BREVE
DEL SOMMO PONTEFICE
GREGORIO XVI
INTER GRAVISSIMAS
Al Venerabile Fratello Arcivescovo Antonio Nurigian, Primate Armeno di Costantinopoli.
Il Papa Gregorio XVI.
Venerabile Fratello, salute e Apostolica Benedizione.
In mezzo alle gravissime preoccupazioni che Ci angustiano da ogni parte, essendo stati innalzati a questo supremo osservatorio della Chiesa, pur nella consapevolezza della Nostra debolezza, abbiamo spesso rivolto a te i Nostri occhi, per essere a disposizione tua e di codesta nuova sede arcivescovile in tutto ciò che può tornare utile a indirizzare i cattolici Armeni – testé affrancati per la benevolenza del supremo Governatore dalle mani dei loro nemici – sulla via della salvezza. Essi sono già orientati con tale costanza nella purezza della Fede e nell’esercizio della cristiana carità, da rendere la loro buona condotta di vita un onore e un ornamento della Chiesa, tanto da confondere gli erranti che non possono dire alcun male di Noi.
Non ti è certo sconosciuto che un così grande bene, con l’aiuto della grazia di Dio, è promosso dall’esempio, dalla vigilanza e dall’impegno dei Vescovi. Ad essi appartiene il compito di insegnare e di consolidare con accortezza e verità ciò che è malfermo; di ricostruire ciò che è a pezzi; di ricondurre alla rettitudine ciò che è corrotto; di dispensare la parola di vita come cibo di eternità per alimentare la famiglia. Confidiamo che tu non mancherai di portare a compimento tutto questo.
Ma non tutti la pensano alla stesa maniera: per questo, quantunque non abbiamo dato facile ascolto alle denunce a Noi riferite, per l’affetto con cui ti siamo stati vicini anche nelle vicende di minore importanza e in forza dell’amore paterno con il quale abbracciamo tutte le Chiese cattoliche, riteniamo opportuno sottoporre alla tua attenzione nuovi documenti.
Proprio in funzione dell’ufficio apostolico che ricopriamo, facciamo leva sul tuo zelo perché ti adoperi a non lasciare insinuare abusi fra le pecore a te affidate, a impedire che sorgano dissensi o che si creino situazioni di disagio: se si lasciasse loro spazio, si ecciterebbero gli interessi delle fazioni e si assopirebbe la carità cristiana.
Devi anche persuaderti che nell’attuale situazione della tua nuova sede non mancheranno persone maligne, forse tra gli stessi cattolici, che potranno trarne motivo per incriminarti e favorire con le loro chiacchiere le insidie degli eretici. Non ci sono infatti dubbi che non intendano rivolgere tutta la loro attenzione a vanificare gli atteggiamenti di benevolenza del supremo Governatore verso di te, Giacomo Valle e i cattolici Armeni: atteggiamenti da cui discesero su voi numerosi e importanti favori. Più difficilmente si potrà dar credito a simili insinuazioni, finché il supremo Governatore avrà chiare le virtù tue e quelle del sacerdote Giacomo Valle, nel quale collocò tutto l’onore della prefettura nazionale. Avendo per l’addietro rifiutato di riconoscerti Arcivescovo Primate della Nazione Cattolica Armena, sentire ora che siete riusciti a ottenere presso di lui una grande stima, rallegra e rianima Il Nostro cuore. Perché possiate entrambi conservarla occorrerà evitare che, con l’eccessivo sfarzo dell’apparato esteriore, non appaia che cerchiamo le cose del mondo, non senza grave danno per le pecore a te affidate.
Ricordatevi che questo è il più grande impegno dell’Arcivescovo: di attendere alla salvezza spirituale delle proprie pecore. Pertanto non cercare di tenere presso di te un gran numero di ecclesiastici, che si sentirebbero sminuiti se venissero destinati ad umili incarichi, o venisse loro assegnato, specie nei processi criminali, l’adempimento di quei compiti che assai poco si addicono alla moderazione ecclesiastica, ma serviti di loro in base alle attitudini di ciascuno, perché a nessuna delle parrocchie sottoposte alla tua giurisdizione manchi il suo pastore.
Non ignori certo fin dove si estenda la tua giurisdizione: sai bene infatti che non ti è assolutamente concesso di esercitare, o di delegare a Giacomo Valle se non le facoltà di cui godi in forza delle disposizioni dei sacri canoni e della Sede Apostolica. Tieni dunque presente con quali limiti sia stata circoscritta la tua giurisdizione da Pio VIII, Nostro Predecessore di felice memoria, con la lettera apostolica del 6 luglio 1830 per l’erezione del nuovo Arcivescovato metropolitano primaziale di Costantinopoli per gli Armeni cattolici e con gli altri scritti pubblicati nello stesso giorno, in occasione della tua elezione ad Arcivescovo.
