PAPA EUGENIO IV
CANTATE DOMINO*
4 febbraio 1442
CONCILIO DI FIRENZE (17° ECUMENICO)
26 febbraio 1439 - agosto (?) 1445
SESSIONE XI
[Bolla di unione dei Copti]
Eugenio vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria.
Cantate inni al Signore, perché ha fatto cose grandiose, ciò sia noto in tutta la terra. Gridate giulivi ed esultate, abitanti di Sion, perché grande in mezzo a voi è il santo di Israele (Is 12,5-6). È davvero giusto che la chiesa di Dio canti e esulti nel Signore per questa splendida glorificazione del suo nome, che Dio clementissimo si è degnato di compiere oggi. Dobbiamo, infatti, lodare e benedire con tutto il cuore il Salvatore nostro, che ogni giorno dilata la sua santa chiesa.
Benché i suoi benefici verso il popolo cristiano siano sempre molti e grandi, tali da mostrarci chiaramente la sua immensa carità verso di noi, tuttavia, se consideriamo più attentamente quali e quanti di tali favori in questi ultimissimi tempi si è degnato operare con divina clemenza, potremo certamente costatare che i doni del suo amore sono stati più numerosi e più grandi in questo nostro tempo che in molte età precedenti.
Ecco, infatti, che in meno di tre anni il signore nostro Gesù Cristo con la sua inesauribile pietà ha realizzato in questo santo sinodo ecumenico, la salvifica unione di tre grandi nazioni a comune e perenne gioia di tutta la cristianità. Così è accaduto che quasi tutto l'oriente, che adora il glorioso nome di Cristo, e non piccola parte del settentrione, dopo lunghi dissidi, siano ormai riuniti nello stesso vincolo di fede e di carità con la santa chiesa romana. Prima infatti si sono uniti alla sede apostolica i Greci e le molte genti e nazioni di lingue diverse soggette alle quattro sedi patriarcali, poi gli Armeni, popolazione formata da molti popoli, e oggi i Giacobiti, grandi popoli d'Egitto.
E poiché niente potrebbe essere più gradito al nostro Salvatore e signore Gesù Cristo della mutua carità tra gli uomini, e niente più glorioso per il suo nome e più utile per la chiesa dell'unione dei cristiani, nella purezza della stessa fede, eliminata ogni loro divisione, giustamente noi tutti dobbiamo cantare per la gioia e esultare nel Signore, perché la divina misericordia ci ha fatto degni di vedere ai nostri, giorni una fede cristiana così splendente.
Annunziamo dunque con prontezza queste meraviglie in tutto il mondo cristiano, perché, come noi siamo stati colmati da ineffabile gioia per questa glorificazione di Dio e esaltazione della chiesa, così anche gli altri partecipino di tanta letizia e tutti, con una sola voce, rendiamo gloria a Dio (Rm 15,6) e ogni giorno ringraziamo la sua maestà per tanti e così mirabili benefici concessi in questo tempo alla sua santa chiesa.
Inoltre chi compie con zelo l'opera di Dio non solo attende il compenso e la retribuzione nei cieli, ma anche davanti agli uomini merita gloria e lode in abbondanza. Per questo crediamo di dover meritatamente lodare insieme con tutta la chiesa il nostro venerabile fratello Giovanni, patriarca dei Giacobiti, ansioso di questa santa unione, e indicarlo, con tutta la sua gente, al plauso di tutti i cristiani. Egli infatui sollecitato per mezzo di un nostro inviato [Alberto di Sarteano] e di nostre lettere, perché mandasse a noi e a questo sacro concilio una legazione e si unisse con la sua gente alla Sede romana nella stessa fede, ha destinato a noi e al concilio il diletto figlio Andrea, egiziano, di grande pietà e onestà, abate del monastero di s. Antonio in Egitto, nel quale si dice sia vissuto e morto lo stesso Antonio. Egli, dal patriarca pieno di zelo, ricevette l'ordine e il compito, di accettare con venerazione, a nome del medesimo e dei suoi Giacobiti, la formulazione della fede professata e predicata dalla santa romana chiesa e di portarla, poi, allo stesso patriarca e ai Giacobiti, perché potessero conoscerla, approvarla e predicarla nelle loro terre.
