SECONDA FASE DEI LAVORI DELLA RIUNIONE DI MADRID (punto 8) INTERVENTO DI MONS. SILVIO LUONI* Venerdì, 12 febbraio 1982 1 . Nel suo messaggio inviato ai capi di Stato e di Governo riuniti a Helsinki il 10 agosto 1975, il sommo pontefice Paolo VI, salutando le centinaia di milioni di uomini e donne che sono « la realtà viva» degli Stati partecipanti alla Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, metteva in evidenza che essi aspiravano a dei rapporti sempre più sereni, più liberi e più umani, cioè «a godere una pace fondata sulla giustizia. «Essi – diceva il Papa – «desiderano indubbiamente di essere rassicurati dalla garanzia data alla sicurezza del loro Paese, ma sono anche incoraggiati nello stesso tempo dalla riaffermazione dei diritti dell’uomo e delle sue libertà fondamentali» che l’Atto di Helsinki esplicitamente aveva accolto e fatto sua. Queste due finalità fondamentali della CSCE – la pace internazionale riaffermata tra gli Stati partecipanti e l’impegno di osservare un’«etica» di comportamento nei loro rapporti, basata sul rispetto dei diritti umani di tutti i popoli e di tutti gli uomini – furono le due ragioni che mossero la Santa Sede a prendere la propria parte di concreta responsabilità nella Conferenza. Queste ragioni sono valide, per noi, oggi come nel 1975. La Santa Sede è convinta che l’Atto finale di Helsinki ha stabilito tra gli Stati partecipanti un «patto» collettivo di solidarietà, in forza del quale le situazioni di crisi che mettano a rischio la pace o in discussione i principi sui quali essa è fondata, devono essere affrontate con realismo e con spirito aperto nell’intento di risolverle superando le divergenze di valutazione. Ignorare le crisi quando sorgono sarebbe chiudere gli occhi alla realtà; astenersi dal prenderle in esame o utilizzarle come un oggetto di ritorsione polemica equivarrebbe a venir meno a un impegno comune, assunto non solo di fronte ai Governi, ma anche e soprattutto di fronte ai popoli interessati. Questo è precisamente il caso dei gravi fatti di Polonia. 2. L’emozione che questi avvenimenti hanno suscitato, in Europa e nel mondo, non prende origine solo dal 13 dicembre 1981. Essa risale al processo di rinnovamento iniziato dal movimento operaio e popolare a partire dall’agosto 1980. A loro volta, i mutamenti cominciati in quella estate hanno un filo conduttore nella storia di Polonia di questo quarantennio e, più indietro, nella storia dei due ultimi secoli. Ci sono popoli ai quali la storia ha riservato il destino, arduo anche se glorioso, di dover sempre riconquistare a prezzo di lotte e di fatiche continue, i beni fondamentali della propria esistenza: la sicurezza del territorio, la sovranità, la libertà di scegliere i propri ordinamenti. È naturale pertanto che il dibattito politico intorno a questi avvenimenti si carichi di sentimenti, di passione e anche di interessi che danno luogo, sul piano internazionale a netta e polemica contrapposizione. Contrapposizione inevitabile, ma che potrebbe rimanere sterile con il rischio di ridurre la causa ideale e reale del dibattito – cioè la vita e la libertà della nazione polacca – a un oggetto strumentale. Quel che importa, invece, è che il dibattito contribuisca a recare giovamento alla situazione in Polonia, creando alcuni presupposti di chiarimento che permettano di superare la condizione attuale. Aiutando la Polonia, Si contribuirà anche a un miglioramento del contesto europeo e internazionale, e questo, a sua volta, potrà giovare a un’evoluzione positiva del processo interno polacco. 3. A tale fine, occorre prendere coscienza dei valori essenziali che sono in gioco. In primo luogo, esiste un problema storico-politico che riguarda le ragioni di esistenza della nazione polacca, nella sua identità spirituale e culturale, nella sua collocazione geografica, nella sua costante e insopprimibile aspirazione alla indipendenza e alla libertà. È un problema politico non isolato; esso e un problema europeo: la Polonia è situata nel cuore dell’Europa, e nelle grandi crisi europee degli ultimi secoli, in mezzo alle contese tra opposti nazionalismi o imperialismi, il problema polacco è sempre emerso come un fattore di grande rilievo. Nel secolo XVIII il Paese subì tre successive spartizioni; nel secolo XIX la libertà della Polonia fu uno dei «casi di coscienza» dell’Europa liberale e ispirò l’idealismo generoso dei grandi spiriti europei; nel secolo XX, l’aggressione del 1939 alla Polonia (che aveva appena recuperato l’indipendenza nel 1918) ha fatto scoppiare la seconda guerra mondiale, e il primo «impegno» assunto dagli Alleati è stato di restituire l’integrità, la sovranità e l’indipendenza della nazione che le aveva perdute. La natura europea del problema politico polacco è confermata del resto dal significato che ha avuto, per i preliminari della Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, l’accordo tra Polonia e Germania Federale del 7 dicembre 1970. 4. Ma il problema polacco chiama in causa anche alcuni elementi ideali, che fanno parte di quei valori «comuni» che 1’Atto finale di Helsinki riconosce come esistenti tra i popoli di Europa e idonei a sviluppare le loro reciproche relazioni. Tra questi valori sono, particolarmente importanti, il rispetto dell’identità nazionale, nelle sue caratteristiche storiche e culturali, e la possibilità che ogni popolo sia un soggetto libero, arbitro dei propri destini. «Tutti i popoli –dice l’8° principio dell’Atto finale – hanno sempre il diritto, in piena libertà, di stabilire quando e come desiderano il loro regime politico interno ed esterno, senza ingerenza esterna, e di perseguire come desiderano il loro sviluppo politico, economico, sociale e culturale». A sua volta, la ragion d’essere di tale libera determinazione ha la fonte nel complesso «delle libertà e dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali e altri, che derivano tutti dalla dignità inerente alla persona umana e sono essenziali al suo libero e pieno sviluppo» (principio 70 dell’Atto finale). Ambedue i principi – autodeterminazione del popolo ed esercizio effettivo dei diritti e delle libertà fondamentali – corrispondono a una immagine di un uomo che ha inciso in modo particolare nella cultura europea, perché esprimono il rispetto della dignità della persona che i popoli europei hanno contribuito a chiarire e ad affermare con un apporto ricco di pensiero e un’esperienza sofferta di lotte secolari. 5. Questo «significato universale» dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali è riconosciuto di primaria importanza dagli Stati partecipanti, al punto che il rispetto di tali diritti è dichiarato «fatto essenziale della pace, della giustizia e del benessere necessari ad assicurare lo sviluppo delle relazioni amichevoli e della cooperazione fra loro, come fra tutti gli Stati ». Tale affermazione è uno dei punti più elevati e più nobili dell’Atto finale, che supera qualitativamente la stessa Carta dell’ONU (art. 55), in quanto alla «stabilità e al benessere» giudicati come necessari ai pacifici rapporti internazionali, aggiunge il bene etico e supremo della giustizia. Questa «filosofia» etica dell’Atto finale, sollecita e giustamente preoccupata della componente umana della pace e dei rapporti internazionali, «filosofia» che non è una generosa invenzione di interpreti volonterosi, ma è iscritta a chiare parole nei testi, spiega perché l’opinione pubblica europea e mondiale ha ravvisato nella Conferenza di Helsinki una novità e una speranza suscettibili di promuovere un processo di riconciliazione e di umanizzazione che aiuti a superare le divisioni attuali. Tutti noi firmatari dell’Atto finale ci siamo impegnati insieme a proclamare il « significato universale «dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; insieme ugualmente tutti i firmatari hanno il dovere di rispettarli e di vigilare che siano rispettati, prescindendo dalle origini nazionali e dalle convinzioni ideologiche». Questo è il mezzo che ci siamo trovati d’accordo di mettere in atto per realizzare l’obiettivo principale dell’Atto finale: superare la rigida contrapposizione trentennale che, a ragione o a torto, è stata attribuita alle deliberazioni di Yalta, senza minacce alla pace ma anche senza ignorare le esigenze legittime dei popoli. C’è, a questo proposito, un paragrafo illuminante nel proemio dell’Atto finale, il quale dice che «la solidarietà fra i popoli, e la comune finalità che ispira gli Stati partecipanti [...] dovrebbero portare allo sviluppo di relazioni migliori e più strette fra loro in tutti i campi, e quindi al superamento della contrapposizione derivante dalla natura delle loro relazioni passate e a una migliore comprensione reciproca «. In altri termini, l’Atto finale impegna i firmatari a venirsi incontro, nonostante le loro divergenze di qualsiasi natura. Al contrario, gli avvenimenti di Polonia riaccendono le tensioni internazionali e alimentano il confronto nelle sue forme più aspre. Essi vanno contro quella che è stata la benefica «sfida» di Helsinki: «il superamento della contrapposizione derivante dalla natura delle relazioni passate». Se la crisi polacca non sarà risolta nel rispetto della filosofia etica che abbiamo ricordato, si rinuncerà di fatto agli impegni politici di Helsinki, per ritornare alle pericolose contrapposizioni precedenti. Si impone pertanto una chiarificazione comune, se vogliamo riprendere la via tracciata il 1° agosto 1975. Da parte sua, il popolo polacco ha diritto di aspettarsi che questa «filosofia» sia applicata a suo favore, e che una soluzione positiva del proprio problema nazionale conduca al superamento di quelle contrapposizioni delle quali esso è stato, troppe volte, oggetto e vittima. 6. La Santa Sede ha particolari ed evidenti motivi per incoraggiare e sostenere tale solidarietà internazionale. A motivo della sua missione, rivolta all’uomo, non può tacere se i diritti umani sono minacciati o violati. Essa è convinta che le istituzioni civili e sociali hanno fondamento e giustificazione nel consenso e nella partecipazione degli uomini e delle donne che compongono una determinata società. Difendendo l’esercizio dei diritti dell’uomo, la Santa Sede non promuove una contestazione allo Stato e alla sua autorità, ma indica la fonte della legittimità di questa stessa autorità. L’esercizio dei diritti dell’uomo è un fattore determinante per la pace sociale. Infine, prendendo come base la dignità delle persone nei diritti e nei doveri, si contribuisce a formare cittadini che sono liberi nella loro coscienza e consapevoli delle responsabilità che devono assumersi per conseguire il bene di tutti. 7. In ogni Paese la Chiesa vive con le persone, con le famiglie, con il popolo; è coinvolta nei loro sentimenti, ne condivide ansie e aspettative, gioie e sofferenze. Particolarmente intenso è il legame, storico e affettivo, che unisce la Chiesa alla nazione polacca. Penso che non solo per i credenti, ma anche per gli spiriti aperti alla riflessione storica, non sia senza significato il fatto che – al culmine di una vicenda di due secoli, alla vigilia di un processo di maturazione interna – una nazione così provata e travagliata abbia dato un proprio figlio al bimillenario pontificato romano. Non potrebbe essere un modo di cui Qualcuno – la Provvidenza per noi, per altri la Storia – si serve per dare a un problema di così alta portata morale, come quello che la Polonia vive, il tramite e la risonanza universali che merita, in quanto è un valore che è destinato a incidere nella coscienza dei popoli? In tale disposizione di spirito, la Santa Sede non intende contrapporsi a nessuno; essa non è mai contro, essa è sempre per, cioè in favore di determinate realtà umane, impegnata a difenderle e affermarle. Il suo contributo vuole essere spirituale e morale, e non politico; caso mai, è politico in senso originario, cioè a favore delle ragioni ideali della polis, della società. Quando queste ragioni sono negate, la Santa Sede non si appaga della sterile polemica ma, condividendo la sofferenza degli esseri umani, custodisce la speranza che un ripensamento, un cambiamento siano possibili, che la porta per il dialogo non sia sbarrata. Ci sono certi interrogativi a cui non si può sfuggire, e che anche i Governi sono chiamati a porsi. Uno, che è fondamentale, e corrisponde all’etica del nostro Atto finale, è precisamente questo: È giusto che una nazione, dopo aver tentato l’esperienza di più libere istituzioni nel campo dell’economia e del lavoro – e tutto ciò in virtù della propria forza morale, senza ricorrere mai alla violenza! – veda ordinare ai suoi figli di servire la patria a scapito delle libertà del popolo di cui fanno parte? La storia insegna che la gioventù ha il diritto di attendersi prospettive giuste anche per il proprio vivere sociale così che quando questa responsabilità viene elusa o contraddetta, le generazioni successive provvedono, con lo slancio di novità che ciascuna porta, a ristabilire la giustizia violata. 8. Questi interrogativi avranno una risposta positiva? La Santa Sede non dispera, anche se oggi un’attesa del genere sembra difficile che trovi conferma. Essa continuerà serena nella sua azione, non rinunciando all’attesa; lieta se le ragioni del popolo polacco – così come di tutti i popoli che debbano far fronte a così ardue eventualità – continueranno a trovare appoggio solidale negli altri popoli d’Europa e del mondo; non desistendo dal suo impegno neppure se questa solidarietà dovesse, per qualsiasi motivo, e in qualunque modo, attenuarsi. La Santa Sede non lascerà perdere le giuste ragioni del popolo polacco! Parimente, siamo convinti che affrontando il problema polacco nella prospettiva che abbiamo delineato non si mettono in pericolo risultati, non certo irrilevanti, finora conseguiti in questa riunione di Madrid, ma anzi si dà loro un significato più incisivo e più alto. Noi crediamo che una soluzione della crisi polacca darebbe alla CSCE un collaudo positivo che si rifletterebbe sugli stessi obiettivi della nostra riunione: il problema del disarmo e lo sviluppo della cooperazione in tutti i campi. Darebbe la conferma che esiste una «filosofia» inter-europea che non è di contrapposizione, né di subordinazione, ma di collaborazione nell’uguaglianza e nel rispetto reciproco. Noi non dobbiamo stancarci di operare perché l’Atto finale di Helsinki possa sviluppare tutta la sua fecondità e dinamicità, così che i popoli vi ravvisino le ragioni della loro speranza, ed esso rimanga un riferimento efficace nel cammino storico dell’Europa. *L'Osservatore Romano 14.2.1982 p.1,6. RULLI G., Per un’Europa senza frontiere. Da Yalta a Helsinki, Roma 1985, p.185-190. ____________________________________________________________________________ Mgr Silvio LUONI Intervention durant la deuxième phase des travaux de la Réunion de Madrid, sur le point 8** 12 février 1982 Ces deux finalités fondamentales de la Conférence sur la sécurité et la coopération en Europe – la paix internationale réaffirmée entre les États participants et l’engagement d’observer une éthique de comportement dans leurs rapports, fondée sur le respect des droits de tous les peuples et de tous les hommes – sont les deux raisons qui ont poussé le Saint-Siège à jouer un rôle propre de responsabilité concrète dans la Conférence. Ces raisons restent aussi valables aujourd’hui qu’en 1975. Le Saint-Siège est convaincu que l’Acte final d’Helsinki a établi entre les États participants un «pacte» collectif de solidarité, en vertu duquel les situations de crise qui mettent en danger la paix ou en discussion les principes sur lesquelles il se fonde doivent être affrontées avec réalisme et dans un esprit ouvert, dans le but de les résoudre en surmontant les divergences dans l’évaluation. Ignorer les crises quand elles éclatent, ce serait fermer les yeux devant la réalité; s’abstenir de les prendre en compte ou les utiliser comme un objet de rétorsion polémique, cela équivaudrait à être infidèle à un engagement commun, pas non seulement devant les gouvernements, mais aussi et surtout devant les peuples intéressés. C’est précisément le cas pour les graves événements de Pologne. Il est donc naturel que le débat politique de ces événements soit chargé de sentiments, de passions et aussi d’intérêts qui donnent lieu, sur le plan international, à une confrontation nettement polémique. Confrontation inévitable mais qui pourrait rester stérile, avec le risque de réduire la cause idéale et réelle du débat – à savoir la vie et la liberté de la nation polonaise – à un objet instrumental. Ce qui importe, au contraire, c’est que le débat contribue à apporter une aide à la situation de la Pologne, en créant un certain nombre de conditions de clarification qui permettent de dépasser la situation actuelle. En aidant la Pologne, on contribuera aussi à une amélioration du contexte européen et cela, à son tour, pourra favoriser une évolution positive du processus interne de la Pologne. En premier lieu, il existe un problème historico-politique qui concerne les raisons d’existence de la nation polonaise, dans son identité spirituelle et culturelle, dans sa position géographique, dans sa constante et irrépressible aspiration à l’indépendance et à la liberté. C’est là un problème politique non isolé; c’est un problème européen. La Pologne est située au cœur de l’Europe et, dans les grandes crises européennes des derniers siècles, au milieu des rivalités entre nationalismes et impérialismes opposés, le problème polonais a toujours émergé comme un facteur de premier plan. Au XVIII’ siècle, le pays a subi trois partages successifs; au XIXe siècle, la liberté de la Pologne a été l’un des «cas de conscience» de l’Europe libérale et a inspiré l’idéalisme généreux des grands esprits européens; au xx’ siècle, l’agression de 1939 contre la Pologne (qui avait à peine recouvré l’indépendance en 1918) a entraîné l’éclatement de la Seconde Guerre mondiale, et le premier «engagement» pris par les Alliés fut de rendre l’intégrité, la souveraineté et l’indépendance à la nation qui les avait perdues. La nature européenne du problème politique polonais est du reste confirmée par la signification qu’à revêtue, dans les préliminaires de la Conférence sur la sécurité et la coopération en Europe, l’accord entre la Pologne et l’Allemagne Fédérale le 7 décembre 1970. Parmi ces valeurs, sont particulièrement importantes: le respect de l’identité nationale dans ses caractéristiques historiques et culturelles et la possibilité pour chaque peuple d’être un sujet libre, arbitre de son propre destin. «Tous les peuples – dit le Principe VIII de l’Acte final – ont toujours le droit en pleine liberté, d’établir quand et comme ils le désirent leur régime politique interne et externe, sans ingérence extérieure, et de poursuivre comme ils le désirent leur développement politique, économique, social et culturel». A son tour, la raison d’être d’une telle libre détermination trouve sa source dans l’ensemble «des libertés et des droits civils, politiques, économiques, sociaux, culturels et autres, qui dérivent tous de la dignité humaine et sont essentiels a son libre et plein développement» (Principe VIII de l’Acte final). L’un et l’autre principes – l’autodétermination du peuple et l’exercice effectif des droits et des libertés fondamentales – correspondent à une image de l’homme qui a influencé de manière particulière la culture européenne: ils expriment en effet le respect de la dignité de la personne que les peuples européens ont contribué à éclairer et a affirmer, par un apport riche de pensée et une expérience obtenue au cours de luttes séculaires. Une telle affirmation est l’un des points les plus élevés et les plus nobles de l’Acte final qui, sur le plan qualitatif, va plus loin que la Charte même de l’ONU (art. 55), dans la mesure ou, à la «stabilité et au bien-être» considérés comme nécessaires aux rapports pacifiques internationaux, il ajoute le bien éthique et suprême de la justice. Cette «philosophie» éthique de l’Acte final, soucieuse et à bon droit préoccupée de la composante humaine de la paix et des rapports internationaux, une «philosophie» qui n’est pas une intervention généreuse d’interprètes volontaristes, mais qui est inscrite en termes clairs dans les textes explique pourquoi l’opinion publique européenne et mondiale a vu dans la Conférence d’Helsinki une nouveauté et une espérance susceptibles de promouvoir un processus de réconciliation et d’humanisation qui contribue à dépasser les divisions actuelles. Nous tous qui avons signé l’Acte final, nous nous sommes engagés ensemble à proclamer la «signification universelle» des droits de l’homme et des libertés fondamentales; ensemble aussi, tous les signataires ont le devoir de les respecter et de veiller à ce qu’ils soient respectés, abstraction faite des origines nationales et des convictions idéologiques. Tel est le moyen sur lequel nous sommes tombés d’accord pour réaliser l’objectif principal de l’Acte final: dépasser le rigide affrontement de trente années qui, à tort ou à raison, a été attribuée aux délibérations de Yalta, sans menaces pour la paix, mais aussi sans ignorer les exigences légitimes des peuples. A ce propos, il y a dans le préambule de l’Acte final un paragraphe révélateur selon lequel «la solidarité entre les peuples et la commune finalité qui inspire les États participants [..] devraient aboutir au développement de relations meilleures et plus étroites entre eux dans tous les domaines, et donc au dépassement de l’opposition découlant de la nature de leurs relations passées ainsi qu’à une meilleure compréhension réciproque». En d’autres termes, l’Acte final engage les signataires à aller a la rencontre les uns des autres, en dépit de leurs divergences, de quelque nature qu’elles soient. Au contraire, les événements de Pologne rallument les tensions internationales et alimentent l’affrontement sous ses formes les plus dures. Ils vont à l’encontre de ce qui a été le bienfaisant «défi» d’Helsinki: le dépassement de l’opposition découlant de la nature des relations passées». Si la crise polonaise n’est pas résolue dans le respect de la philosophie éthique que nous avons rappelée, on renoncera de fait aux engagements politiques d’Helsinki, pour retourner aux dangereuses oppositions précédentes. Si nous voulons reprendre la voie tracée le 1er août 1975, une clarification commune s’impose donc. En raison de sa mission qui s’adresse à l’homme, il ne peut se taire lorsque les droits de l’homme sont menacés ou violés. Il est convaincu que les institutions civiles et sociales trouvent leur fondement et leur justification dans le consensus et dans la participation des hommes et des femmes qui forment une société déterminée. En défendant l’exercice des droits de l’homme, le Saint-Siège ne promeut pas la contestation de l’État et de son autorité, mais indique la source de la légitimité de cette même autorité l’exercice des droits de l’homme est un facteur déterminant pour la paix sociale. Enfin, en prenant pour base la dignité des personnes dans les droits et les devoirs, on contribue à former des citoyens qui soient libres dans leur propre conscience et conscients des responsabilités qu’ils doivent assumer pour obtenir le bien de tous. Dans une telle disposition d’esprit, le Saint-Siège n’entend s’opposer à personne: il n’est jamais contre il est toujours pour, c’est-à-dire en faveur de réalités humaines déterminées, engagé à les défendre et à les affirmer. Sa contribution veut être spirituelle et morale, et non politique; tout au plus, est-elle politique au sens étymologique du terme, c’est-à-dire en faveur des raisons idéales de la polis, de la société. Lorsque ces raisons sont niées, le Saint-Siège ne se contente pas d’une polémique stérile, mais, partageant la souffrance des êtres humains, elle garde l’espoir qu’une nouvelle réflexion, un changement sont possibles, que la porte du dialogue n’est pas fermée. Il y a certes des interrogations auxquelles on ne peut échapper, et que même les gouvernements sont appelés à se poser. L’une d’entre elles, qui est fondamentale et correspond à l’éthique de notre Acte final, est précisément celui-ci: est-il juste qu’une nation après avoir tenté l’expérience d’institutions plus libres dans les domaines de l’économie et du travail – et tout cela en vertu de sa propre force morale, sans jamais recourir a la violence – voie ses fils recevoir l’ordre de servir la patrie aux dépens de la liberté du peuple dont ils font partie? L’histoire enseigne que la jeunesse est en droit d’attendre des perspectives Justes, y compris pour la vie sociale elle-même, et que, lorsque cette responsabilité se voit refusée ou contredite, les générations successives tendent, avec l’élan de nouveauté que chacun porte en soi, à rétablir la justice violée. De même, nous sommes convaincus que, en abordant le problème polonais dans la perspective que nous venons de décrire, on ne met pas en danger les résultats qui ne sont d’ailleurs pas sans importance, obtenus jusqu’ici par la Conférence de Madrid, mais qu’au contraire on leur donne une signification plus nette et plus profonde. Nous croyons quant à nous qu’une solution à la crise polonaise vaudrait à la Conférence sur la sécurité et la coopération en Europe une approbation positive qui se reflèterait sur les objectifs même de notre réunion: le problème du désarmement et le développement de la coopération dans tous les domaines. Cela confirmerait qu’il existe une «philosophie» inter-européenne qui n’est ni d’opposition ni de subordination, mais de collaboration dans l’égalité et dans le respect réciproque. Nous ne devons pas nous lasser d’agir, afin que l’Acte final d’Helsinki puisse développer tous ses éléments féconds et dynamiques, de manière que les peuples y entrevoient les raisons de leur espoir, et qu’il demeure une référence efficace sur la route historique de l’Europe. **L'Osservatore Romano. Edition hebdomadaire en langue française n.9 p.2. La Documentation catholique, n.1927 p.351-353. _____________________________________________________________________________ Mgr Silvio LUONI Intervention durant la deuxième phase des travaux de la Réunion de Madrid, sur le point 8*** 12 février 1982
In the first place, there is an historical-political problem that concerns the raison d’être of the Polish nation, in its spiritual and cultural identity, in its geographic location, in its constant and indomitable aspiration to independence and freedom. It is not an isolated problem; it is a European problem: Poland is situated at the heart of Europe, and in the great European crises of recent centuries in the midst of the strifes between opposing nationalisms or imperialisms, the Polish problem has always emerged as a factor of great importance. In the 18th century the country underwent three successive partitions; in the 15th century Poland’s freedom was one of the matters of conscience» of the Europe and inspired the generous idealism of great european souls, in the 20 h century the invasion of Poland in 1939 (it had just regained independence in 1918) caused the out-break of the Second World War, and the first» pledge’ given by the Allies was to restore the integrity, the sovereignty and the independence that the nation had lost. The European nature of the Polish political problem is further confirmed by the significance that the 7 December 1970 accord between Poland and the Federal Republic of Germany had for the preparation of the conference for Security and Cooperation in Europe. Particularly important among these values are the respect for national identity, in its historical and cultural characteristics, and the possibility for each people to be a free subject, determining its own fate. «All peoples,» says the Eighth Principle of the Final Act, «always have the right, in full freedom, to establish, when and how they wish, their internal and external political regime, without external interference, and to pursue as they wish their political, economic, social and cultural development». In turn the raison d’être of this free determination arises from the combination of «the freedoms and civil, political, economic, social, cultural and other rights that all derive from the dignity inherent in the human person and are essential to his free and full development» (7th Principle of the Final Act). Both principles – self-determination of the people and effective exercise of rights and fundamental freedoms – correspond to an image of man engraved particularly in European culture because they express the respect for the dignity of the person that European peoples have helped to clarify and affirm with a rich contribution of thought and an experience endured during from centuries-old struggles. This affirmation is one of the loftiest and noblest points of the Final Act, which qualitatively surpasses the very Charter of the U.N. (art. 55) in so far as it adds the ethical and supreme good of justice to the «stability and well-being» judged necessary for peaceful international relations. This ethical «philosophy» of the Final Act is concerned and rightly preoccupied with the human element of peace and international relations. A «philosophy» that is not a generous invention of interpreters full of good will but is inscribed in clear words in the texts, it explains why European and world public opinion has recognized in the Helsinki Conference a newness and a hope susceptible of promoting a process of reconciliation and humanization that will help overcome the current divisions. All of us signers of the Final Act are committed together to proclaim the «universal significance» of the rights of man and of fundamental freedoms; all of us signers likewise have the duty to respect them and to see that they are respected, prescinding from national origins and ideological convictions. This is the means we have agreed upon to put into practice and realize the principal objective of the Final Act: to overcome the thirty-year-old rigid opposition that rightly or wrongly has been attributed to the deliberations at Yalta, without threats to peace, but also without ignoring the legitimate demands of peoples. In this connection there is an enlightening paragraph in the preface of the Final Act, which says that «the solidarity among peoples and the common goal that inspires the participating States... should Lead to the development of better and closer relations among them m all fields, and therefore to the overcoming of the opposition arising from the nature of their past relations, and to a better mutual understanding». In other words, the Final Act pledges the signers to come together, notwithstanding their differences of whatever nature. On the contrary, the events in Poland rekindle international tensions and nourish confrontation in its harshest forms. They run counter to what has been the beneficial «challenge» of Helsinki: «the overcoming of opposition arising from the nature of past relations». If the Polish crisis is not resolved in respect for the ethical philosophy that we have recalled, it will in fact relinquish the political commitments of Helsinki to return to the previous dangerous oppositions. Therefore a common clarification is necessary if we wish to resume the way mapped out on I August 1975. On its part, the Polish people has the right to expect that this «philosophy» be applied in its favour, and that a positive solution to its national problem lead to overcoming those oppositions of which it has too many times been the object and victim. Because of its mission, directed to man she cannot remain silent if human rights are threatened or violated. She is convinced that civil and social institutions find their basis and justification in the consensus and participation of-men and women who make up a determined society. Defending the exercise of the rights of man, the Holy See is not advocating a challenge to the State and its authority, but is indicating the source of the legitimacy of this very same authority. The exercise of the rights of man is a decisive factor for social peace. After all taking as a basis the dignity of persons in rights and duties one contributes to forming citizens who are free in conscience and aware of the responsibilities they must assume to pursue the good of everyone. We must not grow tired of striving to ensure that the Helsinki Final Act may develop all its fecundity and dynamism, that the peoples may recognize in it the reasons for their hope, and that it may remain an effective landmark on the historic road of Europe. In the same session of the Madrid meeting, several other heads of the thirty-five participating delegations spoke. Among the other interventions, we draw attention to those of the French and British Foreign Ministers – Claude Cheysson and Lord Carrington, respectively – ho, «Reuter» reports, addressed severe indictments against the military regime established in Poland last 13 December. As is known, thirty-five Delegations are taking part in the Madrid meeting, representing the Holy See, all the States of Europe except Albania, and two North American countries, namely, the United States and Canada. The Madrid meeting, which began its work on 11 November 1980, is similar to the one held in Belgrade (October 1977 to March 1978) among the representatives of the States that had participated in the Conference on Security and Cooperation in Europe that concluded with the signing of the Helsinki Final Act (I August 1975). The Belgrade and Madrid meetings were convoked in accordance with the dispositions of the same Final Act relative to the continuation of the aforesaid Conference. ***L'Osservatore Romano. Weekly Edition in English n.12 p.10.
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