Potrai renderti conto che la tua giurisdizione si estende solamente a quegli Armeni cattolici che al tempo della costituzione del tuo episcopato appartenevano alle province sottomesse all’Impero Ottomano e che, privati del pastore armeno cattolico, si trovavano sotto la giurisdizione del Venerabile Fratello Arcivescovo di Sardi, vicario del Patriarcato Apostolico di rito latino. Tra essi non possono essere in alcun modo annoverati gli Armeni cattolici già affidati ai Vescovi cattolici di rito armeno, e nemmeno quelli che, essendo di nazioni estere, a Costantinopoli vengono definiti affrancati, e molto meno coloro che abitano in regioni non sottomesse al potere Ottomano, come gli Armeni della Georgia e tutti quelli che si trovano ora sotto la giurisdizione di quell’Ordinario da cui dipendevano prima che venisse costituita la nuova cattedra Arcivescovile Armena. A questa non è stato dunque demandato alcun potere nei confronti di chi rientra in qualsiasi altra nazionalità di cattolici diversa da quella Armena.
A prescindere da tutti questi, ti resta un numeroso gregge da alimentare con l’esempio e con la parola, e poiché nella Chiesa cristiana non vi è alcunché di più santo, né di più sublime del sacrificio della Messa, sarai giudicato meritevole delle più grandi lodi ogniqualvolta ti sarai impegnato perché, nella sua celebrazione, venga impiegato quel rito che si confà alla maestà di tanto mistero; quel rito cioè che è stato già approvato da questa Santa Sede e che, fissato nei libri liturgici della Congregazione preposta alla propaganda della Fede, contiene tutte le disposizioni che riguardano la solenne celebrazione delle Messe.
Qualora tuttavia, per la veemenza delle persecuzioni che hanno impedito la solenne celebrazione delle Messe, siano state introdotte già da tempo fra i cattolici Armeni alcune lodevoli consuetudini, come quelle che impongono ai sacerdoti cattolici Armeni di iniziare la celebrazione con il segno della Croce e, dopo le parole della Consacrazione, di sostare in ginocchio nell’adorazione del santissimo Corpo e del preziosissimo Sangue di Gesù Cristo sotto le specie del pane e del vino, riteniamo non si debba assolutamente eliminarle. Chi si proponesse, infatti, di farlo, offrirebbe piuttosto motivo di scandalo che di edificazione.
Occorre pertanto attenersi scrupolosamente alla prassi che vieta di introdurre qualsiasi innovazione nei riti della sacra liturgia senza avere interpellato la Sede Apostolica. Anche quando si trattasse di dar vita a cerimonie che sembrano meglio rispondere alle direttive liturgiche approvate dalla stessa Sede, è permesso solo per gravissimi motivi e dopo avere ottenuto la doverosa autorizzazione della Sede Apostolica. Vi è inoltre un motivo specifico per attenersi coscienziosamente, presso gli Armeni cattolici, a questa prassi, poiché nell’antica normativa Armena relativa al culto era permessa la celebrazione della Messa solenne soltanto secondo le prescritte cerimonie.
Tuttavia i cattolici Armeni, investiti dalle persecuzioni, si scostarono alquanto da quelle disposizioni e, trovandosi preclusa la solenne celebrazione delle Messe, presero l’abitudine di celebrare il Sacrificio anche nelle case private. Anche se potrà sembrare opportuno limitare, con precise leggi, la consuetudine di celebrare la Messa nelle case private, non si proceda senza grave e giusto motivo. Essa potrà essere tollerata fino a quando non saranno state edificate per i cattolici Armeni le Chiese nelle quali i sacerdoti cattolici Armeni potranno celebrare secondo il proprio rito. Non converrà privarli della possibilità di tenere le loro cerimonie nelle Chiese latine, usando i paramenti propri del loro rito (a meno che, per un’urgente necessità o per mancanza delle vesti del proprio rito, non accada di dover mitigare, per un tempo limitato e per motivi particolari, il rigore di questa legge), perché chi si trova all’esterno non abbia a pensare che gli Armeni cattolici si siano allontanati da quell’unità della Fede che, per l’addietro, hanno professato con tanto coraggio in ogni circostanza e con pericolo della stessa vita.
Una è la Chiesa di Cristo, una la Fede di tutti i cattolici, uno il Battesimo, uno è il capo di noi tutti, Gesù Cristo, che affidò al beatissimo Apostolo Pietro – di cui Noi, anche se indegni, siamo i successori – il pieno potere di reggere e di governare tutta la Chiesa. » quindi giusto che resti aperta ai sacerdoti Armeni questa via, per mezzo della quale possano più facilmente confermare gli animi dei cattolici Armeni nella professione della santa religione e nella devozione verso il beatissimo Pietro.