Noi, quindi, incaricati dalla parola del Signore di pascere le pecore del Cristo (Gv 21,17), abbiamo fatto esaminare con ogni cura l'abate Andrea da alcuni insigni membri di questo sacro concilio sugli articoli di fede, i sacramenti della chiesa e tutto ciò che riguarda la salvezza; alla fine, dopo aver esposta allo stesso abate, nella misura che sembrò necessaria, la fede cattolica della santa chiesa romana, e dopo che è stata da lui umilmente accettata, oggi, in questa solenne sessione, con l'approvazione del sacro concilio ecumenico fiorentino, gli abbiamo consegnato, nel nome del Signore, la dottrina vera e necessaria, nella seguente formulazione.
In primo luogo, dunque, la sacrosanta chiesa romana, fondata dalla parola del nostro Signore e Salvatore, crede fermamente, professa e predica un solo, vero Dio, onnipotente, immutabile e eterno, Padre, Figlio e Spirito santo; uno nell'essenza, trino nelle persone, Padre non generato, Figlio generato dal Padre, Spirito santo procedente dal Padre e dal Figlio; crede che il Padre non è il Figlio o lo Spirito santo, che il Figlio non è il Padre o lo Spirito santo, che lo Spirito santo non è il Padre o il Figlio; ma che il Padre è soltanto Padre, il Figlio è soltanto Figlio, lo Spirito santo è soltanto Spirito santo. Solo il Padre ha generato il Figlio dalla sua sostanza. Solo il Figlio è stato generato dal solo Padre. Solo lo Spirito santo procede nello stesso tempo dal Padre e dal Figlio. Queste tre persone sono un solo Dio, non tre dei, poiché dei tre una sola è la sostanza, una l'essenza, una la natura, una la divinità, una l'immensità, una l'eternità, e tutte le cose sono una cosa sola, dove non si opponga la relazione. Per questa unità il Padre è tutto nel Figlio, tutto nello Spirito santo; il Figlio tutto nel Padre, tutto nello Spirito santo; lo Spirito santo è tutto nel Padre, tutto nel Figlio. Nessuno precede l'altro per eternità, o lo sorpassa in grandezza, o lo supera per potenza. E eterno, infatti, e senza principio che il Figlio ha origine dal Padre, e eterno e senza principio che lo Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio. Tutto quello che il Padre è o ha, non lo ha da un altro, ma da se stesso ed è principio senza principio. Tutto ciò che il Figlio è o ha, lo ha dal Padre; ed è principio da principio. Tutto ciò che lo Spirito santo è o ha, lo ha dal Padre e dal Figlio insieme. Ma il Padre e il Figlio non sono due princìpi dello Spirito santo, ma un solo principio, come il Padre, il Figlio e lo Spirito santo non sono tre princìpi della creazione, ma un solo principio. Essa condanna, perciò, riprova e colpisce con anatema tutti quelli che credono cose diverse e contrarie e li dichiara separati dal corpo di Cristo, che è la chiesa. Condanna quindi Sabellio che confonde le persone e elimina completamente la distinzione reale delle stesse, condanna gli ariani, gli eunomiani, i macedoniani, secondo i quali solo il Padre è vero Dio, collocando il Figlio e lo Spirito santo nell'ordine delle creature. Condanna anche chiunque altro introduca gradi o diseguaglianza nella Trinità.
Crede fermissimamente, professa e predica, che un solo, vero Dio, Padre, Figlio e Spirito santo, è il creatore di tutte le cose visibili e invisibili, il quale, quando volle, creò per sua bontà tutte le creature spirituali e corporali, buone, naturalmente, perché hanno origine dal sommo bene, ma mutevoli, perché fatte dal nulla; afferma che non vi è natura cattiva in se stessa, perché ogni natura, in quanto tale, è buona.
La chiesa confessa un solo, identico Dio come autore dell'antico e del nuovo Testamento, cioè della legge e dei profeti, nonché del Vangelo, perché i santi dell'uno e dell'altro Testamento hanno parlato sotto l'ispirazione del medesimo Spirito santo. Di questi accetta e venera i libri compresi sotto i seguenti titoli: I cinque libri di Mosè, cioè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; i libri di Giosuè, dei Giudici, di Rut, i quattro dei Re, i due dei Paralipomeni, Esdra, Neemia, Tobia, Giuditta, Ester, Giobbe, i Salmi di David, i Proverbi, l’Ecclesiaste, il Cantico dei Cantici, la Sapienza, l’Ecclesiastico, Isaia, Geremia, Baruc, Ezechiele, Daniele, dei dodici Profeti minori, cioè: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia; i due dei Maccabei, quattro Evangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni; le quattordici lettere di s. Paolo: ai Romani, due ai Corinzi, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, due ai Tessalonicesi, ai Colossesi, due a Timoteo, a Tito, a Filemone, agli Ebrei; le due lettere di Pietro, le tre di Giovanni, una di Giacomo; una di Giuda; gli Atti degli Apostoli; e l'Apocalisse di Giovanni.
