VIDEOMESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO ORGANIZZATO DA CAL-CELAM:
"L’INCONTRO DEI LAICI CATTOLICI CHE SI ASSUMONO RESPONSABILITÀ POLITICHE
AL SERVIZIO DEI POPOLI DELL’AMERICA LATINA"
[Bogotà, 1° - 3 dicembre 2017]
Buongiorno!
Desidero innanzitutto salutare e ringraziare i dirigenti politici che hanno accettato l’invito a partecipare a un evento che io stesso ho incoraggiato fin dalla sua genesi: “l’Incontro dei laici cattolici che si assumono responsabilità politiche al servizio dei popoli dell’America Latina”. Saluto anche i signori Cardinali e Vescovi che li accompagnano, con i quali avrete un dialogo che sarà molto utile a tutti.
Da Papa Pio XII fino ad oggi, i pontefici che si sono succeduti hanno sempre fatto riferimento alla politica come “alta forma della carità”. Si potrebbe tradurre anche come servizio inestimabile di dedizione per il conseguimento del bene comune della società. La politica è prima di tutto servizio; non è serva di ambizioni individuali, di prepotenza di fazioni e di centri d’interessi. Come servizio, non è neppure padrona, pretendendo di regolare tutte le dimensioni della vita delle persone e ricadendo addirittura in forme di autocrazia e totalitarismo. E quando parlo di autocrazia e di totalitarismo non sto parlando del secolo passato, sto parlando di oggi, del mondo di oggi, e forse anche di qualche paese dell’America Latina. Si potrebbe affermare che il servizio di Gesù — che è venuto a servire e non a essere servito — e il servizio che il Signore esige dai suoi apostoli e discepoli è per analogia il tipo di servizio che si chiede ai politici. È un servizio di sacrificio e di dedizione, al punto che a volte si possono considerare i politici come “martiri” di cause per il bene comune delle loro nazioni.
Il punto di riferimento fondamentale di questo servizio, che richiede costanza, impegno e intelligenza, è il bene comune, senza il quale i diritti e le più nobili aspirazioni delle persone, delle famiglie e dei gruppi intermedi in generale, non potrebbero realizzarsi pienamente, perché mancherebbe lo spazio ordinato e civile in cui vivere e operare. È in qualche modo il bene comune concepito come clima di crescita della persona, della famiglia, dei gruppi intermedi. Il bene comune. Il Concilio Vaticano II ha definito il bene comune, secondo il patrimonio della Dottrina Sociale della Chiesa, come «l’insieme di quelle condizioni di vita sociale che consentono e facilitano agli esseri umani, alle famiglie e alle associazioni il conseguimento più pieno della loro perfezione» (Gaudium et spes, n. 74).
È chiaro che non bisogna contrapporre il servizio al potere — nessuno vuole un potere impotente! — ma il potere deve essere ordinato al servizio per non degenerare. Ossia, ogni potere non ordinato al servizio degenera. Naturalmente non mi sto riferendo alla “buona politica”, nell’accezione più nobile del suo significato, e neppure alle degenerazioni di quella che chiamiamo “politicheria”. «Per instaurare una vita politica veramente umana — insegna ancora il Concilio — non c’è niente di meglio che coltivare il senso interiore della giustizia, dell’amore e del servizio al bene comune e rafforzare le convinzioni fondamentali sulla vera natura della comunità politica e sul fine, sul buon esercizio e sui limiti di competenza dell’autorità pubblica» (Ibidem, n. 73). Siate certi che la Chiesa cattolica «stima degna di lode e di considerazione l’opera di coloro che, per servire gli uomini, si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità» (Ibidem, n. 75).
Al tempo stesso, sono anche certo che tutti sentiamo il bisogno di riabilitare la dignità della politica. Se penso all’America Latina, come non osservare il discredito popolare in cui sono cadute tutte le istanze politiche, la crisi dei partiti politici, l’assenza di dibattiti politici di valore che mirino a progetti e strategie a livello nazionale e latinoamericano che vadano al di là delle politiche di cabotaggio! Inoltre il dialogo aperto e rispettoso che ricerca le convergenze possibili spesso viene sostituito da raffiche di accuse reciproche e ricadute demagogiche. Mancano anche la formazione e il ricambio di nuove generazioni politiche. Perciò i popoli guardano da lontano e criticano i politici e li vedono come una corporazione di professionisti che curano i propri interessi o li denunciano con rabbia, a volte senza le dovute distinzioni, come impregnati di corruzione. Ciò non ha nulla a che vedere con la necessaria e positiva partecipazione dei popoli, appassionati della propria vita e del proprio destino, che dovrebbe animare lo scenario politico delle nazioni. Ciò che è chiaro è che c’è bisogno di dirigenti politici che vivano con passione il proprio servizio ai popoli, che vibrino con le fibre intime del loro ethos e della loro cultura, solidali con le loro sofferenze e le loro speranze; politici che antepongano il bene comune ai loro interessi privati, che non si lascino intimorire dai grandi poteri finanziari e mediatici, che siano competenti e pazienti di fronte a problemi complessi, che siano aperti ad ascoltare e imparare nel dialogo democratico, che coniughino la ricerca della giustizia con la misericordia e la riconciliazione. Non ci accontentiamo della pochezza della politica: abbiamo bisogno di dirigenti politici capaci di mobilitare vasti settori popolari inseguendo grandi obiettivi nazionali e latinoamericani.
Conosco personalmente dirigenti politici latinoamericani di diverso orientamento politico che si avvicinano a questa figura ideale.
Quanto abbiamo bisogno oggi in America Latina di una “buona e nobile politica” e dei suoi protagonisti! Non dobbiamo forse affrontare problemi e sfide molto grandi? In primo luogo la custodia del dono della vita in tutte le sue fasi e manifestazioni. L’America Latina ha anche bisogno di una crescita industriale, tecnologica, autosostenuta e sostenibile, accanto a politiche che affrontino il dramma della povertà e che mirino all’equità e all’inclusione, perché non è vero sviluppo quello che lascia moltitudini indifese e continua ad alimentare una scandalosa disuguaglianza sociale. Non si può trascurare un’educazione integrale, che comincia nella famiglia e si sviluppa in una scolarizzazione per tutti e di qualità. Occorre rafforzare il tessuto familiare e sociale. Una cultura d’incontro — e non di costanti antagonismi — deve rafforzare i vincoli fondamentali di umanità e di sociabilità e gettare solide fondamenta per un’amicizia sociale che si lasci alle spalle le tenaglie dell’individualismo e della massificazione, della polarizzazione e della manipolazione. Dobbiamo incamminarci verso democrazie mature, partecipative, senza le piaghe della corruzione o delle colonizzazioni ideologiche, o le pretese autocratiche e le demagogie a buon mercato. Prendiamoci cura della nostra casa comune e dei suoi abitanti più vulnerabili, evitando ogni tipo d’indifferenza suicida e di sfruttamento selvaggio. Risolleviamo in alto e concretamente l’esigenza di un’integrazione economica, sociale, culturale e politica di popoli fratelli per costruire poco a poco il nostro continente, che sarà ancora più grande quando includerà “tutte le identità”, completando il suo meticciato, e sarà paradigma di rispetto dei diritti umani, di pace, di giustizia. Non possiamo rassegnarci alla situazione deteriorata in cui spesso ci dibattiamo oggi.
Vorrei compiere un ulteriore passo in questa riflessione. Papa Benedetto XVI, nel suo discorso d’inaugurazione della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano ad Aparecida, ha indicato con preoccupazione: «la notevole assenza, nell’ambito politico [...] di voci e di iniziative di leader cattolici di forte personalità e di dedizione generosa, che siano coerenti con le loro convinzioni etiche e religiose». E i Vescovi di tutto il continente hanno deciso d’inserire quell’osservazione nelle conclusioni di Aparecida, parlando dei «discepoli e missionari nella vita pubblica» (n. 502). In realtà, in un continente con un gran numero di battezzati nella Chiesa cattolica, dal sostrato culturale cattolico, in cui la tradizione cattolica è ancora molto viva nei popoli e in cui abbondano le grandi manifestazioni della pietà popolare, com’è possibile che i cattolici appaiano piuttosto irrilevanti nello scenario politico, o addirittura assimilati a una logica mondana? È indubbio che ci sono testimonianze di cattolici esemplari sulla scena politica, ma si nota l’assenza di correnti forti che aprano la strada al Vangelo nella vita politica delle nazioni. E ciò non vuol dire fare proselitismo attraverso la politica, niente a che vedere con questo. Ci sono molti che si professano cattolici — e non ci è dato giudicare le loro coscienze, ma sì i loro atti —, che spesso dimostrano una scarsa coerenza con le convinzioni etiche e religiose proprie del magistero cattolico. Non sappiamo che cosa avviene nella loro coscienza, non possiamo giudicarla, ma vediamo i loro atti. Ce ne sono altri che sono talmente assorbiti dai loro impegni politici da finire col relegare la loro fede in secondo piano, impoverendosi, senza la capacità di essere criterio guida e di lasciare la propria impronta in tutte le dimensioni della vita della persona, anche nella sua pratica politica. E non mancano quanti non si sentono riconosciuti, incoraggiati, accompagnati e sostenuti nella custodia e nella crescita della loro fede, dai Pastori e dalle comunità cristiane. Alla fine, il contributo cristiano all’azione politica si manifesta solo attraverso le dichiarazioni degli Episcopati, senza che si avverta la missione peculiare dei laici cattolici di ordinare, gestire e trasformare la società secondo i criteri evangelici e il patrimonio della Dottrina Sociale della Chiesa.
Per tutto ciò, ho voluto scegliere come tema della precedente Assemblea Plenaria della Pontifica Commissione per l’America Latina il tema: «L’indispensabile impegno dei laici cattolici nella vita pubblica dei Paesi latinoamericani» (1-4 marzo 2016). E il 19 marzo ho inviato una lettera al Presidente di quella Commissione, il Cardinale Marc Ouellet, nella quale ho ancora una volta messo in guardia sul rischio del clericalismo e ho posto la domanda: «Che cosa significa per noi pastori il fatto che i laici stiano lavorando nella vita pubblica?». «Significa cercare il modo per poter incoraggiare, accompagnare e stimolare tutti i tentativi e gli sforzi che oggi già si fanno per mantenere viva la speranza e la fede in un mondo pieno di contraddizioni, specialmente per i più poveri, specialmente con i più poveri. Significa, come pastori, impegnarci in mezzo al nostro popolo e, con il nostro popolo, sostenere la fede e la sua speranza. Aprendo porte, lavorando con lui, sognando con lui, riflettendo e soprattutto pregando con lui. “Abbiamo bisogno di riconoscere la città” — e pertanto tutti gli spazi dove si svolge la vita della nostra gente — “a partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze”».
E invece «molte volte siamo caduti nella tentazione di pensare che il laico impegnato sia colui che lavora nelle opere della Chiesa e/o nelle cose della parrocchia o della diocesi, e abbiamo riflettuto poco su come accompagnare un battezzato nella sua vita pubblica e quotidiana; su come, nella sua attività quotidiana, con le responsabilità che ha, s’impegna come cristiano nella vita pubblica. Senza rendercene conto, abbiamo generato una élite laicale credendo che sono laici impegnati solo quelli che lavorano in “cose di preti”, e abbiamo dimenticato, trascurandolo, il credente che molte volte brucia la sua speranza nella lotta quotidiana per vivere la fede. Sono queste le situazioni che il clericalismo non può vedere, perché è più preoccupato a dominare spazi che a generare processi. Dobbiamo pertanto riconoscere che il laico per la sua realtà, per la sua identità, perché immerso nel cuore della vita sociale, pubblica e politica, perché partecipe di forme culturali che si generano costantemente, ha bisogno di nuove forme di organizzazione e di celebrazione della fede».
È necessario che i laici cattolici non restino indifferenti alla cosa pubblica o ripiegati nei loro templi, e neppure che attendano le direttive e le consegne ecclesiali per lottare a favore della giustizia, di forme di vita più umane per tutti. «Non è mai il pastore a dover dire al laico quello che deve fare e dire, lui lo sa tanto e meglio di noi. Non è il pastore a dover stabilire quello che i fedeli devono dire nei diversi ambiti. Come pastori, uniti al nostro popolo, ci fa bene domandarci come stiamo stimolando e promuovendo la carità e la fraternità, il desiderio del bene, della verità e della giustizia. Come facciamo a far sì che la corruzione non si annidi nei nostri cuori». Persino nei nostri cuori di Pastori. E, al tempo stesso, ci fa bene ascoltare con molta attenzione l’esperienza, le riflessioni e le preoccupazioni che possono condividere con noi i laici che vivono la loro fede nei diversi ambiti della vita sociale e politica.
Il vostro dialogo sincero in questo Incontro è molto importante. Parlate con libertà. Un dialogo che sia tra cattolici, prelati e politici, in cui la comunione tra persone della stessa fede risulti più determinante delle legittime opposizioni di opzioni politiche. Per tutto ciò partecipiamo all’Eucaristia, fonte e culmine di ogni comunione. Dal vostro dialogo si potranno ricavare elementi illuminanti, elementi orientatori per la missione della Chiesa nell’attualità. Grazie di nuovo e buon lavoro!
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