ALLOCUZIONE
DEL SOMMO PONTEFICE
GREGORIO XVI
AFFLICTAS IN TUNQUINO
Il Papa Gregorio XVI.
Venerabili Fratelli.
Da lungo tempo piangiamo, come ben sapete, Venerabili Fratelli, le tormentate vicende dei cristiani del Tonchino e delle regioni confinanti e per la loro fede messa alla prova con molteplice vessazione; non abbiamo tralasciato di umiliare davanti a Dio la Nostra anima e di sollecitare i figli della Chiesa anche con l’offerta dei tesori delle indulgenze affinché presentiamo a Dio clementissimo preghiere quotidiane ed altre opere di devozione a favore dei fratelli che si trovano in quella così grande tribolazione. Non mancò contemporaneamente un motivo di consolazione che lenì tale dolore, grazie all’animo invitto di molti, che non furono allontanati dalla professione della fede cattolica né dalla paura di qualche pericolo, né dal carcere, né dalle percosse, né da altra ininterrotta tribolazione e nemmeno dalla vista della morte imminente. In verità, poiché, di tanto in tanto, sono giunte a questa Santa sede testimonianze sufficientemente attendibili dei principali avvenimenti accaduti colà negli anni recenti, abbiamo ritenuto Nostro dovere sottolineare nel vostro amplissimo consesso la virtù di coloro che diedero le loro vite per la fede di Cristo, e lodare insieme con voi Cristo stesso trionfante fra i suoi soldati.
Cominciando dall’anno 1835, allora si mostrò coraggioso atleta di Cristo in Cocincina il missionario Marchand: espugnato dai soldati del re un accampamento di rivoltosi nel quale era trattenuto, egli fu imprigionato dai vincitori, rinchiuso in una gabbia di ferro (quasi fosse un animale feroce) e trasportato nella Capitale; qui, invano sollecitato con grande violenza di tormenti ad abbandonare Cristo, alla fine di novembre di quell’anno, per ordine del re, fu ucciso in odio alla religione. Nello stesso posto, in quei giorni, divenne famoso un adolescente Cinese, figlio unico di madre vedova, che dopo aver sopportato coraggiosamente per quasi due anni le angherie del carcere duro, lieto offerse il suo collo alla spada del carnefice in nome di Cristo; la stessa pia madre, che era presente, raccolse la testa tagliata del figlio.
Successivamente, nel 1837, vennero onorati, nel regno del Tonchino i nomi del sacerdote Giovanni Carlo Cornay e del fedele indigeno Francesco Saverio Cân. Il primo di costoro, mentre svolgeva in quel luogo il suo impegno missionario, catturato dagli infedeli e rinchiuso in una gabbia, non poté essere allontanato dalla fede di Cristo neppure con le crudeli sferzate con cui fu colpito per tre mesi; in nome di essa morì nel mese di settembre dello stesso anno, con la testa tagliata e le membra fatte a pezzi e scagliate intorno in segno di spregio. L’altro invece, che nella stessa regione svolgeva il compito di catechista, fu ucciso in nome di Cristo nel mese di novembre dopo che, imprigionato venti mesi prima e per tutto quel tempo angariato in molti modi, era diventato oggetto di ammirazione anche presso gl’infedeli per la sua invitta costanza nella fede.
Siamo costretti dopo ciò a tacere di molti e molti altri, dei quali non abbiamo saputo quasi niente, se non che nel tempo del quale abbiamo parlato o negli anni successivi molti di loro bagnarono i loro abiti talari nel sangue dell’Agnello; altri poi, anche se non ancora acquisiti da Cristo, tormentati da gravi punizioni, perseverarono fermamente nella proclamazione del Vangelo. Per questa virtù Ci è stata riportata espressamente con elogi la forza di molte donne cinesi, nelle quali l’ardore della fede superò la fragilità del sesso.
In verità ci sono ancora molti altri che negli stessi ultimi anni hanno sopportato la morte per Cristo; del loro trionfo parlano con ammirazione le relazioni giunte fin qui. Fra loro va ricordato il sacerdote Francesco Jaccard, missionario nel regno di Cocincina, il quale – da lungo tempo imprigionato e trasferito in diversi luoghi – dopo aver rese note ovunque le prove della sua invitta fermezza, fu impiccato nel mese di settembre 1838 in odio alla fede. Con lui sopportò la stessa sorte il giovane fedele indigeno Tommaso Thien. Quell’anno sarà celebrato particolarmente nella storia della Chiesa del Tonchino; nella quale, mentre l’anno volgeva, sia i fedeli laici, sia molti sacerdoti, sia i sacri responsabili conquistarono la corona del martirio. E per primo torna alla memoria il Venerabile Fratello Ignazio Delgado, dell’ordine dei Predicatori, Vescovo di Milopotamos e Vicario apostolico nel territorio orientale del regno: il quale, dopo aver vigilato per quarant’anni sulla provincia a lui affidata, infine per la gravezza dell’età cadde nelle mani degli infedeli: rinchiuso da loro in una gabbia di legno, mentre sopportava pazientemente i tormenti che gli venivano recati, indebolito a poco a poco dalla violenza di essi e dalla malattia che si faceva strada, nel mese di luglio dell’anno citato si addormentò nel Signore, prima che la sentenza pronunciata contro di lui dai magistrati fosse loro restituita munita della regia approvazione. Gl’infedeli non si trattennero tuttavia dal tagliare successivamente al morto la testa, appendendola in pubblico per tre giorni; successivamente, chiusa in una cesta con pesanti pietre, la inabissarono nelle profondità del fiume. Ma Dio, che dispone così mirabilmente, fece sì che la medesima testa (come si racconta nella relazione inviataci) venisse ritrovata nello stesso luogo, incorrotta in ogni sua parte ed illesa, dopo quasi quattro mesi dalla morte.
Nel mese di giugno, prima della morte – preziosa per il Signore – del lodato Vicario apostolico, si era avuto il martirio del suo coadiutore, il Venerabile Fratello Domenico Henares, anch’egli dell’ordine dei Predicatori, Vescovo di Fessei; egli, che era invecchiato nell’assistenza delle anime, ricercato dai soldati insieme con il suo superiore, catturato poco dopo, chiuso in una gabbia e pesantemente vessato, morì per il taglio della testa a testimonianza della fede. Insieme con lui sopportò la stessa morte il pio indigeno Francesco Chiêu, che svolgeva colà le mansioni di catechista e testimoniò ininterrottamente, fino all’effusione del sangue, la fede in Cristo, lo sviluppo della quale aveva favorito. Con analogo supplizio pochi giorni dopo fu colpito il sacerdote indigeno Vincenzo Yên, dell’ordine dei Predicatori, che già da quarant’anni si era affaticato nel compito missionario. Egli, messo a prova da vessazioni di ogni genere, rimase coerentissimo nella professione della vera fede; e non volle servirsi neppure di quell’inganno che gli era stato suggerito da un magistrato per evitare la condanna a morte e cioè, nascosta la sua dignità sacerdotale, dichiarare di essere un medico.
Dopo costoro, nel mese di luglio furono coronati con il martirio il missionario Giuseppe Fernandez, dell’ordine dei Predicatori, ed il sacerdote indigeno Pietro Tuân; entrambi avevano faticato più di trent’anni nel coltivare quella parte della vigna del Signore. A Giuseppe fu tagliata la testa, dopo che era stato rinchiuso in una gabbia e dopo che era stato portato davanti a diversi giudici: aveva offerto ovunque eminenti esempi di forza cristiana. Pietro, nonostante fosse condannato con pari giudizio, perché non era ancora arrivata la regia conferma della sua sentenza, morì in prigione, a testimonianza della fede, logorato dalle torture e dalle privazioni. Pochi giorni prima analoga vicenda era accaduta al vecchio catechista indigeno Giuseppe Uyên, iscritto al Terz’ordine di san Domenico, che – punito più volte per la sua costanza nella fede e crudelmente martirizzato dal movimento di un bastone di legno con il quale gli veniva schiacciato il collo – per le ferite riportate, dopo alcune ore morì.
In seguito divenne celebre la testimonianza del sacerdote indigeno Bernardo Duê, vecchio venerabile di ottantatré anni; egli dopo molte fatiche sopportate per la salvezza delle anime, per la vecchiaia e per le malattie, poteva a malapena camminare e tuttavia, proclamata con ripetute affermazioni la sua fede e la sua condizione, per – come riteniamo – particolare impulso della grazia divina, egli personalmente si presentò ai soldati. Catturato da costoro e invano sottoposto a molteplici torture perché abbandonasse la fede, sebbene, secondo le pubbliche leggi del suo regno non potesse essere punito con la morte per l’età superiore agli ottant’anni, nondimeno con un’eccezione proposta contro di lui si ottenne che all’inizio del mese di agosto andasse incontro ad una morte gloriosa in nome di Cristo mediante il taglio della testa. Con lo stesso genere di supplizio fu ucciso contemporaneamente un altro sacerdote indigeno dell’ordine dei Predicatori, Domenico Diêu Hanh; in precedenza egli si era profondamente impegnato per il bene delle anime e recentemente aveva tollerato con forza non poche torture per amore di Cristo. Dopo pochi giorni sopportò coraggiosamente, per testimoniare la fede, analoga morte un altro combattente in Cristo: il sacerdote indigeno Giuseppe Viên, che in precedenza aveva operato sedici anni nell’impegno del sacro ministero.
Nel mese di settembre fece seguito a costoro un altro sacerdote della stessa regione, Pietro Tû, dell’ordine dei Predicatori, che prima di essere ammazzato mediante taglio della testa, non era solo rimasto fermissimo nella fede tra le torture, ma aveva anche impavidamente esortato alla perseveranza i cristiani incatenati con lui, anche in presenza dei giudici. Nello stesso genere di martirio gli fu compagno Giuseppe Cânh, uomo d’età avanzata, cooptato nel Terz’ordine domenicano e stimatissimo tra i fedeli del suo villaggio, che aveva meritato benissimo nella vera religione. Infine nel mese di novembre il sacerdote Pietro Dumoulin Borie e inoltre due sacerdoti indigeni morirono coraggiosamente insieme per amore di Cristo. Queste cose, come abbiamo detto, accaddero nel 1838.
Ultimamente, con nuovo fulgore di virtù, hanno dato fama alle ricordate regioni della Cocincina e del Tonchino tre soldati di Cristo, i quali furono incatenati nell’anno passato nelle prigioni del Tonchino per testimonianza di fede; il governatore della provincia, non avendo potuto allontanarli dall’amore di Cristo né con alcuna lusinga, né con minacce, né con torture, avendo propinato loro con l’inganno certe pozioni, comandò che costoro, con i sensi completamente alienati, fossero sdraiati sopra l’immagine del santissimo Redentore: in seguito mandò al re una lettera sul fatto che costoro avevano rinnegato la religione cristiana calpestando la croce. In verità i devoti soldati, che nel frattempo erano stati liberati dal carcere con un sussidio in danaro, appena conosciuto il fatto si affrettarono ad andare al pretorio dove, gettando pubblicamente in faccia ai magistrati il denaro che era stato loro consegnato con l’inganno, fecero nuovamente professione della Nostra fede al citato governatore e, garantendo di non essersi mai allontanati dalla sua santità, giurarono parimenti che l’avrebbero fermamente conservata in futuro. Dopo questa così chiara ed evidente contestazione del peccato loro attribuito, due di quei soldati, di nome Nicola ed Agostino, al termine di un lungo viaggio raggiunsero la città regia della Cocincina e, con una memoria scritta, informarono il re in persona di ciò che era accaduto e della loro costanza al servizio di Cristo. In seguito, per ordine nel principe nuovamente sollecitati ad abbandonare la fede, nel mese di giugno dell’anno successivo giunsero felicemente alla palma del martirio e i loro corpi, con la testa tagliata, furono smembrati in quattro parti e gettati nel profondo mare.
Eccovi dunque, Venerabili Fratelli, in questo Nostro discorso, un breve elogio di coloro che, fra tutte le gerarchie cattoliche del clero e del popolo nelle citate parti dell’Estremo Oriente, non solo sostenendo varie sorti di affanni e torture, ma anche profondendo il loro sangue, diedero lustro alla vera fede di Cristo. Piaccia a Dio che d’ora in avanti non manchi la possibilità di accertare correttamente tutta questa materia affinché questa Santa Sede possa sottoporre a giudizio, secondo le norme delle sanzioni pontificie, lo stesso trionfo di tanti nuovi martiri ed offrirli alla venerazione dei fedeli.
Intanto siamo sostenuti dalla ferma speranza che l’autore e perfezionatore della fede, Cristo Signore, che con l’aiuto della sua grazia ha reso possibile che i forti continuassero la battaglia, guardi ora la sua Sposa, la Chiesa, che splende del sangue recente dei suoi figli, e benigno la tragga dalle calamità da cui è afflitta, ed amplifichi i frutti della giustizia, con il moltiplicato numero dei fedeli, specialmente nelle regioni irrigate con questo sangue.
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