PAPA FRANCESCO
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
Filippo Neri e la gallina
Giovedì, 12 maggio 2016
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVI, n.108, 13/05/2016)
Un bel «morso alla lingua» quando ci assale la tentazione di sparlare. Perché proprio «le zizzaniere» — come chiamano in Argentina le persone che mettono in giro le chiacchiere — sono una controtestimonianza cristiana, causando anche divisioni nella Chiesa. Da questo modo di fare, purtroppo molto diffuso in ambito ecclesiale, ha messo in guardia Francesco nella messa celebrata giovedì mattina, 12 maggio, nella cappella di Casa Santa Marta.
«Gesù prega: “Alzati gli occhi al cielo, pregò”» racconta Giovanni nel passo evangelico (17, 20-26) proposto dalla liturgia del giorno. E Francesco ha fatto subito notare che «Gesù pregò per tutti, non pregò solo per i discepoli che erano a tavola con lui, ma per tutti». Scrive infatti Giovanni, riportandone le parole: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me, mediante la loro parola». Questo vuole dire, ha affermato il Pontefice, che Cristo «prega per noi: ha pregato per me, per te, per te, per te, per ognuno di noi». E non ha smesso: «Gesù continua a farlo in cielo, come intercessore». È importante comprendere «cosa chiede Gesù in questo momento al Padre: “perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te”, siano anche essi in noi». Infatti egli «crede e prega per l’unità, l’unità dei credenti, delle comunità cristiane». Ma pensa a «un’unità come è quella che ha Lui con il Padre e il Padre con Lui: un’unità perfetta». E finisce così la preghiera, secondo il Vangelo di Giovanni: «Perché il mondo creda che tu mi hai mandato». Ecco perché «l’unità delle comunità cristiane» e «delle famiglie cristiane» è «la testimonianza del fatto che il Padre abbia inviato Gesù».
Francesco si è detto consapevole che «una delle cose più difficili è forse arrivare all’unità in una comunità cristiana, una parrocchia, un vescovado, una istituzione cristiana, una famiglia cristiana». Purtroppo, ha insistito, «la storia nostra, la storia della Chiesa, ci fa vergognare tante volte: abbiamo fatto le guerre contro i nostri fratelli cristiani, pensiamo a una, alla guerra dei Trent’anni». Gesù, invece, «dice un’altra cosa: “Se i cristiani si fanno la guerra fra loro è perché il Padre non ha inviato Gesù, non c’è testimonianza”». Da parte nostra, ha detto il Pontefice, «dobbiamo chiedere tanto perdono al Signore per questa storia; una storia tante volte di divisioni e non solo nel passato ma anche oggi, anche oggi». E «il mondo vede che siamo divisi e dice: “si mettano d’accordo loro, poi vediamo, ma come Gesù è risorto ed è vivo e i suoi discepoli non si mettono d’accordo?”».
«Neppure nella Pasqua siamo uniti!» ha rilanciato Francesco. Tanto che, «una volta, un cristiano cattolico chiedeva a un cristiano d’Oriente, anch’egli cattolico: “Il mio Cristo risuscita dopodomani e il tuo quando risuscita?”». E così finisce che «il mondo non crede».
A questo punto il Papa si è chiesto come entrino «le divisioni nella Chiesa?». E la risposta è stata un invito a dimenticare per il momento «questa grande divisione fra le Chiese cristiane» e ad andare, per esempio direttamente nelle «nostre parrocchie». Il problema, ha fatto notare Francesco, è che «il diavolo è entrato nel mondo per invidia, dice la Bibbia, è stata l’invidia del diavolo a far entrare il peccato nel mondo». Così «c’è l’egoismo, perché io voglio essere di più dell’altro e tante volte — io direi che è quasi abituale nelle nostre comunità, parrocchie, istituzioni, vescovadi — ci troviamo con divisioni forti che incominciano proprio dalle gelosie, dalle invidie e questo porta a sparlare uno dell’altro, si sparla tanto». E riportando un modo di sentire diffuso nelle parrocchie, «nella mia terra è molto comune», il Papa ha confidato: «Una volta ho sentito dire una cosa in un quartiere: “Io non vado in Chiesa perché guarda questa, va tutte le mattine a messa, fa la comunione e poi va di casa in casa sparlando: per essere cristiano così preferisco non andare, come va questa chiacchierona». E ha proseguito: «Nella mia terra queste persone si chiamano “zizzaniere”: seminano zizzania, dividono e lì le divisioni incominciano con la lingua per invidia, gelosia e anche chiusura». Quella «chiusura» che porta a sentenziare: «No, la dottrina è questa e ta, ta, ta, ta».
Il Papa ha ricordato a questo proposito che l’apostolo Giacomo, nel terzo capitolo della sua lettera, dice: “Noi siamo capaci di mettere il morso in bocca al cavallo! Anche una nave con un piccolo timone è capace di essere guidata e noi non possiamo dominare la lingua?». Perché la lingua, scrive Giacomo, «è un piccolo membro ma si vanta di fare grandi cose». Ed «è vero», ha confermato Francesco: la lingua «è capace di distruggere una famiglia, una comunità, una società; di seminare odio e guerre, invidie». E ha riproposto le parole della preghiera di Gesù: “Padre, prego per quelli che crederanno in me, perché tutti siano una sola cosa, come io e te”». Ma «quanta distanza» c’è tra la preghiera di Gesù e la vita di «una comunità cristiana che è abituata a sparlare». Ed è «per questo che Gesù prega il Padre per noi».
Da qui l’invito a «chiedere al Signore la grazia che ci dia la forza che nelle nostre comunità non ci siano queste cose». Ma, ha suggerito il Pontefice, «Gesù ci dice come dobbiamo andare avanti quando non siamo d’accordo o qualcosa non ci piace dell’altro: “Chiamalo, parla!”. E se il tuo interlocutore «non capisce o non vuole, chiama un testimone e fai la figura del mediatore». Gesù «ci ha insegnato» questo stile. Ma «è più comodo sparlare e distruggere la fama dell’altro».
Per rendere ancora più concreta e incalzante la sua meditazione, Francesco ha raccontato un episodio della vita di san Filippo Neri. «Una donna è andata a confessarsi e si è confessata di aver sparlato». Ma «il santo, che era allegro, buono, anche di manica larga, le dice: “Signora, come penitenza, prima di darle l’assoluzione, vada a casa sua, prenda una gallina, spiumi la gallina e poi vada per il quartiere e semini il quartiere con le piume della gallina e poi torni”». Il giorno dopo, ha proseguito Francesco nel suo racconto, «è tornata la signora: “Ho fatto quello, padre, mi dà l’assoluzione?». Eloquente la risposta di san Filippo Neri: «No, manca un’altra cosa, signora, vada per il quartiere e prenda tutte le piume» perché «lo sparlare è così: sporcare l’altro». Difatti, ha aggiunto il Papa, «quello che sparla, sporca, distrugge la fama, distrugge la vita e tante volte senza motivo, contro la verità». Ecco che «Gesù ha pregato per noi, per tutti noi che stiamo qui e per le nostre comunità, per le nostre parrocchie, per le nostre diocesi “che siano uno”».
In conclusione, Francesco ha esortato a pregare «il Signore che ci dia la grazia», perché «è tanta, tanta la forza del diavolo, del peccato che ci spinge alle divisioni, sempre!». Occorre infatti rivolgersi al Signore affinché «ci dia la grazia, ci dia il dono che fa l’unità: lo Spirito Santo», ha proseguito il Papa auspicando «che ci dia questo dono che fa l’armonia, perché Lui è l’armonia, la gloria nelle nostre comunità». E che «ci dia la pace, ma con l’unità». Perciò «chiediamo la grazia dell’unità per tutti i cristiani, la grande grazia e la piccola grazia di ogni giorno per le nostre comunità, le nostre famiglie». E anche «la grazia di mettere il morso alla lingua!».
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