BREVE
DEL SOMMO PONTEFICE
GREGORIO XVI
INTER MAXIMAS
Il Papa Gregorio XVI.
A perpetua memoria.
Tra le grandi e crudeli sventure della Religione cattolica che lamentiamo in questi tempi assai agitati, certamente prevale la colluvie di libri pestiferi che, «come locuste sciamanti dal fondo dell’abisso», invadono tutta la vigna del Signore per devastarla e, «come la coppa colma di abominazioni» che Giovanni vide in mano alla grande meretrice, propinano veleno di ogni genere a chiunque ne beva. Certo di tal natura è il libello intitolato «Lettera sulla direzione degli studi» pubblicato sotto il nome di Francesco Forti e recante l’indicazione tipografica «Ginevra 1843». Esiguo di mole ma per varietà di argomenti e per gran copia di errori equivalente a grossi volumi, redatto in poche pagine con la fine e maligna arte dei maestri d’iniquità, grazie al piccolo formato e al prezzo modico può più facilmente giungere in mano a tutti al fine di corrompere qualsiasi studio, di depravare la gioventù di ogni età, ordine e condizione, di danneggiare la Religione. L’autore dimostra di aver attinto le erronee e perverse opinioni professate e gli aguzzi sofismi di cui fa uso contro la Chiesa, contro la dottrina cattolica, contro la morale cristiana, dai più astuti nemici della fede e della morale cristiana e dalle loro opere, citate e lodate, per cui si può ben dire che in un solo libello egli ha raccolto i più gravi e farneticanti errori di tutti. Perciò a quel libello si può giustamente riferire ciò che San Leone scrive a Turibio circa il dogma dei Priscillanisti: «Non vi è nulla di sordido nelle opinioni degli empi di ogni sorta, che non sia riversato in questo libello, poiché l’autore ha per sé mischiato un putridume d’ogni sorta, tratto da tutto il fango delle opinioni mondane, in modo che lui solo potesse bere tutto ciò che gli altri avevano delibato solo in parte». E perché ciò appaia del tutto manifesto, basta segnalare sommariamente i seguenti brani tra i molti, per far capire il senso dell’opera.
L’autore afferma che non si può dare una risposta vincente agli argomenti dei filosofi scettici «e insinua incredulità anche a proposito della Cosmogonia Mosaica; e avanza pericolosi e capziosi dubbi circa la natura dell’anima e le sue facoltà». Inoltre, secondo il suo criterio, egli pretende che le virtù e i vizi debbano essere giudicati soltanto in relazione alla felicità del genere umano e alla conservazione dell’ordine di natura nella società civile, «senza avere alcun rispetto della legge divina né della moralità religiosa nella azione pratica». Pertanto egli perviene a tal segno di empietà che ritiene assurdo e immorale ogni principio dogmatico che valga ad imporre un freno alle passioni umane. Deposto ogni pudore, egli osa suggerire al potere politico l’impunità anche per la passione più turpe e sfrenata: «Invero lo stato di natura insegna che esso è stato di guerra, a guisa di bruti». Inoltre riferisce di aver accolto da Lutero e dal protestantesimo, come beneficio per la società, la riforma filosofica e la riforma politica, per cui afferma che la condizione dei popoli e di tutte le nazioni è certamente migliorata in passato e lo è anche al presente. Risulta dunque evidente che la religione (come la immagina l’autore) è essenzialmente cosa diversa dalla Religione rivelata e che essa è soltanto una religione politica, da determinare, da governare e anche da riformare secondo la volontà del potere politico di ciascun Stato, come negli Stati dei protestanti.
Quanto alla Religione cattolica, prendendo pretesto dai suoi ministri, rinfaccia alla Chiesa il gran numero di dogmi e i precetti morali che limitano la libertà di pensiero; e indica come i governi, sotto i quali essa prospera, possano ridurla all’obiettivo dei politici, tanto che risulti utile alla società che essi governano. Inoltre afferma che è utile alla convivenza umana quella religione in cui pochi siano i dogmi, più semplici le pratiche religiose e in cui «il cuore sostituisca le premesse della metafisica» (come egli dice), ossia, come si evince dal contesto dell’opera, i moti e gli affetti del cuore sostituiscano i precetti morali della religione cristiana. Come ulteriore crimine contro la Religione, egli insegna che occorre praticare la tolleranza piuttosto che preservare i dogmi.
È evidente dunque che i consigli e i precetti dell’autore sono rivolti a riformare o piuttosto a sovvertire la Religione Cattolica, secondo i principi dei protestanti. I principi dell’autore, proposti e stabiliti come norma per i legislatori e i governanti nelle questioni religiose, mirano a questo: che il clero sia esposto alla diffidenza e al ludibrio dei popoli; che l’autorità ecclesiastica sia esposta al sospetto, alla ostilità, al disprezzo dei governanti, in modo che i fedeli siano sradicati con un unico strappo o vengano allontanati passo passo dalla Sede Apostolica, centro dell’unità cattolica, così che venga abrogata ogni giurisdizione ecclesiastica nel foro interno e in tutte le azioni esterne; in modo che appartenga al potere politico il diritto di reggere e anche di modificare le istituzioni ecclesiastiche, nonché gli insegnamenti elementari e quindi di alterare la dottrina della Chiesa cattolica; di giudicare di essa e di interdire quanto essa afferma, affinché il governo della Chiesa spetti ad uno solo, cioè sia sottomesso al solo governo civile; in una parola, mirano a condurre la Chiesa a durissima servitù sotto il governo.
Meditando gravemente tutte queste cose, con profusione di lacrime ai piedi del Crocifisso; considerando gli immensi danni che alle anime potrebbero derivare dall’insegnamento del citato, pestifero libello; uditi i voti dei Venerabili Fratelli Nostri Cardinali di S.R.C., inquisitori generali in tutta la comunità cristiana, motu proprio, con sicura coscienza e con matura Nostra deliberazione, nella pienezza della potestà apostolica, condanniamo, riproviamo e proibiamo in forza delle consuete clausole e pene indicate nell’indice dei libri proibiti, il predetto libello, ovunque o in qualunque lingua o in qualsivoglia edizione o versione stampato o (Dio non voglia) da stampare, in quanto contiene dottrine e affermazioni «che inducono allo scetticismo e alla incredulità; sono scandalose per i buoni costumi, empie, false, temerarie, capziose, erronee, prossime all’eresia, sospette di eresia, ingiuriose e calunniose, contro il sacro ministero ecclesiastico, deroganti dai divini diritti della Chiesa, eversive della fede e della divina costituzione della Chiesa, favorevoli al protestantesimo e alla sua diffusione, scismatiche».
Nel nome del Signore esortiamo pertanto e scongiuriamo i Venerabili Fratelli Patriarchi,Arcivescovi, Vescovi e gli altri Ordinari di ogni luogo che, per il ministero di educatori loro affidato da Dio, ricordino di attenersi strettamente alla dottrina cattolica nell’istruire il gregge, e di confutare coloro che l’avversano e di agire in tutti i modi e con ogni sollecitudine e con fermezza apostolica affinché le pecore siano allontanate da pascoli così avvelenati, cioè dalla lettura di questo empio ed esecrando libello.
Affinché, poi, la presente lettera sia più facilmente nota a tutti e nessuno possa addurre l’ignoranza di essa, vogliamo e ordiniamo che essa sia pubblicata alle porte della Basilica del Principe degli Apostoli e della Cancelleria apostolica, nonché della Curia generale in Monte Citorio e nella piazza di Campo dei Fiori, nell’Urbe, per mezzo di qualche Nostro Cursore (come è costume) e che copie di essa siano lasciate affisse colà. Dopo che è stata resa pubblica, siano obbligati ad essa tutti e i singoli ai quali compete, come se a ciascuno fosse stata notificata e rivolta personalmente.
Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, sotto l’anello del Pescatore, il 5 agosto 1843, anno tredicesimo del Nostro Pontificato.
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