Index   Back Top Print

[ EN  - FR  - IT  - PT ]

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL CAPITOLO GENERALE DELLE
FIGLIE DELLA CARITÀ CANOSSIANE

Sala del Concistoro
Venerdì, 26 agosto 2022

[Multimedia]

___________________________________

Care sorelle, buongiorno e benvenute!

Ringrazio la Superiora Generale per il saluto e per la presentazione di questo Capitolo. E ringrazio quella che se ne va, dopo otto anni, e torna al Paese. Vorrei condividere con voi alcune riflessioni suggerite dal tema che guida il vostro lavoro.

Anzitutto, donne della Parola. Come Maria. Perché le donne parlano sempre, ma bisogna parlare come Maria, che è un’altra cosa. Lei è la donna della Parola, è la discepola. Guardando a lei, e anche dialogando con lei nella preghiera, potete imparare sempre nuovamente che cosa significa essere “donne della Parola”. Che non ha niente a che vedere con “donne del chiacchiericcio”! per favore, questo non lo confondete, non ci sia il chiacchiericcio tra voi! Le anziane possono testimoniare alle giovani uno stupore che non viene meno, una riconoscenza che cresce con l’età, un’accoglienza della Parola che si fa sempre più piena, più concreta, più incarnata nella vita. E le giovani possono testimoniare alle anziane l’entusiasmo delle scoperte, gli slanci del cuore che, nel silenzio, impara a risuonare con la Parola, a lasciarsi sorprendere, anche mettere in discussione, per crescere alla scuola del Maestro. E quelle di mezza età, cosa fanno? Sono più a rischio – state attente! –, sia perché quella è un’età di passaggio, con alcune insidie – le crisi dei 40, 45, voi le conoscete – ; ma soprattutto perché è la fase delle maggiori responsabilità ed è facile scivolare nell’attivismo, anche senza accorgersi. E allora non si è più donne della Parola, ma donne del computer, donne del telefono, donne dell’agenda, e così via. Dunque, ben venga questo motto per tutte! Per mettersi nuovamente alla scuola di Maria, ri-centrarsi sulla Parola ed essere donne “che amano senza misura”. La parola, non l’attivismo, al centro.

Questo è il secondo elemento del tema: amare senza misura. C’è un detto che dice che “la misura dell’amore è amare senza misura”. È una capacità che viene dallo Spirito Santo; non viene da noi, dal nostro sforzo; viene da Dio, che sempre ama senza misura. E sempre ci aspetta. La pazienza di Dio con noi mi commuove. Guarda com’è paziente questo Padre che abbiamo! Questa qualità di essere senza misura è propria dell’amore di Dio; eppure questo amore – dice San Paolo – «è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). Allora è possibile amare senza misura facendo spazio allo Spirito e alla sua azione nella nostra vita. E questa è la santità. Donne dello Spirito, come Maria. Lasciare che sia lo Spirito a portarti avanti. Cuori aperti allo Spirito.

Infatti il tema del vostro Capitolo parla di “riconfigurazione a una vita di santità” – riconfigurazione: la parola è bella, mi piace – e aggiunge: “nella e per la missione, oggi”. Santità e missione sono dimensioni costitutive della vita cristiana e sono tra loro inscindibili. Possiamo dirlo sinteticamente così: ogni santo, ogni santa è una missione (cfr Esort. ap. Gaudete et exsultate, 19).

Lo dimostra bene la testimonianza di Maddalena di Canossa. Lei si sentiva chiamata a donarsi interamente a Dio, ma nello stesso tempo sentiva anche di dover stare vicino ai poveri. Nel suo cuore di giovane donna c’era questa duplice esigenza, questa duplice appartenenza: a Dio e ai poveri, che nel suo caso erano la gente delle zone periferiche di Verona. Attenzione: è lo Spirito che la guida, attraverso situazioni concrete, e lei si lascia guidare; cerca la sua strada ma sempre rimanendo docile. Docilità: niente a che vedere con il capriccio, o con la testardaggine: voglio fare questo… No, docilità allo Spirito. Questo è il segreto! E così la carità di Cristo plasma il suo cuore, plasma la sua vita; sul modello della Vergine Maria, che disse “sì” fin dall’inizio, pienamente, e poi fece il suo pellegrinaggio nella fede seguendo il Figlio e divenne pienamente madre sotto la Croce. La vita di Maddalena è stata “configurata” alla santità di Cristo, sul modello di Maria, nella forma missionaria concreta dettata dalla realtà in cui viveva. E questo suo “sì”, detto non a parole ma con i fatti, è stato generativo: il Signore le mandò alcune compagne con cui condividere il cammino di santità e di missione. E così siete arrivate a questo momento.

Mi è piaciuto il numero di novizie che avete: questo indica fecondità, fecondità della congregazione. È un numero della fecondità. Peccato che qui in Europa sia poca gente, ma è l’inverno demografico europeo: invece dei figli preferiscono avere cani, gatti, che è un po’ l’affetto programmato: io programmo l’affetto, mi danno l’affetto senza problemi. E se c’è dolore? Beh, c’è il medico veterinario che interviene, punto. E questa è una cosa brutta. Per favore, aiutate le famiglie ad avere dei figli. È un problema umano, e anche un problema patriottico.

Care sorelle, voi volete “ri-configurarvi”, oggi, secondo questa forma di vita. E il segreto è sempre lo stesso: lasciarsi guidare dallo Spirito Santo per amare Dio e i poveri. Ma “oggi”: è l’oggi della Chiesa, è l’oggi della società, meglio, delle diverse società nelle quali siete presenti. Con quelle situazioni di povertà, con quei volti che chiedono vicinanza, compassione e tenerezza. “Ah, che cosa nuova sta dicendo, Padre!”. No, questo è lo stile di Dio. Dio sempre agisce così, con vicinanza, compassione e tenerezza. Ci avvicina, perdona e accarezza. Sempre. Lo stile di Do è vicinanza, compassione e tenerezza. Non dimenticatevi di questo. Questo è molto importante. Vi ringrazio per il vostro coraggio e la vostra generosità. Vi ringrazio per la gioia dei vostri cuori e dei vostri volti. La gioia è uno dei frutti dello Spirito ed è segno chiaro del Vangelo, specialmente quando traspare nella condivisione con i fratelli e le sorelle in condizioni di disagio e di emarginazione. È la gioia. E anche nella condivisione con le sorelle di comunità. Sì, perché può capitare che uno appaia pieno di entusiasmo nel servizio ai poveri e poi in casa se ne stia per conto suo e non viva la fraternità… Questo non è un buon segno, perché si lamentano: “Questa superiora…”, quell’altro, quel problema... Nella diocesi di prima [Buenos Aires] c’era una suora che aveva questo vizio di lamentarsi, e tutti la chiamavano “suor Lamentela”. Nessuna di voi è “suor lamentela”, ma la tentazione di lamentarsi, di criticare… questo fa male al corpo, fa male. “Ma, Padre, a me viene!”. E tu vai, dillo alla persona: “Tu hai questo difetto”; o se no dillo a chi può porre rimedio. Ma cosa guadagni tu ad andare dalle sorelle e dire: “Ma guarda questo, questo, questo…”! Questo è chiacchiericcio, che fa tanto male e fa morire la Parola di Dio. “È difficile, Padre, risolvere il problema del chiacchiericcio, perché ti viene, il commento…”. Sì, è come il dolce, che ti viene… Ma c’è un bel rimedio, contro il chiacchiericcio, ed è molto semplice: se tu hai la tentazione di chiacchierare delle altre, morditi la lingua, così si gonfia bene e non potrai parlare. Capito? Per favore, niente chiacchiericcio, questo uccide la vita comunitaria.

Vorrei aggiungere due cose. La prima riguardo alla dimensione comunitaria, e la riprendo dall’Esortazione Gaudete et exsultate. «La santificazione è un cammino comunitario […]. Vivere e lavorare con altri è senza dubbio una via di crescita spirituale. […] Condividere la Parola e celebrare insieme l’Eucaristia ci rende più fratelli [e sorelle] e ci trasforma via via in comunità santa e missionaria» (141-142). Non pensiamo a grandi cose, ma piuttosto ai dettagli quotidiani. Come in famiglia, è lì che si vede la carità: «La comunità che custodisce i piccoli particolari dell’amore, dove i membri si prendono cura gli uni degli altri e custodiscono uno spazio aperto ed evangelizzatore, è luogo della presenza del Risorto che la va santificando secondo il progetto del Padre» (145). Prendete cura di questo nelle comunità: una dell’altra. E niente chiacchiericcio.

La seconda sottolineatura, con cui concludo, è quella dell’importanza della preghiera di adorazione. Noi abbiamo dimenticato la preghiera di adorazione: sappiamo cosa sia, ma non la pratichiamo tanto. Adorare. Adorare. In silenzio, davanti al Signore, davanti al Santissimo Sacramento, adorare. Preghiera di adorazione. E qui di nuovo voi potete fare riferimento alla testimonianza della vostra Fondatrice, che, come altre Sante e altri Santi della carità, attingeva lo slancio apostolico specialmente dal rimanere in adorazione alla presenza del Signore. Non abbiate paura di adorare: andate lì. “Ma, è noioso …”. Vai ad adorare. Lascia che il Signore faccia. Il movimento dello spirito che si de-centra da sé per centrarsi in Cristo – e questa è l’adorazione: de-centrarsi – è quello che rende possibile un servizio al prossimo che non sia pietismo o assistenzialismo, ma apertura all’altro, prossimità, condivisione; in una parola: carità. San Paolo direbbe: “L’amore di Cristo ci avvince e ci spinge” (cfr 2 Cor 5,14).

Care sorelle, avanti, coraggio! Vi ringrazio di questa visita, e soprattutto di quello che siete e che fate nella Chiesa. Chiedo allo Spirito Santo di darvi luce e forza per concludere bene il vostro Capitolo e per il cammino dell’Istituto. Di cuore benedico voi e tutte le sorelle in ogni parte del mondo. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me: pregare a favore, non contro!



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana