SESSIONE DI CHIUSURA DELLA RIUNIONE DI MADRID INTERVENTO DI MONS. ACHILLE SILVESTRINI* Mercoledì, 7 settembre 1983 Signor Presidente, vorrei anzitutto rivolgere un vivissimo ringraziamento alla nazione ed al governo spagnoli: grazie alla loro ospitalità, la riunione di Madrid ha potuto svolgersi in un contesto umano veramente cordiale, che non è del tutto estraneo ai risultati. Il mio grazie sincero va anche a tutto il personale del segretariato esecutivo e al suo capo competente e instancabile, l’ambasciatore Raimundo Perez Hernández. La loro discrezione è stata pari alla loro efficacia, e i loro servizi hanno molto facilitato il compito delle nostre delegazioni. Mi sia consentito infine di rivolgere un pensiero grato alla memoria del compianto nunzio mons. Silvio Luoni, che presiedette la delegazione della Santa Sede fino alla primavera dello scorso anno. A dire il vero, non è che la riunione di Madrid abbia incoraggiato troppe speranze. Come fragile navicella in un mare di scogli e di marosi incominciò il suo incerto cammino quasi tre anni fa e, dopo fasi alterne e prolungati rinvii, è giunta ora all’approdo. Ma le tensioni internazionali più gravi non sono attenuate; e intanto si è fatto sempre più pesante l’incubo della corsa agli armamenti, per la quale né appelli né sforzi di negoziato lasciano prevedere ancora lo sbocco di una soluzione sufficientemente ragionevole e realistica. Il gravissimo, preoccupante episodio di questi giorni in Asia orientale mostra che il limite di guardia è ben vicino, e che un attimo di irresponsabilità può bastare per far rovinare tutti i castelli di buone parole e di lodevoli intenzioni faticosamente costruiti dalla diplomazia sia a Madrid sia altrove. Le crisi gravi, alcune croniche altre improvvise, che tormentano la vita dei popoli in aree diverse del mondo – in Medio Oriente, in America centrale, nel continente africano – non sono oggetto proprio di questa riunione; così pure esorbitano dai suoi lavori i grandi negoziati per la limitazione degli armamenti, sia strategici sia regionali, né trovano qui considerazione diretta i pur urgenti problemi della fame, della siccità, della cooperazione internazionale tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo, cioè quella dimensione Nord-Sud in cui crescono e si accumulano, in modo preoccupante, nuovi e più gravi squilibri. Ma è anche vero che la riunione di oggi a Madrid, ove l’Europa è rappresentata con tutto il suo peso politico, economico, e tecnologico, e dove passa, attraverso i rapporti Est-Ovest, l’altra dimensione di tensioni o di collaborazioni che si ripercuote nella vita del mondo intero, ha un peso che può contribuire significativamente a offrire speranza di migliori prospettive per la vita internazionale. Quando Madrid diede inizio ai lavori, le attese, specialmente dopo lo scacco di Belgrado, erano vive; le idee e le proposte confluite sul tavolo della riunione numerose e ambiziose. I negoziati sono stati faticosi, spesso estenuanti, e dobbiamo dare atto a tutte le delegazioni, e ai loro solerti componenti, di avere operato con pazienza superando le frustrazioni dei ricorrenti rinvii, e ricominciando con tenacia ogni volta che si riapriva uno spiraglio. Il documento che abbiamo dinanzi non è esaltante: molte delegazioni, forse tutte o quasi, trovano più importante di quello che effettivamente c’è, quello che avrebbero desiderato che vi fosse scritto. Tuttavia, si deve riconoscere che a Madrid – diversamente che a Belgrado – c’è stato un accordo su qualcosa di consistente, e che questo qualcosa è significativo, interessante, e in qualche misura anche nuovo. Anzitutto, il testo conserva l’equilibrio della Carta di Helsinki, con la complementarità che è essenziale tra il fattore della sicurezza militare e il fattore umano. Nel campo della sicurezza la prevista convocazione di una Conferenza sulle misure di fiducia e di sicurezza e sul disarmo in Europa è una iniziativa di grande importanza. Senza pronunciarsi sugli aspetti tecnici, la Santa Sede ha viva speranza ed esprime l’augurio che tale forum servirà a creare una metodologia e un sistema capaci di garantire la fiducia, riducendo efficacemente