Queste disposizioni, intese a favorire la devozione, non possono offrire ad alcuno il pretesto per passare dal proprio rito a qualsivoglia altro, anche se approvato dalla Sede Apostolica. Tutti sanno, infatti, che ciò è vietato dalle Costituzioni Apostoliche, eccettuato il caso in cui venga concesso a qualcuno, per indulto, dalla Sede Apostolica. Volendo abbracciare con paterno amore gli orfani che, nati da padre armeno e da madre greco-latina, per l’insorgere della persecuzione contro gli Armeni sono stati affidati a persone latine per essere educati, li riteniamo meritevoli di tale favore. Pertanto decretiamo che possano continuare nella pratica del rito latino, e ordiniamo di non esercitare nei loro confronti alcuna pressione. Nutrendo inoltre viva la preoccupazione pastorale di provvedere, soprattutto, alla retta amministrazione dei Sacramenti, siamo stati colpiti da non lieve amarezza che costì vengano spesso amministrati i Sacramenti della Confessione e dell’Eucaristia nelle case private. Per eliminare dunque ogni possibile abuso che ne può facilmente derivare, facciamo pressante appello al tuo zelo perché prenda in considerazione la cosa e, dopo esserti consigliato con il Venerabile Fratello Arcivescovo di Sardi, vicario apostolico del Patriarcato, prenda gli opportuni provvedimenti e ti adoperi, con ogni cura, a che tale facoltà non sia concessa indiscriminatamente a chicchessia, ma solo ai sacerdoti dotati di tale rettitudine da rimuovere ogni sospetto, e in favore di quei laici che non solo si raccomandano per la loro buona condotta di vita, ma dispongano anche di un ambiente confacente ad una decorosa celebrazione dei sacri misteri, separato da quelli di uso profano, dove sia possibile dar corso al sacro rito senza pericolo alcuno di profanazione.
Indirizza pura la tua vigile attenzione pastorale per evitare che, nell’amministrazione del Battesimo o nella benedizione del Matrimonio, si insinui qualche consuetudine sconveniente o contraria alle leggi ecclesiastiche. La Sede Apostolica non potrà mai accettarle né tollerarle, perché dall’abuso nell’amministrazione dei Sacramenti non prendano corpo costumanze che riflettano la perversità e la corruzione degli eretici, o contrarie alla modestia cristiana o alla dignità ecclesiastica.
Siamo pure profondamente addolorati che, sull’esempio degli eretici, siano state imposte tasse che i cattolici debbono corrispondere in occasione del Battesimo dei bambini e della celebrazione del Matrimonio. Questo contrasta apertamente con le norme e la prassi della Chiesa cattolica. Ti ricordiamo che ciò non è mai lecito. Può essere solo ammessa una modica tassa in occasione dei funerali, da determinare in base alle diverse condizioni delle persone, ma sempre rispettosa della carità: questa esige che i poveri autentici siano sepolti e fruiscano del suffragio delle preghiere prescritte dal rituale cattolico senza alcun emolumento. In questo modo, non solo il clero cattolico Armeno sarà esente da ogni macchia di avarizia – il che è asservimento agli idoli – ma potrà più agevolmente convincere gli eretici ad abbracciare la religione cattolica.
Infine, poiché ti siamo vicini, Venerabile Fratello, con vero paterno amore ti esortiamo con calore perché, in codesta Chiesa affidata alla tua fede perché tu la ordini, tu Ci consulti con animo fiducioso, sapendo che in una vicenda di tanto rilievo non ti mancheremo e anzi aumenterà la Nostra sollecitudine. Inoltre, abbi per certo che Noi seguiremo la strada dei Nostri Predecessori che, pur avendo deciso di lasciare aperto a chiunque l’accesso a questa Sede Apostolica, comminando pene severissime a chi vi si opponeva, hanno sempre dato prova di scrupolosa accortezza, al fine di non dare facile ascolto alle delazioni, ben sapendo come traggano spesso origine dalla malvagità di persone dedite alla calunnia, che non sopportano la severità delle leggi.
È questa la prassi seguita dai Romani Pontefici: qualora sia sottoposto alla loro attenzione qualche misfatto da punire, non tralasceranno niente che possa contribuire ad evidenziare la verità; interrogheranno gli accorti Vescovi o i Superiori ecclesiastici, perché possano personalmente, nel modo più agevole e sicuro, esporre i fatti che portano a definire il vero quadro della situazione.
Dopo averti manifestato queste Nostre considerazioni, dietro suggerimento dei Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa preposti agli affari di Propaganda Fide, impartiamo di vero cuore, a te, Venerabile Fratello, e al popolo affidato alle tue cure, l’Apostolica Benedizione.
Dato a Roma presso San Pietro, sotto l’anello del Pescatore, il 3 febbraio 1832, anno secondo del Nostro Pontificato.
Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana