DISCORSO DEL CARD.TARCISIO BERTONE, Roma, Venerdì 15 ottobre 2010
Illustri Rappresentanti dei vertici degli Istituti Aspen nel mondo, Desidero ringraziare particolarmente l’On. Giulio Tremonti, nella sua veste di Presidente di “Aspen Institute Italia”, per il cortese invito che mi ha rivolto a condividere con voi alcune riflessioni, che traggono spunto dai principali temi dibattuti in questi giorni dal Comitato Internazionale degli “Istituti Aspen”. Due sono le principali questioni che avete affrontato: le sfide economiche, politiche e sociali alle democrazie occidentali, con particolare riguardo alle strategie per uscire dall’attuale crisi, e le problematiche connesse con i mezzi di informazione ormai globalizzati. Al riguardo, desidero fornire alcuni spunti, che, alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa, e particolarmente dell’enciclica Caritas in veritate del Santo Padre Benedetto XVI, possano contribuire ad illuminare la vostra riflessione e le decisioni che devono essere assunte per il bene comune. L’attuale crisi economica ci ha richiamato in modo ineludibile ad un dato che ha sempre accompagnato la vita umana, ma che nel corso degli ultimi anni sembra essere stato dimenticato, anche a causa del crescente benessere materiale. Essa ci ha ricordato la precarietà della vita ed il senso della finitezza umana. Tale limite si scontra con l’irrequietezza dei nostri desideri, i quali costituiscono profondamente la nostra natura, che porta iscritta nel suo “DNA” un’incancellabile domanda di eternità. Nonostante la sua drammaticità, che ha trasmesso un senso di sfiducia e di scoraggiamento, la crisi può costituire paradossalmente l’occasione positiva per riscoprire i più autentici desideri umani e per aprirci ad uno sguardo nuovo sull’uomo e sul tempo presente. Nella sua enciclica, Papa Benedetto XVI afferma che: «La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente»[1]. Il Santo Padre ci sprona dunque a guardare avanti con fiducia, poiché la presente crisi, lungi dal favorire un ripiegamento su noi stessi, può, al contrario, incentivare lo sviluppo di nuove creatività ed iniziative, oggi più che mai necessarie, le quali devono tuttavia fondarsi su solide radici. Un insegnamento al riguardo può venirci proprio dalla storia europea. Il mondo che san Benedetto trovò davanti a sé 1500 anni fa era un mondo in crisi, politicamente, economicamente e socialmente. San Benedetto tuttavia non disperò, al contrario, attraverso i monasteri da lui fondati e la regola da lui scritta, che sapeva fondere in sé la dimensione spirituale, trascendente dell’uomo – l’ora – con quella materiale – il labora –, contribuì a plasmare una nuova epoca, foriera di cultura, di una diversa concezione economica e di un rinnovato respiro politico. Quale fu il genio di Benedetto? Sinteticamente potremmo dire che egli seppe intuire la necessità di collocare nuovamente l’uomo al centro, valorizzando tutte le sue dimensioni, i suoi bisogni e i suoi desideri. Ora, quando il Santo Padre parla di una dimensione etica dell’economia non si riferisce proprio alla necessità di ricollocare l’uomo al centro proprio come fece Benedetto? [2] Ciò significa innanzitutto prendere coscienza dei legami originari e insopprimibili che costituiscono l’essere umano. Un’indubbia causa della crisi economica è costituita dalla diffusione di una malintesa etica dell’efficienza, volta ad assolutizzare il profitto personale. Alle spalle di questa “etica” sta non solo l’avidità, soprattutto c’è una concezione dell’uomo svincolato da ogni legame: un uomo fondamentalmente solo, che persegue la propria realizzazione all’interno di un orizzonte ristretto esclusivamente materialistico. Al contrario, ricollocare l’uomo al centro, significa anzitutto riscoprire i legami che lo costituiscono e che permettono la sua crescita umana integrale. Si tratta non di legami meramente funzionali, ma che potremmo definire “ontologici”. Ricordava l’allora Cardinale