le occasioni e i motivi che, alimentando la diffidenza, accrescono i fantasmi sinistri della guerra. Inoltre, nel riaffermare i dieci princìpi di corretto comportamento nei rapporti tra gli Stati, sono interessanti – anche rispetto all’Atto finale del 1975 – gli impegni espliciti e solenni, espressi in quattro circostanziati paragrafi, di «allargare e rafforzare» la cooperazione per prevenire e combattere gli atti di terrorismo, anche impedendo che i propri territori siano usati per una loro ipotetica preparazione. Se pensiamo a quanti atti disumani, a quali eccidi agghiaccianti hanno gettato nell’angoscia e nel lutto persone, famiglie, e talora città intere in vari Paesi d’Europa, o hanno diretto intenzionalmente la violenza – anche se felicemente talvolta senza conseguire l’effetto omicida – contro diplomatici, uomini rappresentativi, personalità rivestite della più alta e rispettata autorità morale, ci rendiamo conto del significato e dell’importanza di una tale collaborazione. Un altro elemento positivo del documento di Madrid è la determinazione espressa dagli Stati di «assicurare continuo e tangibile progresso» che miri «a un ulteriore e stabile sviluppo» dell’esercizio effettivo dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. È un elemento di grande significato, perché ogni progresso in questo settore ha effetto rassicurante nell’animo della gente di tutti i Paesi, e ogni ostacolo o regresso causa malessere, turbamento e sfiducia. Le due riunioni di esperti sui diritti dell’uomo (Ottawa, maggio 1985) e sui contatti umani (che dovrà aver luogo a Berna nel 1986) sono testimonianza che la CSCE vuole uscire dalle formulazioni astratte per affrontare problemi e difficoltà concrete. Vane disposizioni per semplificare le procedure di riunificazione delle famiglie e per facilitare le condizioni idonee a diffondere e a usufruire dell’informazione dovrebbero contribuire a una migliore comprensione tra popolazioni viventi sotto regimi politici diversi. Così pure possono essere fecondi semi di pace determinati impegni diretti ad applicare le direttive di Helsinki nel campo della collaborazione culturale. Nel vasto campo dei diritti umani, la delegazione della Santa Sede – la quale ha profondo interesse per tutti i diritti, specialmente quelli che toccano più direttamente i valori della giustizia e del bene della persona – ha dedicato, come già fece a Helsinki, un suo speciale impegno al problema della libertà di coscienza e di religione, presentando alcune proposte e trovando convinta collaborazione da parte di numerose delegazioni, alle quali va il mio vivo ringraziamento. I testi ora inseriti nel documento al paragrafo 10 dei principi e al paragrafo 11 dei contatti umani, contengono tre precisazioni nuove, che bene esprimono la dimensione dinamica dell’Atto finale: impegno degli Stati a «intraprendere l’azione necessaria per garantire» la libertà di religione o di credo; il riconoscimento che confessioni, istituzioni e organizzazioni religiose hanno titolo per essere consultate, «quando sia necessario», dalle autorità civili in materia di applicazione di questa libertà; l’impegno a prendere in favorevole considerazione le domande che comunità religiose di credenti presentino per ottenere lo statuto appropriato previsto dalle leggi del rispettivo Paese per le confessioni religiose. E un punto che soddisfa l’esigenza della giustizia distributiva in quanto vuole evitare che a una confessione o a un culto sia rifiutata la possibilità di esistenza legale che alle medesime condizioni è riconosciuta ad altre. La Santa Sede esprime per queste disposizioni il suo apprezzamento, e le vede come un passo avanti per un più ampio rispetto del diritto alla libertà di religione e di credo. Un passo avanti, come era stato auspicato dalla lettera personale che papa Giovanni Paolo II inviò a tutti i capi degli Stati partecipanti il 1° settembre 1980, alla vigilia dell’apertura della riunione di Madrid. Quel documento, basandosi sull’esperienza viva della Chiesa cattolica, considera tutti gli aspetti specifici della libertà di coscienza e di religione nella sua espressione completa, che riguarda sia gli individui sia le comunità confessionali. Solo il riconoscimento e il rispetto di tutti gli aspetti individuali e comunitari, che sono tra loro strettamente legati e complementari, può dare piena applicazione al diritto alla libertà religiosa. È innegabile infatti che non di rado c’è un grosso divario tra le formulazioni sui diritti fondamentali dell’uomo, sanciti in testi costituzionali e legislativi, e la prassi reale, quale risulta dal meccanismo dei regolamenti, dei controlli burocratici, degli interventi di polizia. La libertà è bella, e nessuno vuole essere secondo ad altri nel proclamarla; ma ben più arduo e incomodo è assicurarne l’effettivo godimento. Sempre si richiede uno sforzo coraggioso e perseverante per vincere resistenze, correggere mentalità, denunciare violazioni, introdurre rimedi. La ricordata riunione di esperti, che dovrà aver luogo nel maggio 1985 a Ottawa, dovrebbe fornire un buon contributo al riguardo. Ma la gente che vive la realtà di ogni giorno è spesso assai più impaziente dei diplomatici. Soprattutto quando la privazione del diritto tocca la vita intima delle persone – come nella libertà di coscienza e di religione –, la frustrazione e la sofferenza mal sopportano indugi e attese. Al Papa, alla Santa Sede pervengono di continuo appelli e richieste, anche di credenti non cattolici (ortodossi, evangelici e di vane denominazioni cristiane), così come di non cristiani (ebrei e musulmani) che si esprimono con accenti angosciati. In un’epoca in cui tutti esaltano ha libertà di pensiero, purtroppo ancora si imprigiona, si spedisce in campo di concentramento, o si condanna all’esilio, per motivi di fede religiosa; e tali fatti dolorosi, lungi dal diminuire, registrano in questi ultimi tempi preoccupanti recrudescenze. C’è inoltre il curioso paradosso che l’esercizio della libertà di religione o di credo, che la Costituzione garantisce quanto all’espressione del culto, ha l’effetto negativo, nel campo sociale, di esporre i credenti – padri di famiglia, così come giovani che si affacciano alle responsabilità della vita – a discriminazioni o emarginazioni negli studi, nelle carriere di lavoro, neghi uffici pubblici. Parimente, intere comunità religiose si trovano costrette a vivere clandestinamente, là dove altre godono uno statuto di legalità: la Chiesa cattolica non può abbandonare la speranza che i fedeli di rito orientale possano essere riammessi a godere ha legittimità civile nei Paesi in cui ne sono privi. Sono convinto che questa Conferenza, nata a Helsinki nel 1973 tra alterne diffidenze e speranze, proseguita con faticoso cammino secondo il ritmo altalenante della distensione, e spesso giudicata ambigua o inutile, nonostante tutto potrà alimentare il sottile respiro che la tiene in vita finché continui a far balenare ai popoli due prospettive ideali: 1) che c’è un’Europa comune alle genti dell’Est e dell’Ovest; 2) che il campo possibile di cooperazione è rivolto, accanto alle garanzie per la sicurezza, a un miglioramento delle condizioni di vita e dei rapporti umani. Del resto, la grave crisi che ha interrotto e bloccato lungamente i lavori della riunione di Madrid – in seguito agli avvenimenti del 13 dicembre 1981 in Polonia – ha confermato la coerenza di un’ipotesi – la cooperazione paneuropea – la quale, per essere credibile, non può prescindere dal dare attenzione ad alcune istanze fondamentali di giustizia per la vita degli uomini e delle nazioni. Una volta ancora la Polonia emergeva come «il caso di coscienza» di tutti gli europei. Per tale problema, che appassionò il dibattito di questa riunione nel febbraio dello scorso anno, è auspicabile e possibile la soluzione – conforme ai principi dell’Atto finale, a tutti i dieci principi! – dell’intesa attraverso il dialogo, il quale è frutto di una vittoria di natura morale, «contemporaneamente vittoria dei governati e dei governanti», come si è espresso il Santo Padre Giovanni Paolo II nella sua omelia a Varsavia il 17 giugno scorso. «Si tratta – ha detto il Papa – dell’ordine maturo della vita nazionale e di quella dello Stato, nella quale saranno rispettati i fondamentali diritti dell’uomo. Solo una vittoria morale