VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO IN CILE E PERÙ
(15-22 GENNAIO 2018)
INCONTRO CON I VESCOVI
SALUTO DEL SANTO PADRE
Sagrestia della Cattedrale di Santiago del Cile
Martedì, 16 gennaio 2018
Cari fratelli,
ringrazio per le parole che il Presidente della Conferenza Episcopale mi ha rivolto a nome di tutti voi.
Prima di tutto desidero salutare Mons. Bernardino Piñera Carvallo, che quest’anno compirà 60 anni di episcopato (è il Vescovo più anziano del mondo, tanto in età come in anni di episcopato) e che ha vissuto quattro sessioni del Concilio Vaticano II. Bella memoria vivente!
Tra poco si compirà un anno dalla vostra visita ad limina; adesso tocca a me venirvi a visitare e sono contento che questo incontro avvenga dopo quello che ho avuto con il “mondo consacrato”. Poiché uno dei nostri compiti principali consiste proprio nello stare vicini ai nostri consacrati, ai nostri presbiteri. Se il pastore si disperde, anche le pecore si disperderanno e saranno alla portata di qualsiasi lupo. Fratelli, la paternità del vescovo con i suoi sacerdoti, col suo presbiterio! Una paternità che non è né paternalismo né abuso di autorità. E’ un dono da chiedere. State vicini ai vostri sacerdoti nello stile di San Giuseppe. Una paternità che aiuta a crescere e a sviluppare i carismi che lo Spirito ha voluto effondere sui vostri rispettivi presbitèri.
So che eravamo rimasti d’accordo per usare poco tempo perché già nei colloqui delle due lunghe sessioni della visita ad limina abbiamo toccato molti temi. Perciò in questo “saluto” mi piacerebbe riprendere qualche punto dell’incontro che abbiamo avuto a Roma, e lo potrei riassumere nella seguente frase: la coscienza di essere popolo, di essere Popolo di Dio.
Uno dei problemi che affrontano oggigiorno le nostre società è il sentimento di essere orfani, cioè di non appartenere a nessuno. Questo sentire “postmoderno” può penetrare in noi e nel nostro clero; allora incominciamo a pensare che non apparteniamo a nessuno, dimentichiamo che siamo parte del santo Popolo fedele di Dio e che la Chiesa non è e non sarà mai un’élite di consacrati, sacerdoti o vescovi. Non possiamo sostenere la nostra vita, la nostra vocazione o ministero senza questa coscienza di essere Popolo. Dimenticarci di questo – come mi esprimevo rivolgendomi alla Commissione per l’America Latina – «comporta vari rischi e deformazioni nella nostra stessa esperienza, sia personale sia comunitaria, del ministero che la Chiesa ci ha affidato».[1] La mancanza di consapevolezza di appartenere al Popolo fedele di Dio come servitori, e non come padroni, ci può portare a una delle tentazioni che arrecano maggior danno al dinamismo missionario che siamo chiamati a promuovere: il clericalismo, che risulta una caricatura della vocazione ricevuta.
La mancanza di consapevolezza del fatto che la missione è di tutta la Chiesa e non del prete o del vescovo limita l’orizzonte e, quello che è peggio, limita tutte le iniziative che lo Spirito può suscitare in mezzo a noi. Diciamolo chiaramente, i laici non sono i nostri servi, né i nostri impiegati. Non devono ripetere come “pappagalli” quello che diciamo. «Il clericalismo lungi dal dare impulso ai diversi contributi e proposte, va spegnendo a poco a poco il fuoco profetico di cui l’intera Chiesa è chiamata a rendere testimonianza nel cuore dei suoi popoli. Il clericalismo dimentica che la visibilità e la sacramentalità della Chiesa appartengono a tutto il Popolo fedele di Dio (cfr Lumen gentium, 9-14) e non solo a pochi eletti e illuminati».[2]
Vigiliamo, per favore, contro questa tentazione, specialmente nei seminari e in tutto il processo formativo. Vi confesso, mi preoccupa la formazione dei seminaristi: che siano pastori al servizio del Popolo di Dio; come dev’essere un pastore, con la dottrina, con la disciplina, con i Sacramenti, con la vicinanza, con le opere di carità, ma che abbiano questa coscienza di Popolo. I seminari devono porre l’accento sul fatto che i futuri sacerdoti siano capaci di servire il santo Popolo fedele di Dio, riconoscendo la diversità di culture e rinunciando alla tentazione di qualsiasi forma di clericalismo. Il sacerdote è ministro di Cristo, il quale è il protagonista che si rende presente in tutto il Popolo di Dio. I sacerdoti di domani devono formarsi guardando al domani: il loro ministero si svilupperà in un mondo secolarizzato e, pertanto, chiede a noi pastori di discernere come prepararli a svolgere la loro missione in questo scenario concreto e non nei nostri “mondi o stati ideali”. Una missione che avviene in unione fraterna con tutto il Popolo di Dio. Gomito a gomito, dando impulso e stimolando il laicato in un clima di discernimento e sinodalità, due caratteristiche essenziali del sacerdote di domani. No al clericalismo e a mondi ideali che entrano solo nei nostri schemi ma che non toccano la vita di nessuno.
E qui chiedere allo Spirito Santo il dono di sognare; per favore, non smettete di sognare, sognare e lavorare per una opzione missionaria e profetica che sia capace di trasformare tutto, affinché le abitudini, gli stili, gli orari, il linguaggio ed ogni struttura ecclesiale diventino strumenti adatti per l’evangelizzazione del Cile più che per un’autoconservazione ecclesiastica. Non abbiamo paura di spogliarci di ciò che ci allontana dal mandato missionario.[3]
Fratelli, era questo che volevo dirvi come riassunto delle cose principali di cui abbiamo parlato nel corso delle visite ad limina. Affidiamoci alla protezione di Maria, Madre del Cile. Preghiamo insieme per i nostri presbiteri, per i nostri consacrati; preghiamo per il santo Popolo fedele di Dio, del quale facciamo parte. Grazie![1] Lettera al Cardinal Marc Ouellet, Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina (19 marzo 2016).
[3] Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 27.
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