Ratzinger parlando della crisi delle culture: «Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità» [3]. Porre l’uomo al centro significa dunque valorizzare e favorire la sua dimensione trascendente. Non vi è vera centralità dell’uomo se nel suo orizzonte egli non afferma una contemporanea centralità di Dio. E, di conseguenza se le scelte economiche non garantiscono le condizioni di vita indispensabili perché la persona si possa elevare verso Dio. Nello stesso tempo occorre favorire anche quei legami orizzontali originari, che caratterizzano la crescita dell’essere umano. Al loro centro vi è indubbiamente la famiglia, riflesso della comunione d’amore fra Dio e gli uomini[4]. La famiglia è il luogo principale della crescita di ciascuno, poiché attraverso di essa l’uomo si apre alla vita e al mondo intero. I legami che essa crea, sono pertanto imprescindibili per lo sviluppo e lo possiamo costatare con i nostri occhi: laddove la famiglia è più forte, anche le ricadute della recente crisi sono state umanamente meno gravose. Innanzitutto, perché la famiglia genera legami di fiducia ed educa ad essa. Non è pensabile riprendersi da una crisi che ha minato fin nelle basi il sistema fiduciario, senza l’ausilio di “luoghi di fiducia”, poiché «la vita umana diventa impossibile quando non si può più prestare fiducia all’altro o agli altri, quando non ci si può appoggiare sulla loro esperienza, sulla loro conoscenza»[5]. La famiglia, inoltre, può aprire tutta quanta l’umanità alla dimensione di una vera fraternità, «al riconoscimento di essere una sola famiglia»[6]. Lo ricordava ancora il Santo Padre: «Il tema dello sviluppo coincide con quello dell'inclusione relazionale di tutte le persone e di tutti i popoli nell'unica comunità della famiglia umana, che si costruisce nella solidarietà sulla base dei fondamentali valori della giustizia e della pace»[7]. Quale compito spetta dunque alla politica nell’attuale contesto? Essa è chiamata anzitutto a contribuire a ricollocare l’uomo al centro, favorendo quei legami originari di cui poc’anzi ho parlato. In questo senso è cruciale il ruolo dello Stato. Da un lato, esso non può essere “interventista”, ovvero assoluto regolatore della vita dei singoli, sia dal punto di vista economico, che dal punto di vista sociale perseguendo legislazioni che, in base a malintesi principi di libertà ed uguaglianza, rischiano di minare alla base la convivenza civile. D’altra parte, lo Stato non può essere nemmeno mero “spettatore”, che guarda alla società come ad un grande “mercato” in grado di autoregolamentarsi e trovare il proprio equilibrio. Al contrario la presente crisi sprona a valorizzare il ruolo statale, come sussidiario alle famiglia e alla società civile. In tal senso, le Autorità pubbliche collocate ai diversi livelli di governo devono consentire, anzi favorire, la nascita e il rafforzamento di un contesto politico ed economico in cui possano operare soggetti diversi, evitando quelle logiche sperequative che hanno contribuito alla genesi della crisi scoppiata due anni fa. Una politica che ponga al centro l’uomo nelle sue dimensioni integrali, piuttosto che i singoli interessi particolari, non solo potrebbe favorire una ripresa economica più stabile e a beneficio di tutti, ma contribuirebbe in modo positivo a superare quella crisi di fiducia che ha coinvolto non solo gli operatori economici, ma, soprattutto in Occidente, anche il mondo delle istituzioni. Al centro di questo rinnovato impegno vi deve essere «un’etica amica della persona»[8] che valorizzi quella grande ricchezza che è il lavoro – il cosiddetto capitale umano – e che allo stesso tempo favorisca un’idea d’impresa nella quale il perseguimento del profitto non costituisca un fine esclusivo e autoreferenziale. Un simile approccio può anche favorire un adeguato governo della globalizzazione. La “rete” rappresenta oggi forse il simbolo più emblematico della globalizzazione. Migliaia di informazioni possono essere disponibili contemporaneamente su tutto l’orbe ad una moltitudine di persone. Non può che risultare evidente il rischio di un processo di spersonalizzazione della comunicazione a detrimento anzitutto di relazioni umane autentiche. E proprio la centralità della persona umana e il valore della testimonianza personale saranno il centro del Messaggio della prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che verrà pubblicato il prossimo 24 gennaio e che il Santo Padre ha voluto intitolare: Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale. La comunicazione globale pone seri interrogativi, sui quali avete avuto modo di riflettere nel corso della Conferenza di ieri, sia per ciò che concerne l’uso politico della rete, che per quanto riguarda la tutela della privacy. Anche in questo caso può essere d’aiuto, mutatis mutandis, ricorrere all’esempio di Benedetto da Norcia. Il Santo Abate intuì che uno dei drammi del suo tempo era costituito dal rischio di perdere il grande patrimonio culturale dell’età antica. Incaricò così i suoi monaci di provvedere alla custodia e alla trasmissione di quel patrimonio, dando vita a quella fitta rete di biblioteche che ha permesso al nostro mondo di oggi, di poter godere delle ricchezze degli antichi. San Benedetto compì una vera e propria operazione culturale, in un contesto in cui era estremamente difficile reperire ed accedere alle grandi opere che avevano contribuito a forgiare il mondo allora conosciuto. Tale limite ora non esiste più, eppure paradossalmente uno dei rischi è che il grande flusso di informazioni di cui disponiamo, anziché generare cultura, associ dati in modo acritico, si limiti a diffondere pettegolezzo, ad investigare nella vita privata delle persone, ad influenzare, non sempre positivamente, la vita di interi Paesi. Anche in questo campo è compito fondamentale della politica ricercare soluzioni che siano centrate «sulla promozione della dignità delle persone e dei popoli, siano espressamente animate dalla carità e siano poste al servizio della verità, del bene e della fraternità naturale e soprannaturale»[9]. In tal senso – prosegue il Papa - «i media possono costituire un valido aiuto per far crescere la comunione della famiglia umana e l’ethos della società, quando diventano strumenti di promozione dell’universale partecipazione nella ricerca di ciò che è giusto»[10]. Ciò che deve animare le scelte politiche non è dunque solo la preoccupazione, pur necessaria, per la gestione e la regolamentazione della “rete”, quanto piuttosto una più ampia riflessione sulla qualità della comunicazione nel mondo globale per il bene dei singoli e delle società. Illustri Signori, L’attuale crisi non ci deve fare indulgere nella disperazione, nello sconforto, né può limitarsi ad essere l’occasione per ricercare esclusivamente nuovi tecnicismi volti ad uscire dalla presente congiuntura. Al contrario essa può essere una proficua occasione per una riflessione a tutto campo sull’uomo e sulla sua esistenza. Credo che il senso della mia presenza qui oggi sia quello di condividere quello sguardo positivo che la Chiesa da sempre promuove e che ci fa guardare all’uomo animati dalla realistica consapevolezza che l’anima di ogni riforma è in ultima analisi data dalla riforma di ogni anima. Una vera riforma consiste nell’acquisire una maggiore consapevolezza della responsabilità personale di ciascuno verso il proprio destino e verso il prossimo. Come scriveva il grande poeta inglese T.S. Eliot: «C’è un lavoro comune / E un impegno per ciascuno / Ognuno al suo lavoro»[11]! [1] Benedetto XVI, Caritas in veritate, 21. Di seguito CV. [3] J. Ratzinger, L'Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Cantagalli, Siena 2005, 64. [4] Cfr. Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio 12. [5] J. Ratzinger, L'Europa di Benedetto nella crisi delle culture, 99-100. [11] Eliot, I cori da “La rocca”, Bur, Milano 1994, 43.
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