può portare la società fuori della revisione e restituire l’unità». Vent’anni fa, con la Pacem in terris, Giovanni XXIII invitò a scrutare «i segni dei tempi». Lo disse alla Chiesa, ma anche alla generazione presente. Dove vanno gli uomini, dove va la società nel ventennio che ci porta al duemila? Verso frontiere che nel 1945, quando i popoli di Europa si ritrovarono esausti dopo l’immane guerra che prostrò il continente, non erano certo immaginabili. La nuova era nucleare, la conquista degli spazi, il diffondersi delle strumentazioni elettroniche, i progressi sempre più rapidi delle scienze in ogni campo sembrano offrire all’uomo poteri incommensurabili, per la vita e per la morte. Possibilità di costruire sistemi di oppressione e di terrore, che in mano a pochi potrebbero rendere irrimediabilmente schiave le moltitudini, così come moltiplicare ordigni sempre più perfetti e micidiali, pronti a seminare il terrore e la distruzione. Questa è l’ipotesi negativa. Al medesimo tempo, le stesse potenzialità, gli stessi poteri possono divenire strumento di sollievo e di liberazione in tutti i campi del vivere umano, solo che lo si voglia, solo che il senso della vera dignità dell’uomo ispiri le coscienze a costruire una società libera e giusta, nell’ambito di ogni nazione, come nei rapporti tra i popoli. E l’ipotesi positiva che, diversamente dall’altra che ci sovrasta, ora sembra meno probabile e quasi utopica. Ma l’homo artifex, l’uomo autore di strumenti sofisticati e ambivalenti nella loro destinazione di bene o di male, porta anche nel cuore nonostante le divisioni e le diffidenze – l’ansia insopprimibile della verità, della libertà, della giustizia, dalle quali continuerà a scaturire – come nella storia passata, così in quella futura – la luce che dirige il suo cammino. «E ogni uomo, credente o no, – dice Giovanni Paolo II nel messaggio per la pace del 10 gennaio di quest’anno – pur restando prudente e lucido circa la possibile ostinazione del suo fratello, può e deve conservare una sufficiente fiducia nell’uomo, nella sua capacità di essere ragionevole, nel suo senso del bene, della giustizia, dell’equità, nella sua possibilità di amore fraterno e di speranza, mai totalmente pervertiti, per scommettere sul ricorso al dialogo e sulla sua possibile ripresa». In queste settimane i mass-media ci hanno mostrato folle disarmate che si riunivano pacificamente, senza violenza, e mosse da spontanei impulsi, per invocare più libertà e più dignitose condizioni di vita. In città diverse, in continenti diversi. Simultaneamente, con gli stessi accenti, senza accordi presi tra loro. È un caso, o un «segno dei tempi»? L’uomo, quando vuole, può dire ancora la parola che conta. Per la sua libertà, per la sua pace. A queste parole deve ispirarsi, se non vuole essere effimera, l’azione della nostra e di tutte le diplomazie. *L'Osservatore Romano 8.9.1983 p.1, 2. G. RULLI, Per un’Europa senza frontiere, p.191-199. ____________________________________________________________________________ Mgr Achille SILVESTRINI Intervention à la session clôture de la Réunion de Madrid* Mercredi 7 septembre 1983
Je voudrais avant tout adresser un très vif remerciement à la nation et au gouvernement espagnols. Grâce à leur hospitalité, la réunion de Madrid a pu se dérouler dans un contexte humain vraiment cordial qui n’est pas du tout étranger aux résultats obtenus. Mes remerciements sincères vont aussi à tout le personnel du secrétariat exécutif et à son chef compétent et infatigable, M. l’ambassadeur Raimundo Perez Hernandez. Leur discrétion a égalé leur efficacité et leurs services ont beaucoup facilité la tâche de nos délégations. Qu’il me soit permis enfin d’adresser une pensée de reconnaissance à la mémoire du regretté nonce Mgr Silvio Luoni qui a présidé la délégation du Saint-Siège jusqu’au printemps de l’année dernière. A vrai dire, ce n’est pas que la réunion de Madrid ait encouragé trop d’espérances. Comme une nacelle fragile sur une mer pleine d’écueils et agitée, elle a commencé sa marche incertaine il y a presque trois ans et, après des vicissitudes et des interruptions prolongées, elle est maintenant arrivée au port. Mais les tensions internationales les plus graves ne se sont pas atténuées et, pendant ce temps, le cauchemar de la course aux armements, pour laquelle ni les appels ni les efforts de négociation ne laissent encore prévoir qu’ils vont déboucher sur une solution suffisamment raisonnable et réaliste, s’est fait toujours plus pesant. L’épisode très grave et très préoccupant de ces derniers jours en Asie orientale montre que la cote d’alerte est bien proche et qu’un instant d’irresponsabilité peut suffire pour ruiner tous les châteaux de bonnes paroles et de louables intentions péniblement construites par la diplomatie, soit à Madrid, soit ailleurs. Les graves crises, quelques-unes chroniques et d’autres imprévues, qui tourmentent la vie des peuples dans différentes parties du monde – au Moyen Orient, en Amérique centrale, dans le continent africain – ne sont pas proprement l’objet de cette réunion. De même, les grandes négociations pour la limitation des armements, aussi bien stratégiques que régionaux, sortent du cadre de ses travaux et les problèmes, cependant urgents, de la faim, de la sécheresse, de la coopération internationale entre les pays industrialisés et les pays en voie de développement, c’est-à-dire cette dimension Nord-Sud où croissent et s’accumulent, de manière préoccupante, de nouveaux et plus graves déséquilibres, ne sont pas non plus pris ici en considération. Mais il est également vrai que la réunion d’aujourd’hui, à Madrid, où est représentée l’Europe avec tout son poids politique, économique et technologique et où passe, à travers les rapports Est-Ouest, l’autre dimension de tensions et de collaborations qui se répercutent dans la vie du monde entier, a un poids qui peut contribuer de manière significative à faire espérer de meilleures perspectives pour la vie internationale. Quand les travaux ont commencé, à Madrid, les attentes étaient vives, spécialement après l’échec de Belgrade. Les idées et les propositions qui ont afflué sur la table de la réunion étaient nombreuses et ambitieuses. Les négociations ont été laborieuses, souvent exténuantes, et nous devons donner acte à toutes les délégations et à leurs membres dévoués qu’ils ont travaillé avec patience en dépassant les frustrations des renvois continuels et en recommençant avec ténacité chaque fois que se présentait de nouveau une ouverture. Le document que nous avons devant nous n’est pas exaltant. Beaucoup de délégations, peut-être toutes ou presque, trouvent plus important celui qu’elles auraient désiré voir écrit que celui qui l’a été réellement. Cependant, on doit reconnaître qu’à Madrid – à la différence de ce qui s’est passé à Belgrade – il y a eu accord sur quelque chose de consistant et que ce quelque chose est significatif, intéressant et, dans une certaine mesure même, nouveau. En outre, en réaffirmant les dix principes de la conduite correcte dans les relations entre les États, les engagements explicites et solennels exprimés dans quatre paragraphes circonstanciés «d’élargir et de renforcer» la coopération pour prévenir et combattre les actes de terrorisme, en empêchant même que leurs propres territoires soient utilisés pour leur éventuelle préparation, se révèlent intéressants – également par rapport à l’Acte final de 1975. Si nous pensons à tous les actes inhumains, à ces massacres effroyables qui ont plongé dans l’angoisse et le deuil des personnes des familles et parfois des villes entières dans différents pays d’Europe ou qui ont orienté intentionnellement la violence – même si parfois l’effet meurtrier a été heureusement évité – contre des diplomates, des personnalités représentatives, des personnes revêtues de l’autorité morale la plus haute et la plus respectée, nous nous rendons compte de la signification et de l’importance d’une telle collaboration. Un autre élément positif du document de Madrid c’est la détermination exprimée par les États d’ «assurer un progrès continuel et tangible» qui vise «à un développement ultérieur et stable» de l’exercice effectif des droits de l’homme et des libertés fondamentales. C’est un élément qui a une grande signification car tout progrès dans ce secteur a un effet