VISITA PASTORALE A VITERBO E BAGNOREGIO
CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA
OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Valle Faul - Viterbo
Domenica, 6 settembre 2009
Cari fratelli e sorelle!
Davvero inedito e suggestivo è lo scenario nel quale celebriamo la Santa Messa: ci troviamo nella “Valle” prospiciente l’antica Porta denominata FAUL, che con le sue quattro lettere richiama i quattro colli dell’antica Viterbium, e cioè Fanum-Arbanum-Vetulonia-Longula. Da un lato, si erge imponente il Palazzo, un tempo residenza dei Papi, che – come ha ricordato il vostro Vescovo - nel sec. XIII ha visto ben 5 conclavi; intorno ci circondano edifici e spazi, testimoni di molteplici vicende del passato, ed oggi tessuto di vita della vostra Città e Provincia. In questo contesto, che rievoca secoli di storia civile e religiosa, si trova ora idealmente raccolta, con il Successore di Pietro, l’intera vostra Comunità diocesana, per essere da lui confermata nella fedeltà a Cristo e al suo Vangelo.
A voi tutti, cari fratelli e sorelle, rivolgo con affetto il mio grato pensiero per la calorosa accoglienza riservatami. Saluto in primo luogo il vostro amato Pastore, Mons. Lorenzo Chiarinelli, che ringrazio per le parole di benvenuto. Saluto gli altri Vescovi, in particolare quelli del Lazio con il Cardinale Vicario di Roma, i cari sacerdoti diocesani, i diaconi, i seminaristi, i religiosi e le religiose, i giovani e i bambini, ed estendo il mio ricordo a tutte le componenti della Diocesi, che nel recente passato, ha visto unirsi a Viterbo, con l’abbazia di San Martino al Monte Cimino, le diocesi di Acquapendente, Bagnoregio, Montefiascone e Tuscania. Questa nuova configurazione è ora artisticamente scolpita nelle “Porte di bronzo” della Chiesa Cattedrale che, iniziando questa mia visita da Piazza San Lorenzo, ho potuto benedire e ammirare. Con deferenza mi rivolgo alle Autorità civili e militari, ai rappresentanti del Parlamento, del Governo, della Regione e della Provincia, ed in modo speciale al Sindaco della Città, che si è fatto interprete dei cordiali sentimenti della popolazione viterbese. Ringrazio le Forze dell’ordine e saluto i numerosi militari presenti in questa Città, come pure quelli impegnati nelle missioni di pace nel mondo. Saluto e ringrazio i volontari e quanti hanno dato il loro contributo alla realizzazione della mia visita. Riservo un saluto tutto particolare agli anziani e alle persone sole, ai malati, ai carcerati e a quanti non hanno potuto prendere parte a questo nostro incontro di preghiera e di amicizia.
Cari fratelli e sorelle, ogni assemblea liturgica è spazio della presenza di Dio. Riuniti per la Santa Eucaristia, i discepoli del Signore proclamano che Egli è risorto, è vivo e datore di vita, e testimoniano che la sua presenza è grazia, è compito, è gioia. Apriamo il cuore alla sua parola ed accogliamo il dono della sua presenza! Nella prima lettura di questa domenica, il profeta Isaia (35,4-7) incoraggia gli “smarriti di cuore” e annuncia questa stupenda novità, che l’esperienza conferma: quando il Signore è presente si riaprono gli occhi del cieco, si schiudono gli orecchi del sordo, lo zoppo “salta” come un cervo. Tutto rinasce e tutto rivive perché acque benefiche irrigano il deserto. Il “deserto”, nel suo linguaggio simbolico, può evocare gli eventi drammatici, le situazioni difficili e la solitudine che segna non raramente la vita; il deserto più profondo è il cuore umano, quando perde la capacità di ascoltare, di parlare, di comunicare con Dio e con gli altri. Si diventa allora ciechi perché incapaci di vedere la realtà; si chiudono gli orecchi per non ascoltare il grido di chi implora aiuto; si indurisce il cuore nell’indifferenza e nell’egoismo. Ma ora – annuncia il Profeta – tutto è destinato a cambiare; questa “terra arida” di un core chiuso sarà irrigata da una nuova linfa divina. E quando il Signore viene, agli smarriti di cuore di ogni epoca dice con autorità: “Coraggio, non temete”! ( v. 4)
Si aggancia qui perfettamente l’episodio evangelico, narrato da san Marco (7,31-37): Gesù guarisce in terra pagana un sordomuto. Prima lo accoglie e si prende cura di lui con il linguaggio dei gesti, più immediati delle parole; e poi con un’espressione in lingua aramaica gli dice: “Effatà”, cioè “apriti”, ridonando a quell’uomo udito e lingua. Piena di stupore, la folla esclama: “Ha fatto bene ogni cosa!” (v. 37). Possiamo vedere in questo “segno” l’ardente desiderio di Gesù di vincere nell’uomo la solitudine e l’incomunicabilità create dall’egoismo, per dare volto ad una “nuova umanità”, l’umanità dell’ascolto e della parola, del dialogo, della comunicazione, della comunione con Dio. Una umanità “buona”, come buona è tutta la creazione di Dio; una umanità senza discriminazioni, senza esclusioni – come ammonisce l’apostolo Giacomo nella sua Lettera (2,1-5) – così che il mondo sia veramente e per tutti “campo di genuina fraternità” (Gaudium et spes, 37), nell’apertura all’amore per il Padre comune, che ci ha creati e ci ha fatti suoi figli e sue figlie.
Cara Chiesa di Viterbo, il Cristo, che nel Vangelo vediamo aprire gli orecchi e sciogliere il nodo della lingua al sordomuto, dischiuda il tuo cuore, e ti dia sempre la gioia dell’ascolto della sua Parola, il coraggio dell’annuncio del suo Vangelo, la capacità di parlare di Dio e di parlare così con i fratelli e le sorelle, e, finalmente, il coraggio della scoperta del Volto di Dio e della sua Bellezza! Ma, perché questo possa avvenire – ricorda San Bonaventura da Bagnoregio, dove mi recherò questo pomeriggio – la mente deve “andare al di là di tutto con la contemplazione e andare al di là non solo del mondo sensibile, ma anche al di là di se stessa” (Itinerarium mentis in Deum VII,1). E’ questo l’itinerario di salvezza, illuminato dalla luce della Parola di Dio e nutrito dai sacramenti, che accomuna tutti i cristiani.
Di questo cammino che anche tu, amata Chiesa che vive in questa terra sei chiamata a percorrere, vorrei ora riprendere alcune linee spirituali e pastorali. Una priorità che tanto sta a cuore al tuo Vescovo, è l’educazione alla fede, come ricerca, come iniziazione cristiana, come vita in Cristo. È il “diventare cristiani” che consiste in quell’ “imparare Cristo” che san Paolo esprime con la formula: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). In questa esperienza sono coinvolte le parrocchie, le famiglie e le varie realtà associative. Sono chiamati ad impegnarsi i catechisti e tutti gli educatori; è chiamata ad offrire il proprio apporto la scuola, dalle primarie all’Università della Tuscia, sempre più importante e prestigiosa, ed, in particolare, la scuola cattolica, con l’Istituto filosofico-teologico “San Pietro”. Ci sono modelli sempre attuali, autentici pionieri dell’educazione alla fede a cui ispirarsi. Mi piace menzionare, tra gli altri, santa Rosa Venerini (1656-1728) – che ho avuto la gioia di canonizzare tre anni or sono – vera antesignana delle scuole femminili in Italia, proprio “nel secolo dei Lumi”; santa Lucia Filippini (1672-1732) che, con l’aiuto del Venerabile Cardinale Marco Antonio Barbarigo (1640-1706), ha fondato le benemerite “Maestre Pie”. Da queste sorgenti spirituali si potrà felicemente attingere ancora per affrontare, con lucidità e coerenza, l’attuale, ineludibile e prioritaria, “emergenza educativa”, grande sfida per ogni comunità cristiana e per l’intera società, che è proprio un processo di “Effatà, di aprire gli orecchi, il nodo della lingua e anche gli occhi.
Insieme all’educazione, la testimonianza della fede. “La fede – scrive san Paolo – si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6). È in questa prospettiva che prende volto l’azione caritativa della Chiesa: le sue iniziative, le sue opere sono segni della fede e dell’amore di Dio, che è Amore – come ho ricordato ampiamente nelle Encicliche Deus caritas est e Caritas in veritate. Qui fiorisce e va sempre più incrementata la presenza del volontariato, sia sul piano personale, sia su quello associativo, che trova nella Caritas il suo organismo propulsore ed educativo. La giovane santa Rosa (1233-1251), co-patrona della Diocesi e la cui festa cade proprio in questi giorni, è fulgido esempio di fede e di generosità verso i poveri. Come non ricordare inoltre che santa Giacinta Marescotti (1585-1640) promosse in città l’adorazione eucaristica dal suo Monastero, e dette vita a istituzioni ed iniziative per i carcerati e gli emarginati? Né possiamo dimenticare la francescana testimonianza di san Crispino, cappuccino (1668-1759), che tuttora ispira benemerite presenze assistenziali. E’ significativo che in questo clima di fervore evangelico siano nate molte case di vita consacrata, maschili e femminili, ed in particolare monasteri di clausura, che costituiscono un visibile richiamo al primato di Dio nella nostra esistenza e ci ricordano che la prima forma di carità è proprio la preghiera. Emblematico al riguardo, l’esempio della beata Gabriella Sagheddu (1914-1939), trappista: nel monastero di Vitorchiano, dove è sepolta, continua ad essere proposto quell’ecumenismo spirituale, alimentato da incessante preghiera, vivamente sollecitato dal Concilio Vaticano II (cfr Unitatis redintegratio, 8). Ricordo anche il viterbese beato Domenico Bàrberi (1792-1849), passionista, che nel 1845 accolse nella Chiesa cattolica John Henry Newman, divenuto poi Cardinale, figura di alto profilo intellettuale e di luminosa spiritualità.
Vorrei infine accennare ad una terza linea del vostro piano pastorale: l’attenzione ai segni di Dio. Come ha fatto Gesù con il sordomuto, allo stesso modo Dio continua a rivelarci il suo progetto mediante “eventi e parole”. Ascoltare la sua parola e discernere i suoi segni deve essere pertanto l’impegno di ogni cristiano e di ciascuna comunità. Il più immediato dei segni di Dio è certamente l’attenzione al prossimo, secondo quanto Gesù ha detto: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Inoltre, come afferma il Concilio Vaticano II, il cristiano è chiamato ad essere “davanti al mondo un testimone della risurrezione e della vita del Signore Gesù e un segno del Dio vivo” (Lumen gentium, 38). Deve esserlo in primo luogo il sacerdote che Cristo ha scelto tutto per sé. Durante questo Anno Sacerdotale, pregate con maggiore intensità per i sacerdoti, per i seminaristi e per le vocazioni, perché siano fedeli a questa loro vocazione! Segno del Dio vivo deve esserlo, altresì, ogni persona consacrata e ogni battezzato.
Fedeli laici, giovani e famiglie, non abbiate paura di vivere e testimoniare la fede nei vari ambiti della società, nelle molteplici situazioni dell’esistenza umana! Viterbo ha espresso anche al riguardo figure prestigiose. In questa occasione è dovere e gioia far memoria del giovane Mario Fani di Viterbo, iniziatore del “Circolo Santa Rosa”, che accese, insieme a Giovanni Acquaderni, di Bologna, quella prima luce che sarebbe poi diventata l’esperienza storica del laicato in Italia: l’Azione Cattolica. Si succedono le stagioni della storia, cambiano i contesti sociali, ma non muta e non passa di moda la vocazione dei cristiani a vivere il Vangelo in solidarietà con la famiglia umana, al passo con i tempi. Ecco l’impegno sociale, ecco il servizio proprio dell’azione politica, ecco lo sviluppo umano integrale.
Cari fratelli e sorelle! Quando il cuore si smarrisce nel deserto della vita, non abbiate paura, affidatevi a Cristo, il primogenito dell’umanità nuova: una famiglia di fratelli costruita nella libertà e nella giustizia, nella verità e nella carità dei figli di Dio. Di questa grande famiglia fanno parte Santi a voi cari: Lorenzo, Valentino, Ilario, Rosa, Lucia, Bonaventura e molti altri. Nostra comune Madre è Maria che venerate, col titolo di Madonna della Quercia, quale Patrona dell’intera Diocesi nella sua nuova configurazione. Siano essi a custodirvi sempre uniti e ad alimentare in ciascuno il desiderio di proclamare, con le parole e con le opere, la presenza e l’amore di Cristo! Amen.
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