio è l’effetto dell’aprobatio, che, come detto, suppone la recognitio».[11] 5. Un quinto Autore fa notare che «la recognitio sia conditio sine qua non per l’obbligatorietà delle decisioni delle Conferenze è espressamente affermato nel decreto conciliare Christus Domini, 38».[12] Ed ancora: «Tale recognitio non trasforma in atti pontifici le deliberazioni della Conferenza – la quale resterebbe così priva di poteri legislativi ma avrebbe quel semplice diritto di proposta che pure le viene riconosciuto dalla S. Sede – ma è un presupposto per la liceità e la validità della loro promulgazione. La sua funzione non è tanto quella di conferire ad esse maggiore autorevolezza – così come avviene nella confirmatio – quanto permettere alla S. Sede di accertarsi, prima che divengano obbligatorie, che non contengono nulla di contrario o di poco consono al bene della Chiesa e, in particolare, all’unità delle fede e della comunione».[13] 6. Un ultimo Autore ritiene che la recognitio non si può considerare: - un atto absolute necessarius «por su propria naturaleza, de tal manera que faltando él, el acto del inferior carece de todo valor»;[14] - una specie di missio canonica «porque ni puede aceptarse pacificamente que la “misión canónica” sea origen de la potestad de régimen que ejercen colegialmente los obispos»;[15] - una «approvazione» perché sono due figure diverse. L’approvazione è di maggiore peso giuridico; - un requisito essenziale della comunione ecclesiale perché questa la si può avere con altre modalità. Inoltre afferma: «su carácter de ‘control’ sobre un acto ya puesto, en la forma ya explicada, y que, non sólo expressa comunión, sino que también, implicítamente, supone una nueva garantía de acierto y de oportunidad y, consiguientemente, un refuerzo de su autoridad».[16]
Ambito e modalità applicative della «recognitio»
1. In virtù del suo ufficio, il Romano Pontefice ha la potestà su tutta la Chiesa (cfr. can. 333 CIC e can. 45 CCEO) e, a garanzia di una vera e sana ecclesiologia di comunione - come idea fondamentale e centrale dei documenti del Concilio Vaticano II -, vi è la recognitio.[17] Ciò in vista della protezione della diversità e dell’unità (cfr. LG 13c). La recognitio si applica in due casi di grande importanza: 1) per gli atti del Concilio particolare (can. 446); 2) per gli Statuti (can. 451) e i decreti generali delle Conferenze episcopali (can. 455, § 2).
2. La richiesta recognitio è da considerarsi obbligatoria? Dal Codice di Diritto Canonico, come anche dal Direttorio pastorale per i Vescovi, si deve ritenere che la recognitio è una conditio iuris che, per volontà del supremo Legislatore, è richiesta ad validitatem. Se non si ottiene la recognitio della Sede Apostolica non si possono promulgare legittimamente i decreti i quali, senza la recognitio, sono privi della forza obbligante (can. 445). Di conseguenza, risulta molto chiara la natura giuridica e la forza vincolante della recognitio: si tratta di una prudente disposizione della Sede Apostolica circa la pubblicazione di norme da parte delle Conferenze episcopali che mira a salvaguardare la correttezza giuridica di esse e a favorire la comune azione della Chiesa in determinati atti. La forza obbligante della recognitio sta nell’atto stesso della pubblicazione della norma e l’osservanza di dette disposizioni date dalle Conferenze episcopali non riguarda la Sede Apostolica, ma la stessa Conferenza che le ha emanate. È chiaro, quindi, che la recognitio è una condizione imprescindibile per la promulgazione di leggi o la pubblicazione di documenti da parte delle Conferenze episcopali, che restano, però, anche per la loro forza vincolante, dell’autorità che li emana. 3. Siccome il CIC vigilanti verbo usus est, per sé non si può affermare che la recognitio è un’approvazione o un’autorizzazione. Neppure si può dire che è un semplice nulla osta. La si può ritenere un atto sui generis della Sede Apostolica che mira a salvaguardare la correttezza giuridica formale e sostanziale degli atti soggetti alla recognitio e la comune azione della Chiesa in essi. In termini civilistici si potrebbe dire che la promulgazione di questi documenti normativi è un «atto complesso» che prevede come conditio sine qua non la recognitio.
Città del Vaticano, 28 aprile 2006
Julian card. Herranz Bruno Bertagna, [1] Cfr. Immensa aeterni Dei [22 gennaio 1588] per la riorganizzazione della Curia Romana in Bullarium Romanum, ed. Taurinense, VIII (1863), col. 985-988. [2] Del 21 maggio 1998 (cfr. AAS 90 [1998] 641-658). [3] Lettera al Segretario di Stato del 4 dicembre 1997. [4] Communicationes XV (1983), 173. [5] Libreria Editrice Vaticana, 2004. [6] Del 28 marzo 2001 (cfr. AAS 93 [2001] 685-726). [7] Del 21 maggio 1998 (cfr. AAS 90 [1998] 641-658). [8] L. Chiappetta, Il Codice di Diritto Canonico. Commento giuridico-pastorale, ED Roma, 1996, nn. 2122-2123. [9] Cfr. G. Ghirlanda, De Episcoporum Conferentiis reflexiones in Periodica 79 (1990), 649-661. [10] J. I. Arrieta, Diritto dell’Organizzazione Ecclesiastica, Giuffrè Editore, Milano 1997, 510-511. [11] F. J. Ramos, Le chiese particolari e i loro raggruppamenti, PUST-MR 2000, 385-386 e nota 780. [12] G. Feliciani, Le Conferenze episcopali, Il Mulino, Bologna 1974, 559 nota 92; sulla recognitio cfr. anche note 87-97. [13] Ibidem, 541. [14] J. Manzanares, En torno a la reservatio papalis y a la recognitio. Consideraciones y propuestas in Actas del coloquio internacional celebrado in Salamanca, 2-7 de abril de 1991, Salamanca (1991), 342; Allegato III. [15] Ibidem. [16] Ibidem. [17] Cfr. Relatio finalis Sinodo dei Vescovi del 1985 in EV/9/1800.
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