La chiesa condanna con anatema la demenza dei manichei, che ammettevano due princìpi primi, uno delle cose visibili, l'altro di quelle invisibili e dicevano che altro è il Dio del nuovo Testamento, altro quello dell'antico. Essa crede fermamente, professa e predica che una delle persone della Trinità, vero Dio figlio di Dio, generato dal Padre, consostanziale e coeterno col Padre, nella pienezza dei tempi stabilita dalla inscrutabile profondità del divino consiglio, ha assunto la vera e integra natura umana dall'utero immacolato della vergine Maria per la salvezza del genere umano e l'ha congiunta a sé nell'unità della persona, con tale vincolo di unità che tutto quello che ivi è di Dio non è separato dall'uomo, e quello che ivi è dell'uomo non è diviso dalla divinità; ed è un solo essere e indiviso, rimanendo l'una e l'altra natura con le sue proprietà, Dio e uomo, figlio di Dio e figlio dell'uomo, uguale al Padre secondo la divinità, minore del Padre secondo l'umanità, immortale ed eterno per la natura divina, soggetto alla sofferenza e al tempo per la condizione umana che ha assunto.
La chiesa crede fermamente, professa e predica che il Figlio di Dio nell'umanità che ha assunto è veramente nato dalla Vergine, ha veramente sofferto, è veramente morto ed è stato sepolto, è veramente risorto dai morti, è asceso al cielo, siede alla destra del Padre, e verrà alla fine dei secoli a giudicare i vivi e i morti.
Essa colpisce con l'anatema, maledice e condanna ogni eresia che professi dottrine contrarie. E, in primo luogo, condanna Ebione, Cerinto, Marcione, Paolo di Samosata, Forino e tutti quelli che proferiscono simili bestemmie, i quali, incapaci di comprendere l'unione personale dell'umanità col Verbo, hanno negato che Gesù Cristo, nostro Signore, sia vero Dio, riconoscendo lo stesso come semplice uomo; egli sarebbe detto uomo divino per una maggior partecipazione alla grazia divina ricevuta per merito di una vita più santa.
La chiesa colpisce con l'anatema anche Manicheo e i suoi seguaci, i quali vaneggiando che il Figlio di Dio non ha assunto un corpo vero, ma solo apparente annullarono del tutto la verità dell'umanità nel Cristo. Inoltre condanna Valentino, il quale afferma che il Figlio di Dio non ha ricevuto nulla dalla Vergine Madre, ma che ha assunto un corpo celeste ed è passato attraverso l'utero della Vergine, proprio come l'acqua scorre attraverso un acquedotto. Anche Ario il quale, asserendo che il corpo assunto dalla Vergine mancava dell'anima, pretese che al suo posto vi fosse la divinità. Così pure condanna Apollinare, il quale, ben comprendendo che negando che l'anima informa il corpo non vi sarebbe più vera umanità nel Cristo, gli attribuì solo l'anima sensitiva, mentre la natura divina del Verbo sostituirebbe l'anima razionale. Essa colpisce con l'anatema anche Teodoro di Mopsuestia e Nestorio, i quali affermano che l'umanità è unita al Figlio di Dio per mezzo della grazia, e perciò in Cristo vi sono due persone, come ammettono esservi due nature; non riuscendo a comprendere che l'unione dell'umanità col Verbo è ipostatica, negarono che essa abbia ricevuto la sussistenza del Verbo. Secondo questa affermazione blasfema, il Verbo non si è fatto carne, ma per mezzo della grazia il Verbo ha abitato nella carne, cioè non il Figlio di Dio si è fatto uomo ma, piuttosto, il Figlio di Dio ha abitato nell’uomo. Colpisce con l'anatema, maledice e condanna l'archimandrita Eutiche. Questi comprese che secondo l'eresia di Nestorio veniva annullata la verità dell'incarnazione e che, quindi, era necessario che l’umanità fosse unita al Verbo di Dio in modo che vi fosse una sola e medesima persona per la divinità e l'umanità; ma non potendo capire, data la pluralità delle nature, l'unità della persona, come ammise in Gesù Cristo una sola persona per la divinità e l'umanità, così affermò esservi una sola natura, volendo che prima dell'unione vi fosse una dualità di nature, trasformata in unità nel momento dell'assunzione, ammettendo con somma empietà che, o l'umanità si era trasformata nella divinità, o la divinità nell'umanità. Colpisce con l'anatema, maledice e condanna Macario di Antiochia e tutti quelli che seguono dottrine simili: Questi nonostante una giusta dottrina delle due nature e dell'unità della persona, errò enormemente circa le operazioni del Cristo, dicendo che nel Cristo una sola era l'operazione e una sola la volontà di entrambe le nature. La sacrosanta chiesa romana condanna tutti questi con le loro eresie, affermando che nel Cristo due sono le volontà e due le operazioni.
