DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI MEMBRI DELL'ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE DEI GIORNALISTI
ACCREDITATI PRESSO IL VATICANO
Sala Clementina
Lunedì, 22 gennaio 2024
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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Vi do il benvenuto, anche se qua siete di casa! Sono contento: questa è per me un’occasione per ringraziare voi, che siete un po’ i miei compagni di viaggio, per il lavoro che svolgete informando lettori, ascoltatori e spettatori sull’attività della Santa Sede. Giornalisti, operatori, fotografi, producers: siete una comunità unita da una missione. Conosco la vostra passione, il vostro amore per ciò che raccontate, la vostra fatica. Tanti di voi seguono non solo il Vaticano, ma anche l’Italia, il sud dell’Europa, il Mediterraneo, i Paesi da cui venite.
Essere giornalista è una vocazione, un po’ come quella del medico, che sceglie di amare l’umanità curandone le malattie. Così, in un certo senso, fa il giornalista, che sceglie di toccare con mano le ferite della società e del mondo. È una chiamata che nasce da giovani e che porta a capire, a mettere in luce, a raccontare. Vi auguro di tornare alle radici di questa vocazione, di farne memoria, di ricordare la chiamata che vi unisce in un compito così importante. Quanto bisogno di conoscere e di raccontare da una parte, e quanta necessità di coltivare un amore incondizionato alla verità dall’altra!
Vorrei esprimervi gratitudine non solo per ciò che scrivete e trasmettete, ma anche per la costanza e la pazienza di seguire giorno dopo giorno le notizie che arrivano dalla Santa Sede e dalla Chiesa, raccontando una istituzione che trascende il “qui e ora”, e le nostre stesse vite. Come disse San Paolo VI, ci sono “simpatia, stima e fiducia per quello che voi siete e per quello che voi fate” (cfr Discorso ai rappresentanti della stampa italiana ed estera, 29 giugno 1963). Grazie anche per i sacrifici nel seguire il Papa in giro per il mondo e nel lavorare spesso pure la domenica e i giorni di festa. Vi devo chiedere scusa per le volte in cui le notizie che in diverso modo mi riguardano vi hanno sottratto alle vostre famiglie, al gioco con i vostri figli – questo è molto importante; io, quando confesso, domando ai genitori: “Lei gioca con i figli?”: è una delle cose che un papà e una mamma devono fare sempre, giocare con i figli –, e al tempo da trascorrere con i mariti o con le mogli.
Il nostro incontro è un’occasione per riflettere sul faticoso mestiere di vaticanista nel raccontare il cammino della Chiesa, nel costruire ponti di conoscenza e di comunicazione invece che solchi di divisione e di diffidenza (cfr S. Giovanni XXIII, Discorso ai giornalisti in occasione del consiglio nazionale della federazione stampa italiana, 22 febbraio 1963).
Chi è dunque il vaticanista? Rispondo prendendo a prestito le parole di un vostro collega, che ha da poco festeggiato gli ottant’anni e ha viaggiato tanto con i Papi. Parlando del suo lavoro di vaticanista, lo ha definito «un mestiere veloce fino a risultare spietato, due volte scomodo quando si applica a un soggetto alto come la Chiesa, che i media commerciali inevitabilmente portano al loro livello […] di mercato». «In tanti anni di vaticanismo – ha aggiunto – ho appreso l’arte di cercare e narrare storie di vita, che è un modo di amare l’uomo [...]. Ho imparato l’umiltà. Ho avvicinato tanti uomini di Dio che mi hanno aiutato a credere e a restare umano. Non posso dunque che incoraggiare chi voglia avventurarsi in questa specializzazione giornalistica» (L. Accattoli, Prefazione a G. Tridente, Diventare vaticanista. Informazione religiosa ai tempi del Web, 2018, 5-7). Nonostante le difficoltà, è un bell’incoraggiamento: amare l’uomo, imparare l’umiltà.
San Paolo VI, appena eletto, nei mesi che precedevano la ripresa del Concilio, invitò i giornalisti che seguivano le vicende vaticane a immergersi nella natura e nello spirito dei fatti ai quali dedicavano il loro servizio. Esso – disse – «non dev’essere guidato, come talora accade, dai criteri che classificano le cose della Chiesa secondo categorie profane e politiche, le quali non si addicono alle cose stesse, anzi spesso le deformano, ma deve tener conto di ciò che veramente informa la vita della Chiesa, e cioè le sue finalità religiose e morali e le sue caratteristiche qualità spirituali» (Discorso ai rappresentanti della stampa). Vorrei aggiungere la delicatezza che tante volte avete nel parlare degli scandali nella Chiesa: ce ne sono e tante volte ho visto in voi una delicatezza grande, un rispetto, un silenzio quasi, dico io, “vergognoso”: grazie di questo atteggiamento.
Vi ringrazio per lo sforzo che fate nel mantenere questo sguardo che sa vedere dietro l’apparenza, che sa cogliere la sostanza, che non vuole piegarsi alla superficialità degli stereotipi e delle formule preconfezionate dell’informazione-spettacolo, le quali, alla difficile ricerca della verità, preferiscono la facile catalogazione dei fatti e delle idee secondo schemi precostituiti. Vi incoraggio ad andare avanti in questo cammino che sa coniugare l’informazione con la riflessione, il parlare con l’ascoltare, il discernimento con l’amore.
Lo stesso giornalista che ho citato sosteneva che nell’ambiente dei media «il vaticanista dovrà resistere alla nativa vocazione della comunicazione di massa a manipolare l’immagine della Chiesa, come e più d’ogni altra immagine di umanità associata. I media infatti tendono a deformare la notizia religiosa. La deformano sia con il registro alto o ideologico, sia con il registro basso o spettacolare. L’effetto d’insieme è di una duplice deformazione dell’immagine della Chiesa: che il primo registro tende a costringere sotto specie politica, il secondo tende a relegare a notizia leggera» (Prefazione).
Non è facile, ma sta qui la grandezza del vaticanista, la finezza d’animo che si aggiunge alla bravura giornalistica. La bellezza del vostro lavoro attorno a Pietro è quella di fondarlo sulla solida roccia della responsabilità nella verità, non sulle sabbie fragili del chiacchiericcio e delle letture ideologiche; che sta nel non nascondere la realtà e anche le sue miserie, senza edulcorare le tensioni ma al tempo stesso senza fare clamori inutili, bensì sforzandosi di cogliere l’essenziale, alla luce della natura della Chiesa. Quanto bene questo fa al Popolo di Dio, alla gente più semplice, alla Chiesa stessa, che ha ancora del cammino da compiere per comunicare meglio: con la testimonianza, prima ancora che con le parole. Grazie tante del vostro lavoro. Una cosa che mi fa piacere è aver imparato a conoscervi per nome; c’è qui la grande decana, e la saluto; il vice-decano, e tanti di voi che conosco per nome… Vi ringrazio tanto, pregate per me, io lo faccio per voi. Vi rinnovo il grazie e benedico voi, i vostri cari e il vostro lavoro. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me, a favore!
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