rassurant sur l’esprit des hommes de tous les pays, et tout obstacle ou régression est cause de malaise, de trouble et de méfiance. Les deux réunions d’experts sur les droits de l’homme (Ottawa, mai 1985) et sur les contacts humains (qui doit avoir lieu à Berne en 1986) sont le témoignage que la CSCE veut sortir des formulations abstraites pour affronter des problèmes et des difficultés concrètes. Différentes dispositions pour simplifier les procédures de réunification des familles et pour faciliter les conditions permettant de diffuser les informations et d’en bénéficier devraient contribuer à une meilleure compréhension des populations qui vivent sous des régimes politiques différents. De même, les engagements qui tendent à appliquer les directives d’Helsinki dans le domaine de la collaboration culturelle peuvent être aussi des germes féconds de paix. Dans le vaste domaine des droits de l’homme, la délégation du Saint-Siège – qui s’intéresse profondément à tous les droits, spécialement ceux qui touchent plus directement aux valeurs de la justice et du bien de la personne – a consacré, comme elle l’a déjà fait à Helsinki, des efforts particuliers au problème de la liberté de conscience et de religion en présentant quelques propositions et en trouvant une collaboration convaincue de la part de nombreuses délégations auxquelles j’adresse mes vifs remerciements. Les textes qui se trouvent insérés dans le document au paragraphe 10 des principes et au paragraphe 11 des contacts humains, contiennent trois précisions nouvelles qui expriment bien la dimension dynamique de l’acte final: L’engagement des États à «entreprendre l’action nécessaire pour garantir» la liberté de religion ou de foi; la reconnaissance que les confessions, les institutions et les organisations religieuses ont un titre pour être consultées, «quand c’est nécessaire», par les autorités civiles en matière d’application de cette liberté; l’engagement à prendre favorablement en considération les demandes que les communautés religieuses de croyants présentent pour obtenir le statut approprié qui est prévu par les lois des différents pays pour les confessions religieuses. C’est un point qui satisfait à l’exigence de la justice distributive quand on veut éviter qu’a une confession ou un culte soit refusée la possibilité d’existence légale qui est reconnue à d’autres dans les mêmes conditions. Le Saint-Siège exprime son appréciation pour ces dispositions et elle y voit un pas en avant pour un plus grand respect du droit à la liberté de religion et de foi. Un pas en avant comme il était souhaite dans la lettre personnelle que le Pape Jean-Paul II a envoyée, le 1 septembre 1980, à la veille de l’ouverture de la réunion de Madrid, aux chefs d’État de tous les pays qui y participaient. En se basant sur l’expérience vécue de l’Église catholique, ce document considère tous les aspects spécifiques de la liberté de conscience et de religion dans son expression complète qui concerne aussi bien. Les individus que les communautés confessionnelles. Seuls la reconnaissance et le respect de tous les aspects individuels et communautaires, qui sont étroitement liés entre eux et complémentaires, peuvent assurer une pleine application du droit à la liberté religieuse. La Conférence sur le désarmement en Europe apportera-t-elle un climat de plus grande confiance et de plus grande sécurité? La coopération pour combattre le terrorisme international donnera-t-elle des résultats ? Les journalistes travailleront-ils dans de meilleures conditions? On peut étendre les questions à tous les paragraphes du document final. La réponse sera donnée par les populations des États, avec la vérification qu’ils en feront dans leur vie de tous les jours. Il est en effet indéniable qu’il existe bien souvent une grande différence entre les formulations sur les droits fondamentaux de l’homme, sanctionnés dans des textes constitutionnels et législatifs, et la pratique réelle telle qu’elle résulte du mécanisme des règlements, des contrôles bureaucratiques et des interventions policières. Elle est belle la liberté, et personne ne veut être le dernier à la proclamer pour les autres. Mais il est bien plus difficile et plus malaisé d’en assurer la jouissance effective. Il faut toujours un effort courageux et persévérant pour vaincre les résistances, pour corriger les mentalités, dénoncer les violations et introduire des remèdes. La réunion d’experts que l’on a citée et qui doit avoir lieu en mai 1985 à Ottawa devrait fournir une bonne contribution à cet égard. Mais l’homme qui vit la réalité de chaque jour est souvent bien plus impatient que les diplomates. Surtout lorsque la privation du droit touche à la vie intime des personnes – comme dans la liberté de conscience et de religion –, la frustration et la souffrance supportent mal les retards et les attentes. Des appels et des requêtes sont continuellement adressés au Pape et au Saint-Siège, même par des croyants non catholiques (orthodoxes, évangélistes, chrétiens de différentes dénominations chrétiennes) et, également, par des non-chrétiens (juifs et musulmans) qui s’expriment avec des accents angoissés. A une époque où tout le monde exalte la liberté de pensée, on jette malheureusement encore en prison, on envoie dans des camps de concentration ou on condamne à l’exil pour des raisons de foi religieuse. Ces faits douloureux, loin de diminuer, enregistrent ces derniers temps une préoccupante recrudescence. Il y a, en outre, le curieux paradoxe que l’exercice de la liberté de religion ou de foi, que la Constitution garantit quant à l’expression du culte, a l’effet négatif, dans le domaine social, d’exposer les croyants – pères de famille ainsi que les jeunes qui s’ouvrent aux responsabilités de la vie – à des discriminations et à des marginalisations dans les études, dans les carrières, dans les administrations publiques. De même, des communautés religieuses entières se trouvent contraintes de vivre clandestinement là où d’autres jouissent d’un statut de légalité. L’Église catholique ne peut abandonner l’espoir que ses fidèles de rite oriental pourront être de nouveau admis à jouir de la légitimité civile dans les pays où ils en sont privés. Je suis convaincu que cette Conférence, qui est née à Helsinki en 1973 au milieu d’espérance et de méfiance alternées, qui a poursuivi son difficile chemin au rythme des hauts et des bas de la détente et qui a souvent été jugée ambitieuse ou inutile, pourra malgré tout alimenter le faible souffle qui la maintient en vie aussi longtemps qu’elle continuera à faire briller aux yeux des peuples deux perspectives idéales: Du reste, la grave crise qui a interrompu et bloqué longuement les travaux de la réunion de Madrid – suite aux événements du 13 décembre 1981 en Pologne – a confirmé la cohérence d’une hypothèse – la coopération paneuropéenne – qui, pour être crédible, ne peut manquer de prêter attention à quelques requêtes fondamentales de justice pour la vie des hommes et des nations. Une fois encore, la Pologne a surgi comme «cas de conscience» de tous les Européens. Pour ce problème qui a passionné les débats de cette réunion en février de l’année dernière la solution – conforme aux principes de l’acte final, aux dix principes dans leur totalité – de l’entente à travers le dialogue, qui est le fruit d’une victoire de nature morale, «une victoire à la fois des gouvernés et des gouvernants», comme l’a exprimé le Saint-Père dans son homélie à Varsovie le 17 juin dernier, est souhaitable et possible. (Il s’agit, a dit le Pape, de l’ordre, marque par la maturité, de la vie de la nation et de celle de l’État, dans laquelle seront respectés les droits fondamentaux de l’homme. Seule une victoire morale peut mettre la société à l’abri de la division et restaurer son unité). Ils vont vers des frontières qui, en 1945, lorsque les peuples d’Europe se sont retrouvés épuisés après la guerre épouvantable qui a écrasé le continent, n’étaient certainement pas imaginables. La nouvelle ère nucléaire, la conquête de l’espace, la propagation des instruments électroniques, les progrès toujours plus rapides des sciences dans tous les domaines semblent offrir à l’homme des pouvoirs incommensurables pour la vie et pour la mort. Des possibilités de construire des systèmes d’oppression et de terreur qui, entre les mains de quelques-uns, pourraient conduire irrémédiablement les multitudes à l’esclavage, des possibilités également de multiplier des engins toujours plus perfectionnés, plus meurtriers, prêts à semer la terreur et la destruction. Telle est l’hypothèse négative. En même temps, les mêmes facultés potentielles, les mêmes pouvoirs peuvent devenir des instruments de soulagement et de libération dans tous les domaines de la vie humaine, à condition de le vouloir, à condition que le sens de la véritable dignité de l’homme inspire les consciences pour qu’elles construisent une société libre et juste, dans le cadre de chaque nation comme dans les relations entre les peuples. C’est l’hypothèse positive qui, contrairement à l’autre qui prévaut, semble aujourd’hui moins probable et quasi utopique. Mais l’homo artifex l’homme qui est l’auteur d’instruments sophistiqués et ambivalents dans leur destination au bien ou au mal, porte aussi dans son cœur – malgré les divisions et les méfiances – le besoin irrésistible de la vérité, de la liberté, de la justice d’où continuera à jaillir – dans l’histoire future comme dans l’histoire passée – la lumière qui éclaire son chemin. «Tout homme, croyant ou non – a dit Jean-Paul II dans le message pour la paix du 1er janvier de cette année – tout en demeurant prudent et lucide sur l’endurcissement possible de son frère, peut et doit garder suffisamment de confiance dans l’homme, dans sa capacité d’être raisonnable, dans son sens du bien, de la justice, de l’équité, dans sa possibilité d’amour fraternel et d’espérance, jamais totalement pervertis, pour miser sur le recours au dialogue et sur sa reprise possible (5).» Au cours de ces semaines, les mass media nous ont montré des foules désarmées qui se réunissaient pacifiquement, sans violence et mues par un élan spontané pour demander plus de liberté et de plus dignes conditions de vie. Dans différentes villes, dans différents continents, en même temps, avec les mêmes accents, sans accords préalables entre eux. Est-ce un hasard ou un «signe des temps»? Quand il le veut, l’homme peut encore dire une parole qui compte. Pour sa liberté, pour sa paix. C’est de ces paroles que doit s’inspirer, si on veut qu’elle ne soit pas éphémère, l’action de notre diplomatie et de toutes les diplomaties. **L'Osservatore Romano. Edition hebdomadaire en langue française n.40 p.2. La Documentation catholique, n.1862 p.1034-1037. ____________________________________________________________________________ Mgr Achille SILVESTRINI Intervention à la session clôture de la Réunion de Madrid*** Mercredi 7 septembre 1983
1. It is not only this final session of the Madrid meeting of the Foreign Ministers of Europe, the U.S. and Canada which merits attention. In an international situation so full of danger, attention should also be directed toward the public’s hopes and expectations that the signatory nations of the Final Act of Helsinki can reach a measure of reassurance and of trust for a solution of the great problems besieging the world today. To tell the truth, the Madrid meeting has not engendered many hopes. Like a fragile ship tossed by rough seas crashing against the rocks, it began its uncertain journey three years ago. After extensive delay and periods of difficulty, it has now reached a landing place. But international tensions of the most serious nature have not abated. The arms race has become increasingly pressing, and a sufficiently reasonable and realistic solution does not appear forthcoming through negotiations. The recent extremely serious incident in the Far East shows that watchfulness is ever needed and that a single moment of irresponsibility is all that is needed to tear down all the castles of good words and praiseworthy intentions that have been so painstakingly constructed by diplomatic efforts, both in Madrid and elsewhere. When he wants to, man can still say the word that counts. For his freedom for his peace. Our action and that of all diplomacy must be inspired by these words, if it is not to be ephemeral. ***L'Osservatore Romano. Weekly Edition in English n.42 p.8.
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