Crede fermamente, professa e insegna che mai uno concepito da uomo e da donna è stato liberato dal dominio del demonio, se non per la fede nel mediatore tra Dio e gli uomini Gesù Cristo (1 Tm 2,5) nostro Signore. Questi, concepito, nato e morto senza peccato, ha vinto da solo con la sua morte il nemico del genere umano, cancellando i nostri peccati, ed ha riaperto le porte del regno celeste, che il primo uomo a causa del suo peccato aveva perso con tutta la sua discendenza, questo di cui tutti i santi sacrifici, i sacramenti e le cerimonie dell'antico testamento prefigurarono il ritorno.
La chiesa crede fermamente, professa e insegna che le prescrizioni legali dell'antico Testamento, cioè della legge mosaica, che si dividono in cerimonie, sacrifici sacri e sacramenti, proprio perché istituite per significare qualche cosa di futuro, benché adeguate al culto divino in quell'epoca, dal momento che è venuto il nostro signore Gesù Cristo, da esse prefigurato, sono cessate e sono cominciati i sacramenti della nuova alleanza. Essa insegna che pecca mortalmente chiunque ripone, anche dopo la passione, la propria speranza in quelle prescrizioni legali e le osserva quasi fossero necessarie alla salvezza, e la fede nel Cristo non potesse salvare senza di esse. La chiesa non nega tuttavia che nel tempo che intercorre tra la passione del Cristo e, la promulgazione dell'Evangelo, esse potessero osservarsi, anche se non fossero ritenute necessarie alla salvezza. Ma dopo l'annuncio del Vangelo non possono più essere osservate, pena la perdita della salvezza eterna. Essa, quindi, denuncia come separati dalla fede del Cristo e esclusi dalla vita eterna, salvo che si pentano dei loro errori, tutti quelli che, dopo quel tempo, osservano la circoncisione, il sabato e le altre prescrizioni legali. Comanda dunque, senza eccezione, a tutti quelli che si gloriano del nome di cristiani di non praticare la circoncisione sia prima che dopo il battesimo perché, anche se uno non vi ripone alcuna speranza, non può in alcun modo essere praticata senza perdere la salvezza eterna.
Quanto ai bambini, dato il pericolo di morte spesso incombente, poiché non possono essere aiutati se non col sacramento del battesimo, che li libera dal dominio del demonio e li rende figli adottivi di Dio, la chiesa ammonisce che il battesimo non sia differito per quaranta o ottanta giorni, secondo certe usanze, ma sia amministrato il più presto possibile, avendo cura che, in imminente pericolo di morte, siano battezzati subito senza alcun ritardo, anche da un laico o da una donna, in mancanza del sacerdote, nella forma prevista dalla chiesa, come è indicato in modo completo nel decreto per gli Armeni.
