PAPA FRANCESCO
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
Tra il fare e il dire
Martedì, 23 febbraio 2016
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.044, 24/02/2016)
Non serve a nulla autoproclamarsi cristiani, perché «Dio è concreto» ed è per «il fare», non certo per «la religione del dire». È un richiamo all’essenzialità della vita cristiana quello proposto dal Papa — con tanto di invito all’esame di coscienza sulle beatitudini e in particolare sulla propria testimonianza in famiglia — nella messa celebrata martedì mattina, 23 febbraio, nella cappella della Casa Santa Marta.
«La liturgia della parola oggi ci introduce nella dialettica evangelica fra il fare e il dire» ha subito osservato Francesco, riferendosi al passo del libro del profeta Isaia (1, 10. 16-20). «Il Signore chiama il suo popolo a fare: “Venite, discutiamo”. Discutiamo e “cessate di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all'orfano, difendete la causa della vedova”». Insomma «fate, fate cose», perché «Dio è concreto».
Lo stesso Gesù, del resto, ha detto: «Non quelli che mi dicono: “Signore, Signore” entreranno nel regno dei cieli: ma quelli che hanno fatto!». Dunque «non quelli che dicono» e basta, ma quelli «che hanno fatto la volontà del Padre». Così il Papa ha ricordato che «il Signore ci insegna la strada del fare». E, ha aggiunto, «quante volte troviamo gente — anche noi — tante volte nella Chiesa» che proclama: «Sono molto cattolico!». Ma, viene da chiedere, «cosa fai?». Ad esempio, ha fatto notare Francesco, «quanti genitori si dicono cattolici, ma mai hanno tempo per parlare ai propri figli, per giocare con i propri figli, per ascoltare i propri figli». Forse, ha proseguito, «hanno i loro genitori in una casa di riposo, ma sempre sono occupati e non possono andare a trovarli e li lasciano abbandonati». Però ripetono: «Sono molto cattolico, eh! Io appartengo a quell’associazione...».
Questo atteggiamento, ha affermato il Papa, è tipico della «religione del dire: io dico che sono così, ma faccio la mondanità. Come questi chierici dei quali parlava Gesù». A loro «piaceva farsi vedere, piaceva loro la vanità, ma non la giustizia; a loro piaceva farsi chiamare maestro; a loro piaceva il dire, ma non il fare».
Una realtà richiamata anche dal passo evangelico della liturgia, tratto dal capitolo 23 di Matteo (1-12). «Pensiamo — ha detto il Papa — a quelle dieci ragazze che erano felici, perché quella sera dovevano andare ad aspettare lo sposo. Erano felici! Ma cinque avevano fatto quello che si doveva fare per aspettare lo sposo; le altre cinque erano sulle nuvole». E così, ha proseguito, quando «è arrivato lo sposo mancava loro l’olio: erano stolte».
«Dire e non fare è un inganno» ha messo in guardia il Pontefice. Ed «è un inganno che ci porta proprio all’ipocrisia». Proprio «come Gesù dice di questi chierici». Ma «il Signore va oltre: cosa dice il Signore a quelli che si avvicinano a lui per fare?». Le sue parole sono: «Su, venite e discutiamo! Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana».
Dunque, ha spiegato Francesco, «la misericordia del Signore è nel fare». Tanto che a «quelli che bussano alla porta e dicono: “Ma, Signore, ti ricordi io ho detto...”», egli risponde: «Non ti conosco!». Invece, a coloro «che fanno» dice: «Sei peccatore come lo scarlatto, tu sarai bianco come la neve». Così «la misericordia del Signore va incontro a quelli che hanno il coraggio di confrontarsi con lui, ma confrontarsi sulla verità, sulle cose che io faccio o quelle che non faccio, per correggermi». E «questo è il grande amore del Signore, in questa dialettica fra il dire e il fare».
Ecco che, ha rilanciato il Papa, «essere cristiano significa fare: fare la volontà di Dio». E «l’ultimo giorno — perché tutti noi ne avremo uno — cosa ci domanderà il Signore? Ci dirà: “Cosa avete detto su di me?”. No! Ci domanderà delle cose che abbiamo fatto». Ci chiederà, insomma, «le cose concrete: “Io ero affamato e mi hai dato da mangiare; ero assetato e mi hai dato da bere; ero ammalato e sei venuto a trovarmi; ero in carcere e sei venuto da me”». Perché «questa è la vita cristiana». Invece «il solo dire ci porta alla vanità, a quel fare finta di essere cristiano. Ma no, non si è cristiani cosi!».
Nel pieno del tempo che ci avvicina alla Pasqua, «in questa strada di conversione quaresimale», Francesco ha proposto un esame di coscienza, suggerendo alcune domande da rivolgere a se stessi: «Io sono di quelli che dicono tanto e non fanno niente o faccio qualcosa? E cerco di fare di più?». L’obiettivo, ha rimarcato, è «fare la volontà del Signore per fare il bene ai miei fratelli, a quelli che mi sono vicini».
In conclusione, prima di riprendere la celebrazione eucaristica, il Papa ha invitato a pregare perché «il Signore ci dia questa saggezza di capire bene dov’è la differenza fra il dire e il fare e ci insegni la strada del fare e ci aiuti ad andare su quella strada, perché la strada del dire ci porta al posto dove erano questi dottori della legge, questi chierici, ai quali piaceva vestirsi ed essere proprio come se fossero dei reucci». Ma «questa non è la realtà del Vangelo!». E allora ecco la preghiera affinché «il Signore ci insegni questa strada».
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