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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA XXXVIII GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ 

26 novembre 2023

«Lieti nella speranza» (Rm 12,12)


Carissimi giovani!

Lo scorso mese di agosto ho incontrato centinaia di migliaia di vostri coetanei, provenienti da tutto il mondo, riuniti a Lisbona per la Giornata Mondiale della Gioventù. Ai tempi della pandemia, in mezzo a tante incertezze, avevamo nutrito la speranza che questa grande celebrazione dell’incontro con Cristo e con altri giovani potesse realizzarsi. Questa speranza si è realizzata e, per molti di noi lì presenti – me compreso – è andata al di là di ogni aspettativa! Come è stato bello il nostro incontro a Lisbona! Una vera e propria esperienza di trasfigurazione, un’esplosione di luce e di gioia!

Al termine della Messa conclusiva nel “Campo della Grazia”, ho indicato la prossima tappa del nostro pellegrinaggio intercontinentale: Seoul, in Corea, nel 2027. Ma prima di allora vi ho dato appuntamento a Roma, nel 2025, per il Giubileo dei giovani, dove sarete anche voi “pellegrini di speranza”.

Voi giovani, infatti, siete la gioiosa speranza di una Chiesa e di un’umanità sempre in cammino. Vorrei prendervi per mano e percorrere insieme a voi la via della speranza. Vorrei parlare con voi delle nostre gioie e speranze, ma anche delle tristezze e angosce dei nostri cuori e dell’umanità che soffre (cfr Cost. past. Gaudium et spes, 1). In questi due anni di preparazione al Giubileo mediteremo prima sull’espressione paolina «Lieti nella speranza» (Rm 12,12), per poi approfondire quella del profeta Isaia: «Quanti sperano nel Signore camminano senza stancarsi» (cfr Is 40,31).

Da dove viene questa gioia?

«Lieti nella speranza» (Rm 12,12) è un’esortazione di San Paolo alla comunità di Roma, che si trova in un periodo di forte persecuzione. E in realtà la “gioia nella speranza”, predicata dall’Apostolo, scaturisce dal mistero pasquale di Cristo, dalla forza della sua risurrezione. Non è il frutto dell’impegno umano, dell’ingegno o dell’arte. È la gioia che deriva dall’incontro con Cristo. La gioia cristiana viene da Dio stesso, dal sapersi amati da Lui.

Benedetto XVI, riflettendo sull’esperienza vissuta alla Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid nel 2011, si chiedeva: la gioia, «da dove viene? Come la si spiega? Sicuramente sono molti i fattori che agiscono insieme. Ma quello decisivo è […] la certezza proveniente dalla fede: io sono voluto. Ho un compito nella storia. Sono accettato, sono amato». E precisava: «In fin dei conti abbiamo bisogno di un’accoglienza incondizionata. Solo se Dio mi accoglie e io ne divento sicuro, so definitivamente: è bene che io ci sia. […] È bene esistere come persona umana, anche in tempi difficili. La fede rende lieti a partire dal di dentro» (Discorso alla Curia Romana, 22 dicembre 2011).

Dov’è la mia speranza?

La giovinezza è un tempo pieno di speranze e di sogni, alimentati dalle belle realtà che arricchiscono la nostra vita: lo splendore del creato, le relazioni con i nostri cari e con gli amici, le esperienze artistiche e culturali, le conoscenze scientifiche e tecniche, le iniziative che promuovono la pace, la giustizia e la fraternità, e così via. Viviamo, però, in un tempo in cui per molti, anche giovani, la speranza sembra essere la grande assente. Purtroppo tanti vostri coetanei, che vivono esperienze di guerra, violenza, bullismo e varie forme di disagio, sono afflitti dalla disperazione, dalla paura e dalla depressione. Si sentono come rinchiusi in una prigione buia, incapaci di vedere i raggi del sole. Lo dimostra drammaticamente l’alto tasso di suicidi tra i giovani in diversi Paesi. In un contesto simile, come sperimentare la gioia e la speranza di cui parla San Paolo? Rischia piuttosto di prendere il sopravvento la disperazione, il pensiero che sia inutile fare il bene, perché non sarebbe apprezzato e riconosciuto da nessuno, come leggiamo nel Libro di Giobbe: «Dov’è, dunque, la mia speranza? Il mio bene chi lo vedrà?» (Gb 17,15).

Davanti ai drammi dell’umanità, soprattutto alla sofferenza degli innocenti, anche noi, come preghiamo in alcuni Salmi, domandiamo al Signore: “Perché?”. Ebbene, noi possiamo essere parte della risposta di Dio. Noi, creati da Lui a sua immagine e somiglianza, possiamo essere espressione del suo amore che fa nascere la gioia e la speranza anche dove sembra impossibile. Mi viene in mente il protagonista del film «La vita è bella», un giovane padre che, con delicatezza e fantasia, riesce a trasformare la dura realtà in una specie di avventura e di gioco, e così regala al figlio “occhi di speranza”, proteggendolo dagli orrori del campo di concentramento, salvaguardando la sua innocenza e impedendo che la malvagità umana gli rubi il futuro. Ma non sono solo storie inventate! È quello che vediamo nella vita di tanti santi, i quali sono stati testimoni di speranza pur in mezzo alle più crudeli cattiverie umane. Pensiamo a San Massimiliano Maria Kolbe, a Santa Giuseppina Bakhita, o ai Beati coniugi Józef e Wiktoria Ulma con i loro sette figli.

La possibilità di accendere una speranza nel cuore degli uomini, a partire dalla testimonianza cristiana, è stata magistralmente messa in luce da San Paolo VI, quando ci ha ricordato: «Un cristiano o un gruppo di cristiani, in seno alla comunità di uomini nella quale vivono, […] irradiano in maniera molto semplice e spontanea la fede in alcuni valori che sono al di là dei valori correnti, e la speranza in qualche cosa che non si vede e che non si oserebbe immaginare» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 21).

La “piccola” speranza

Il poeta francese Charles Péguy, all’inizio del suo poema sulla speranza, parla delle tre virtù teologali – fede, speranza e carità – come di tre sorelle che camminano insieme:

«La piccola speranza avanza fra le sue due sorelle grandi e non si nota neanche. [...]
È lei, quella piccina, che trascina tutto.
Perché la Fede non vede che quello che è.
E lei vede quello che sarà.
La Carità non ama che quello che è.
E lei, lei ama quello che sarà.
[...]
È lei che fa camminare le altre due.
E che le tira.
E che fa camminare tutti quanti»
(Il portico del mistero della seconda virtù, Milano 1978, 17-19).

Sono anch’io convinto di questo carattere umile, “minore”, eppure fondamentale della speranza. Provate a pensare: come potremmo vivere senza speranza? Come sarebbero le nostre giornate? La speranza è il sale della quotidianità.

La speranza, luce che brilla nella notte

Nella tradizione cristiana del Triduo pasquale, il Sabato Santo è il giorno della speranza. Tra il Venerdì Santo e la Domenica di Pasqua, è come una terra di mezzo tra la disperazione dei discepoli e la loro gioia pasquale. È il luogo in cui nasce la speranza. La Chiesa, in quel giorno, commemora in silenzio la discesa di Cristo negli inferi. Possiamo vederlo rappresentato in forma pittorica in molte icone. Ci mostrano Cristo sfolgorante di luce che scende nelle tenebre più profonde e le attraversa. È così: Dio non si limita a guardare con compassione le nostre zone di morte o a chiamarci da lontano, ma entra nelle nostre esperienze degli inferi come luce che splende nelle tenebre e le vince (cfr Gv 1,5). Lo esprime bene una poesia in lingua sudafricana Xhosa: «Anche se le speranze sono finite, con questa poesia risveglio la speranza. La mia speranza si risveglia perché spero nel Signore. Spero che ci uniremo! Rimanete forti nella speranza, perché il buon esito è vicino».

Questa, se ci pensiamo bene, è stata la speranza della Vergine Maria, che è rimasta forte sotto la croce di Gesù, sicura che il “buon esito” era vicino. Maria è la donna della speranza, la Madre della speranza. Sul Calvario, «salda nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18), non ha lasciato spegnere nel suo cuore la certezza della Risurrezione annunciata dal suo Figlio. È lei che riempie il silenzio del Sabato Santo con una amorosa attesa piena di speranza, infondendo nei discepoli la certezza che Gesù avrebbe vinto la morte e che il male non sarebbe stata l’ultima parola.

La speranza cristiana non è facile ottimismo e non è un placebo per i creduloni: è la certezza, radicata nell’amore e nella fede, che Dio non ci lascia mai soli e mantiene la sua promessa: «Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me» (Sal 23,4). La speranza cristiana non è negazione del dolore e della morte, è celebrazione dell’amore di Cristo Risorto che è sempre con noi, anche quando ci sembra lontano. «Cristo stesso è per noi la grande luce di speranza e di guida nella nostra notte, perché Egli è “la stella radiosa del mattino”» (Esort. ap. Christus vivit, 33).

Alimentare la speranza

Quando la scintilla della speranza è stata accesa in noi, a volte c’è il rischio che venga soffocata dalle preoccupazioni, dalle paure e dalle incombenze della vita quotidiana. Ma una scintilla ha bisogno di aria per continuare a brillare e ravvivarsi in un grande fuoco di speranza. Ed è la dolce brezza dello Spirito Santo ad alimentare la speranza. Noi possiamo collaborare ad alimentarla in diversi modi.

La speranza è alimentata dalla preghiera. Pregando si custodisce e si rinnova la speranza. Pregando teniamo accesa la scintilla della speranza. «La preghiera è la prima forza della speranza. Tu preghi e la speranza cresce, va avanti» (Catechesi, 20 maggio 2020). Pregare è come salire in alta quota: quando siamo a terra, spesso non riusciamo a vedere il sole perché il cielo è coperto di nuvole. Ma se saliamo al di sopra delle nubi, la luce e il calore del sole ci avvolgono; e in questa esperienza ritroviamo la certezza che il sole è sempre presente, anche quando tutto appare grigio.

Cari giovani, quando le fitte nebbie della paura, del dubbio e dell’oppressione vi circondano e non riuscite più a vedere il sole, imboccate il sentiero della preghiera. Perché «se non mi ascolta più nessuno, Dio mi ascolta ancora» (Benedetto XVI, Lett. enc. Spe salvi, 32). Prendiamoci ogni giorno il tempo per riposare in Dio di fronte alle ansie che ci assalgono: «Solo in Dio riposa l’anima mia: da lui la mia speranza» (Sal 62,6).

La speranza è alimentata dalle nostre scelte quotidiane. L’invito a gioire nella speranza, che San Paolo rivolge ai cristiani di Roma (cfr Rm 12,12), richiede scelte molto concrete nella vita di ogni giorno. Perciò vi esorto a scegliere uno stile di vita basato sulla speranza. Faccio un esempio: sui social media sembra più facile condividere cattive notizie che notizie di speranza. Pertanto, vi faccio una proposta concreta: provate a condividere ogni giorno una parola di speranza. Diventate seminatori di speranza nella vita dei vostri amici e di tutti quelli che vi circondano. Infatti, «la speranza è umile, ed è una virtù che si lavora – diciamo così – tutti i giorni […]. Tutti i giorni è necessario ricordare che abbiamo la caparra, che è lo Spirito, che lavora in noi con piccole cose» (Meditazione mattutina, 29 ottobre 2019).

Accendere la torcia della speranza

A volte la sera uscite con i vostri amici e, se c’è buio, prendete lo smartphone e accendete la torcia per fare luce. Nei grandi concerti, migliaia di voi muovono questi moderni lumini al ritmo della musica, creando una scena suggestiva. Di notte la luce ci fa vedere le cose in modo nuovo, e perfino nell’oscurità emerge una dimensione di bellezza. Così è per la luce della speranza che è Cristo. Da lui, dalla sua risurrezione, la nostra vita è illuminata. Con Lui vediamo tutto in una luce nuova.

Si dice che quando le persone si rivolgevano a San Giovanni Paolo II per parlargli di un problema, la sua prima domanda fosse: «Come appare alla luce della fede?». Anche uno sguardo illuminato dalla speranza fa apparire le cose in una luce diversa. Vi invito, perciò, ad assumere questo sguardo nella vostra vita quotidiana. Animato dalla speranza divina, il cristiano si trova pieno di una gioia diversa, che viene da dentro. Le sfide e le difficoltà ci sono e ci saranno sempre, ma se siamo dotati di una speranza “piena di fede”, le affrontiamo sapendo che non hanno l’ultima parola e noi stessi diventiamo una piccola torcia di speranza per gli altri.

Anche ognuno di voi può esserlo, nella misura in cui la sua fede si fa concreta, aderente alla realtà e alle storie dei fratelli e delle sorelle. Pensiamo ai discepoli di Gesù, che un giorno, su un alto monte, lo videro risplendere di luce gloriosa. Se fossero rimasti lassù, sarebbe stato un momento bellissimo per loro, ma gli altri sarebbero rimasti esclusi. Era necessario che scendessero. Non dobbiamo fuggire dal mondo, ma amare il nostro tempo, nel quale Dio ci ha posto non senza motivo. Si può essere felici solo condividendo la grazia ricevuta con i fratelli e le sorelle che il Signore ci dona giorno per giorno.

Cari giovani, non abbiate timore di condividere con tutti la speranza e la gioia di Cristo Risorto! La scintilla che si è accesa in voi, custoditela, ma nello stesso tempo donatela: vi accorgerete che crescerà! Non possiamo tenere la speranza cristiana per noi, come un bel sentimento, perché è destinata a tutti. State vicino in particolare a quei vostri amici che magari in apparenza sorridono, ma che dentro piangono, poveri di speranza. Non lasciatevi contagiare dall’indifferenza e dall’individualismo: rimanete aperti, come canali in cui la speranza di Gesù possa scorrere e diffondersi negli ambienti dove vivete.

«Cristo vive. Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo!» (Esort. ap. Christus vivit, 1). Così vi scrivevo quasi cinque anni fa, dopo il Sinodo dei Giovani. Invito tutti voi, specialmente quanti sono coinvolti nella pastorale giovanile, a riprendere in mano il Documento Finale del 2018 e l’Esortazione apostolica Christus vivit. I tempi sono maturi per fare insieme il punto della situazione e adoperarci con speranza per la piena attuazione di quel Sinodo indimenticabile.

Affidiamo tutta la nostra vita a Maria, Madre della Speranza. Lei ci insegna a portare dentro di noi Gesù, nostra gioia e speranza, e a donarlo agli altri. Buon cammino, cari giovani! Vi benedico e vi accompagno con la preghiera. E anche voi pregate per me!

Roma, San Giovanni in Laterano, 9 novembre 2023, Festa della Dedicazione della Basilica Lateranense.

 

FRANCESCO



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