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ENCICLICA
DEL SOMMO PONTEFICE
GREGORIO XVI

COMMISSUM DIVINITUS

 

Il Papa Gregorio XVI. 
Venerabili Fratelli e diletti Figli, salute e Apostolica Benedizione.

Il compito dell’ufficio apostolico, affidato da Dio alla Nostra umile persona, richiede di vigilare assiduamente e con forza per custodire il gregge del Signore, e di indirizzare in modo particolare gl’intenti e gli sforzi, per quel tanto che Ci è possibile, là dove sembra che la salvezza eterna delle pecore e la stessa Religione Cattolica siano messe in pericolo.

Siamo infatti a perfetta conoscenza, e ne siamo profondamente addolorati, che in codeste regioni gli avversari, con perfidia e non senza effettivi risultati, tramano in molte cose che vanno direttamente a danno esplicito del gregge cristiano e a detrimento della situazione della cattolicità. Il Nostro dolore è accresciuto dal fatto che costoro, per ingannare le persone semplici, sostengono di non voler per nulla intaccare l’integrità della fede, intenti soltanto a salvaguardare i diritti pertinenti al potere laicale. Si preoccupano però di stabilire e sancire tali presunti diritti con rivendicazioni di diritto pubblico del tutto false, sostenute da dottrine erronee e perverse, largamente insinuate e propagate. Di qui l’indizione di assemblee e consultazioni, con cui osano dichiarare e definire una normativa sicura, attraverso la quale il potere secolare può liberamente intervenire negli affari ecclesiastici.

Siete già a conoscenza,Venerabili Fratelli e diletti Figli, che Noi Ci siamo pronunciati su quanto è stato scandalosamente compiuto, o meglio perpetrato, nel mese di gennaio dello scorso anno nella città di Baden del Cantone di Argovia. Tutti questi avvenimenti hanno riempito voi stessi di profondissima angoscia e vi tengono tuttora ansiosi e perplessi.

Non vi possiamo nascondere che all’inizio non volevamo credere che dei laici fossero convenuti in un luogo stabilito [Baden] soltanto con l’intenzione di trattare di cose che interessano la Religione e che avessero voluto spingersi a deliberare, come fosse loro diritto, di varie cose esclusivamente spettanti alla potestà ecclesiastica, e di presentare le decisioni adottate, perché siano approvate con legge, a coloro che in codeste province federate detengono il potere.

Ma gli stessi atti del convegno sopra ricordato, da poco pubblicati a stampa in Gynopedio (Frauenfeld), documentarono a Noi come stavano realmente le cose; in essi sono riportati i nominativi dei presenti, dei deputati al convegno, gl’interventi proferiti da alcuni di loro in varie sessioni e, infine, integralmente le deliberazioni adottate colà. In verità, leggendo attentamente sia gl’interventi, sia queste deliberazioni, siamo rimasti inorriditi rendendoci conto che in essi erano contenuti principi che recano sconvolgimenti contro la Chiesa Cattolica; tali principi, proprio perché contrari espressamente alla sua dottrina e alla sua disciplina e, in più, apertamente indirizzati alla rovina delle anime, non possono in alcun modo essere sostenuti.

Senza dubbio, Colui che fece con profonda sapienza tutte le cose e le dispose secondo un preciso ordinamento, volle anche che nella sua Chiesa fosse presente un ordine gerarchico, così che alcuni avessero il compito di presiedere e comandare, e altri di essere sottomessi e ubbidire. Conseguentemente la Chiesa, dalla stessa istituzione divina, possiede non soltanto il potere di magistero per insegnare e definire i dati di fede e di costume e per interpretare le Sante Scritture senza alcun pericolo di errore, ma anche il potere di governo, allo scopo di mantenere e confermare nella dottrina della tradizione coloro che essa accolse nel suo grembo una volta per sempre; pertanto promuove le leggi in tutti quegli ambiti che riguardano la salvezza delle anime, l’esercizio del sacro ministero e il culto di Dio.

Chiunque si oppone a queste leggi si rende colpevole di un gravissimo crimine. In più, questo potere di insegnare e di comandare negli ambiti che riguardano la Religione sono stati assegnati da Cristo alla sua Sposa non soltanto in modo del tutto specifico ai pastori e ai presuli, al di fuori di ogni possibile ingerenza di magistrati del governo civile, ma in forme del tutto libere e in nulla dipendenti da qualsiasi potere terreno.