La chiesa crede fermamente, confessa e annuncia che tutto ciò che è stato creato da Dio è buono e nulla è da scartarsi, quando lo si prende con rendimento di grazie (1 Tm 4,4); poiché, secondo l'espressione del Signore non quello che entra nella bocca rende l'uomo impuro (Mt 15,11) e afferma che quella differenza della legge mosaica tra cibi puri e impuri riguarda le prescrizioni per le cerimonie, superate e annullate con l'annuncio del Vangelo. Anche il comando degli apostoli di astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue e dagli animali soffocati (Atti 15,29) era adatta a quel tempo in cui dai giudei e dai gentili, che prima vivevano secondo riti e costumi diversi, sorgeva una sola chiesa. Conveniva perciò che i giudei e i gentili avessero osservanze in comune e l'occasione di trovarsi d'accordo in un solo culto e in una sola fede in Dio, eliminando la materia di dissenso, in quanto ai giudei per antica tradizione il sangue e gli animali soffocati sembravano cose abominevoli e potevano pensare che i gentili tornassero all'idolatria col mangiare cose immolate. Ma quando la religione cristiana si fu così diffusa da non esservi più in essa alcun Giudeo secondo la carne, ma anzi col passaggio alla chiesa, tutti condividevano gli stessi riti proposti dal Vangelo, persuasi che tutto è puro per i puri (Tt 1,15), essendo cessata la ragione di quella proibizione, ne cessò anche l'effetto. La chiesa dichiara, quindi, che nessuno dei cibi in uso tra gli uomini deve essere condannato, e che nessuno, uomo o donna che sia, deve far differenza tra gli animali, in qualunque modo uccisi; tuttavia per la salute del corpo, l'esercizio della virtù, per la disciplina imposta dalla regola e dalle norme ecclesiastiche, molte cose, anche se non vietate, possono o debbono essere tralasciate. Secondo l'Apostolo, infatti, tutto è lecito! Ma non tutto è utile (1 Cor 6,12; 10, 22).
La chiesa crede fermamente, confessa e annuncia che nessuno di quelli che sono fuori della chiesa cattolica, non solo i pagani, ma anche i giudei o gli eretici e gli scismatici, potranno raggiungere la vita eterna, ma andranno nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli (Mt 25,41), se prima della morte non saranno stati ad essa riuniti; crede tanto importante l'unità del corpo della chiesa che, solo a quelli che in essa perseverano, i sacramenti della chiesa procureranno la salvezza, e i digiuni, le altre opere di pietà e gli esercizi della milizia cristiana ottengono il premio eterno: nessuno, per quante elemosine abbia fatto e persino se avesse versato il sangue per il nome di Cristo può essere salvo, se non rimane nel grembo e nell'unità della chiesa cattolica.
Essa abbraccia, approva e accetta il santo concilio di Nicea dei trecentodiciotto padri, riunito ai tempi del beatissimo Silvestro, nostro predecessore, e di Costantino il grande, principe piissimo, nel quale fu condannata l'empia eresia ariana assieme al suo autore, e fu definito che il Figlio è consustanziale e coeterno al Padre.
Abbraccia anche approva e accetta il santo concilio di Costantinopoli, dei centocinquanta padri convocato al tempo del beatissimo Damaso, nostro predecessore, e di Teodosio il vecchio, che colpì con l'anatema l'errore di Macedonio, il quale asseriva che lo Spirito santo non è Dio, ma una creatura. La chiesa condanna coloro che i concili condannano e approva quelli che essi approvano e vuole che tutte le loro definizioni rimangano intatte ed inviolate in ogni parte.
Abbraccia, approva e accetta il santo primo concilio di Efeso, dei duecento padri, terzo nella serie dei concili universali, convocato sotto il beatissimo nostro predecessore Celestino e sotto Teodosio il giovane. In esso fu condannata l'eresia dell'empio Nestorio e fu definito che è una sola la persona del signore nostro Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo e che la beata Maria sempre vergine deve essere proclamata da tutta la chiesa non solo madre del Cristo, ma anche di Dio.
La chiesa invece condanna, colpisce con anatema e rifiuta l'empio secondo concilio di Efeso, riunito sotto il beato Leone, nostro predecessore, e il suddetto principe, in cui Dioscoro, patriarca di Alessandria, difensore dell'eresiarca Eutiche e empio persecutore di s. Flaviano, vescovo di Costantinopoli, con astuzia e con minacce, portò quel sinodo esecrando ad approvare l'empietà eutichiana.
Essa abbraccia anche, approva e accetta il santo concilio di Calcedonia, quarto nella serie dei sinodi universali, dei seicentotrenta padri, celebrato ai tempo del predetto predecessore nostro Leone e dell'imperatore Marciano, nel quale fu condannata l'eresia eutichiana col suo autore Eutiche e con Dioscoro, suo difensore, e fu definito che Gesù Cristo, nostro signore, è vero Dio e vero uomo e che in una stessa identica persona la natura divina e la natura umana sono rimaste integre, intatte, incorrotte, inconfuse e indistinte, poiché l’umanità opera quello che è proprio dell’uomo e la divinità, quello che è proprio di Dio. Quelli che esso condanna, la chiesa li condanna, quelli che approva, li approva anch’essa.
