Mgr Pietro FANTÒ Intervention à la 25e session du Comité exécutif du Programme du Haut Commissaire* 15 octobre 1974
*L'Osservatore Romano. Edition hebdomadaire en langue française n.47 p.1, 11.
Mgr Pietro FANTÒ Intervention à la 25e session du Comité exécutif du Programme du Haut Commissaire** 15 octobre 1974
For its part, the Holy See, with the help of Catholic organizations, was striving to assist refugees in all parts of the world. In that connexion, when reading the High Commissioner’s report, he had been happy to note the active presence of such Catholic organizations side by side with other voluntary organizations, particularly in Chile, Bangladesh, Cyprus, Viet-Nam and Burundi. Nevertheless, the collective conscience still seemed insufficiently awake to overcome the flagrant injustice of the refugees’ plight. What could be more unjust than to leave people without a country and violate the right of asylum on the pretext of reasons of State? Governments certainly had the duty to look after the national interest but they could not be indifferent to the problem of refugees. Granting a refugee asylum was not an act of hostility to the country of the refugee’s origin; it was a moral and. humanitarian duty which should take precedence over any political consideration. Despite the moral progress that had been made over the centuries, there was still a long way to go to bring home to mankind the full gravity of the refugee problem. The Holy See was endeavouring to awake the public conscience, as it had recently shown in the case of Cyprus, and would continue its unreserved support for the work of the High Commissioner for Refugees. **Summary Record: A/AC.96/SR.251 p.2.
MONS. PIETRO FANTÒ INTERVENTO ALLA 25ma SESSIONE DEL COMITATO ESECUTIVO Martedì, 15 ottobre 1974
Vorrei, innanzi tutto, associarmi agli altri Rappresentanti, nelle felicitazioni personali, ed esprimerLe la soddisfazione della Santa Sede di vederLa ricoprire l’incarico presidenziale per il nuovo anno, sicuro fin d’ora che il mandato affidatoLe sarà compiuto con competenza ed efficacia. L’accompagnano i nostri migliori voti augurali. SSono profondamente consapevole dell’onore che mi è stato concesso, di rappresentare la Santa Sede a questa riunione del Comitato esecutivo del Programma dell’Alto Commissario per i Rifugiati, accanto a Membri illustri ed altamente qualificati dei Governi di tanti Paesi. E sono certo che anche voi tutti valuterete il significato che riveste la partecipazione della Santa Sede, in qualità di Membro, a questo Comitato, sia per l’azione diretta che essa svolge con l’apporto specifico del suo influsso spirituale che risale alle sorgenti del Vangelo, sia per la collaborazione delle Organizzazioni cattoliche che essa suscita ed incoraggia. PePer chi fosse tentato di dimenticare il contesto tragico che, in tutti i continenti, attraversa il nostro mondo in questo epilogo del ventesimo secolo, il rapporto particolareggiato e completo sulle attività assistenziali svolte dall’Alto Commissario per i Rifugiati costituirebbe da solo un campanello d’allarme, un richiamo a prendere sul serio l’angoscia di migliaia di esseri umani nostri fratelli. Tuttavia, bisogna ben riconoscerlo – e credo di averne intravisto l’indizio sotto la penna dei redattori dell’uno o dell’altro documento sottoposto alla nostra attenzione (particolarmente nel documento A/AC.96/508, pag. 7, articoli 21 e 22) – sembra evidente che, nell’assenza certo felice, di grandi conflitti mondiali, non solo l’opinione pubblica, forse più scusabile, ma anche le Istanze della Comunità mondiale, non dedicano sufficiente attenzione a coloro che hanno esperimentato lo sradicamento totale e la miseria più completa, vittime di violenze d’ogni genere; e soltanto in misura molto parziale si preoccupano di rispondere alle loro necessità, compromettendo o paralizzando, più o meno seriamente, gli interventi umanitari necessari e che noi cerchiamo di attuare. A A questo riguardo, è significativo un attento esame delle risposte, pervenute all’Alto Commissario, al questionario da Lui lanciato per fare il punto sull’applicazione, nei vari Paesi aderenti, delle norme contenute nella Convenzione del 1951 e nel Protocollo del 1967. Anche se innegabili sforzi sono stati compiuti un po’ dovunque per garantire nel miglior modo possibile la protezione dei Rifugiati, per il lavoro, per l’educazione, nel campo della pubblica assistenza e dell’aiuto amministrativo, e più in generale per il loro status complessivo di vita, specialmente per le norme giuridiche relative all’espulsione, l’allontanamento o la naturalizzazione, non si può che rimanere stupiti della timidezza delle aperture fatte e della lentezza della loro pratica attuazione. Ciò non significa che non siano generosi i contributi finanziari degli Stati e di altre Organizzazioni di volontariato a favore dei Rifugiati. Tutti gli Stati vi si impegnano: e pure la Santa Sede, da parte sua, come anche le Organizzazioni caritative che attualmente essa coordina mediante il nuovo organismo, creato appositamente per questo scopo, «Cor Unum». Ce ne forniscono la prova gli sforzi compiuti durante questo anno per i Rifugiati cileni, per quelli del Bangladesh, di Cipro, del Viet Nam, del Sudan e del Burundi, per una somma totale notevole. Ho per voi disponibili le cifre del contributo della Santa Sede; ma l’apporto dei cattolici, attraverso le Organizzazioni caritative e di assistenza, risulta di gran lunga superiore. Parimenti non mancano gli aiuti locali nei Paesi dove è presente il fenomeno dei Rifugiati. E lasciatemi dire, al di là di ogni intento apologetico, la soddisfazione provata nel constatare, leggendo il rapporto generale, l’attiva presenza di tutte le Organizzazioni cattoliche, a fianco delle altre Istituzioni caritative. Ma forse, in pratica, una certa maturazione della coscienza collettiva, benché sia più che mai sensibile alla «dignità dell’uomo e di tutto l’uomo» continua a non essere sufficientemente attenta al fenomeno dei rifugiati; cosicché è restia ad accettare talune norme legislative che sembrerebbe opportuno imporre. Intendo dire che esiste un progresso delle idee morali attraverso il tempo: vi sono dei gesti che, ritenuti ieri come imperativi della carità, oggi devono essere tradotti in termini di giustizia, come del resto è stato rilevato da altri prima di me. Restando in qualche modo apparentemente paralizzata, questa evoluzione della mentalità, attualmente non si riesce ancora a percepire abbastanza l’ingiustizia di fondo che si commette nel lasciare uomini senza patria (come suona male il termine stesso di «apolide»), nel violare il diritto d’asilo dietro il paravento della ragion di stato, nel perpetuare indefinitamente lo statuto di Rifugiato, facendolo oggetto di precauzioni talvolta eccessive, che agli occhi degli interessati appaiono come irritanti ed umilianti vessazioni. Non che si debba confondere la generosità con il liberalismo, e tanto meno con la demagogia. Gli Amministratori della «cosa pubblica» hanno il preciso dovere di tutelare il «bene comune nazionale». Ma, nel perseguire questo bene, essi non possono disattendere i diritti fondamentali dei Rifugiati, né la missione umanitaria che compete ad ogni Stato. LeLeggendo i documenti preparatori di questo incontro, a nessuno sarà sfuggita la difficoltà incontrata dall’Alto Commissario per i Rifugiati, per far riconoscere a livello politico il carattere soprattutto umanitario della sua impresa. Ad esempio l’accordare il diritto d’asilo non costituisce di per sé inevitabilmente un atto ostile verso il Paese da cui il Rifugiato proviene. Al di sopra del diritto delle Nazioni, ci deve essere il diritto delle persone, diritto che certo deve inserirsi nel quadro delle comunità nazionali, ma che non può mai essere trasgredito. Resta dunque un lungo cammino da percorrere. Ed è per mantenere vigile la coscienza pubblica che si impegna anche la voce della Santa Sede. Recentemente è stato possibile averne nuovamente la prova durante gli avvenimenti di Cipro: Il Santo Padre Paolo VI e diversi Episcopati hanno parlato alto e chiaro, mentre una missione speciale è stata inviata sul posto, per tentare di dare una risposta adeguata ai problemi sollevati. Come è ben detto in una recente relazione (nota sulla protezione internazionale: A/AC.96/506), occorre che «nella tormentata esistenza di questi infelici Rifugiati sia introdotta la scintilla di luce o la speranza della felicità di cui essi hanno tanto bisogno». In questo voi potete contare sulla Santa Sede. *L'Osservatore Romano 28-29.10.1974 p.2.
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