Abbraccia pure, approva e accetta il santo quinto concilio, il secondo celebrato a Costantinopoli al tempo del beato Virgilio, nostro predecessore, e dell'imperatore Giustiniano, nel quale fu confermata la definizione del concilio di Calcedonia sulle due nature e l'unica persona del Cristo e furono respinti e condannati molti errori di Origene dei suoi seguaci, specie quelli riguardanti la penitenza e la liberazione dei demoni e degli altri dannati. Essa inoltre abbraccia, approva e accetta il santo, terzo concilio di Costantinopoli, dei centocinquanta padri, sesto nella serie dei concili universali, celebrato al tempo del beato predecessore nostro Agatone e dell'imperatore Costantino IV, nel quale fu condannata l'eresia di Macario antiocheno, e fu definito che in Gesù Cristo, nostro signore, vi sono due nature perfette ed integre, due operazioni, e anche due volontà, ma una sola e identica persona, a cui competono le azioni dell'una e dell'altra natura poiché la divinità compie ciò che è proprio di Dio, l'umanità ciò che è proprio dell'uomo.
Abbraccia, approva e accetta anche tutti gli altri concili universali, legittimamente convocati, celebrati e confermati dall'autorità del romano pontefice, e specialmente questo santo concilio fiorentino, nel quale, tra le altre cose, è stata realizzata la santissima unione con i Greci e con gli Armeni, e sono state promulgate molte definizioni portatrici di salvezza riguardanti l'una e l'altra unione, riportate estesamente nei decreti promulgati su questi argomenti, che seguono in questa forma: Laetentur coeli … Exultate Deo …
Ma poiché nel decreto per gli Armeni, riportato sopra, non si parla della formula che la santa chiesa romana, confermata dalla dottrina e dall'autorità degli apostoli Pietro e Paolo, ha sempre usato nella consacrazione del corpo e del sangue del Signore, abbiamo deciso di inserirla qui. Ecco la formula usata nella consacrazione del corpo del Signore: Questo è il mio corpo. In quella del sangue, invece: Questo è il calice del mio sangue, per la nuova e eterna alleanza, mistero della fede, versato per voi e per molti in remissione dei peccati (Mt 26,28; Mc 14,18; Lc 22,20; 1 Cor 11,25).
Quanto al pane di frumento, che serve per il sacramento, è del tutto indifferente che sia cotto quel giorno o prima; purché infatti, rimanga la sostanza del pane, non vi è alcun dubbio che esso si transustanzi subito nel vero corpo di Cristo dopo le parole della consacrazione, pronunciate dal sacerdote con l'intenzione di fare ciò.
Si dice che alcuni non ammettano le quarte nozze ritenendole condannate; ma poiché non si deve considerare peccato ciò che non lo è ricordando che, secondo l'Apostolo, per la morte del marito, la donna è libera e può sposare chi vuole, purché ciò avvenga nel Signore (Rm 7,3; 1 Cor 7,39) né fa distinzione tra la morte del primo, del secondo o del terzo marito, dichiariamo che in assenza di impedimenti canonici, si possono lecitamente contrarre non solo seconde e terze nozze, ma anche quarte e oltre. Riteniamo tuttavia più lodevole rimanere nella casata, astenendosi da altre nozze, perché come la castità è da preferirsi alla vedovanza, così una casta vedovanza è da preferirsi alle nozze, per lode e merito.
Dopo che furono esposte tutte queste cose, il predetto abate Andrea, a nome del ricordato patriarca e suo proprio e di tutti i Giacobiti, riceve e accetta con ogni devozione e venerazione questo decreto sinodale portatore di salvezza con tutte le sue prescrizioni, dichiarazioni, definizioni, insegnamenti, precetti, decisioni e ogni dottrina enunciata in esso, nonché tutto quello che crede e insegna la santa sede apostolica e la chiesa romana. E accoglie con venerazione i dottori e santi padri approvati dalla chiesa romana; considera invece come riprovate e condannate tutte le persone e dottrine che la stessa chiesa romana riprova e condanna, promettendo come vero figlio obbediente, a nome di quelli che rappresenta, di obbedire con fedeltà e costanza alle disposizioni e ai comandi della Sede apostolica.
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*G. Alberigo, G.L. Dossetti, P.-P. Joannou, C. Leonardi, P. Prodi, H. Jedin (a cura di),Conciliorum Oecumenicorum Decreta, edizione bilingue, Centro editoriale dehoniano, Bologna, 2013, pp. 567-582.
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