Infatti, non ai Principi di questo mondo, ma agli Apostoli e ai loro successori nel mandato, Cristo affidò il deposito della dottrina rivelata e a loro soltanto disse: «Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me». Gli stessi Apostoli, poi, non da un riconoscimento del potere civile, ma anche in difformità da esso, annunziarono il Vangelo, diffusero gl’insediamenti della Chiesa, stabilirono la disciplina. Anzi, quando i capi della Sinagoga osarono imporre agli Apostoli di non predicare, Pietro e Giovanni, difendendo la libertà del Vangelo, risposero: «Se sia giusto innanzi a Dio obbedire a voi più che a Lui, giudicatelo voi stessi». Pertanto, solo colpendo la fede e violando apertamente la divina costituzione della Chiesa e la natura del suo governo, può avvenire che si imponga nei suoi confronti il potere del mondo o che la sua dottrina sia vincolata fino ad impedirle di produrre e promulgare le leggi attinenti al ministero sacro, al culto divino e al bene spirituale dei fedeli.

Questi diritti della Chiesa sono certi e immutabili sulla base dell’autorità di tutti gli antichi padri e sono garantiti dalla tradizione.

Osio, vescovo di Cordova, scriveva all’imperatore Costantino: «Non immischiarti negli affari ecclesiastici, e in questa materia non inviare a noi degli ordini; al contrario, impara da noi quanto segue: A te Dio affidò l’impero e a noi affidò la Chiesa. Chi in qualsiasi modo sottrae l’impero a te, si mette contro l’ordine stabilito da Dio; ma anche tu sta’ attento a non diventare colpevole di un grande crimine, volendoti immischiare nelle cose della Chiesa».

I Principi cristiani riconobbero tutto questo e ritennero che fosse per loro un vanto confessarlo apertamente. Tra essi l’imperatore Basilio il Grande così si espresse nell’ottavo Concilio: «Quanto a voi laici, sia nei riguardi di coloro che rivestono posizioni di potere, sia verso tutti gli altri a cui mi riferisco, non ho altre cose da dire se non che in nessun modo a voi è permesso trattare le cose ecclesiastiche. L’investigazione e la ricerca in questo ambito sono riservate ai Patriarchi, ai Pontefici e ai sacerdoti espressamente deputati all’ufficio di governo della Chiesa. Essi hanno il potere di santificare, legare e sciogliere, perché sono in possesso delle chiavi ecclesiastiche e celesti. A noi laici, bisognosi di essere guidati, santificati, giuridicamente legati e sciolti, non competono poteri ecclesiastici».

Con criterio diametralmente opposto a tutto questo si è deliberato nell’assemblea di Baden, da cui furono emanati articoli che distruggono la giusta dottrina del potere ecclesiastico, e riducono la stessa Chiesa in una riprovevole e ingiusta schiavitù. La Chiesa sarebbe sottomessa al potere laico nel pubblicare i decreti dogmatici qualora si stabilisse che le leggi da lei emanate circa la disciplina rimarrebbero senza forza e senza effetto se non promulgate con il consenso dell’autorità secolare, con aggiunta l’intenzione di procedere penalmente contro coloro che si comportassero diversamente. Che altro? Alla stessa potestà civile si dà libera facoltà di approvare o di rigettare tutto ciò che i sinodi, che noi chiamiamo diocesani, hanno stabilito per le singole circostanze: di presiedere i Seminari; di confermare la loro disciplina interna fissata dai sacri Vescovi; di designare, dopo l’esame nelle singole materie scientifiche, i chierici agli uffici ecclesiastici; di disporre in ogni istituzione religiosa e morale del popolo; di regolare infine tutto ciò che riguarda quella che chiamano disciplina esterna della Chiesa, benché sia di natura e d’indole spirituale, e di ordinare il culto divino e la salute delle anime.

In verità, nulla appartiene più propriamente alla Chiesa, e Cristo nulla più strettamente ha voluto riservare ai suoi pastori che l’amministrazione dei Sacramenti da Lui istituiti. La ragione di questa riserva può essere giudicata soltanto da coloro che Egli stabilì come ministri della sua opera sulla terra. È del tutto ingiusto perciò che il potere civile rivendichi per sé qualcosa a proposito del santissimo esercizio della potestà ecclesiastica; è del tutto ingiusto che il potere civile stabilisca alcunché in tale esercizio o imponga obblighi ai ministri sacri; è del tutto ingiusto che il potere civile con le sue leggi si ponga contro le norme che stabiliscono il modo di amministrare i sacri misteri al popolo cristiano, sia quelle fissate negli scritti, sia quelle trasmesse a viva voce dalle origini della Chiesa fino ai nostri tempi.

San Gelasio, Nostro Predecessore, nella sua lettera all’imperatore Anastasio scriveva: «Hai pienamente conosciuto, o figlio clementissimo, ciò che ti è permesso, per la tua dignità, in quanto presidente della società umana; tuttavia sei devotamente sottomesso ai presuli nelle cose divine, e da loro richiedi le fonti della tua salvezza. Nel ricevere i Sacramenti celesti e nell’amministrazione degli stessi, da parte di chi ne ha legittima competenza, riconosci apertamente che tu devi essere sottomesso all’ordinamento della Religione, anziché Presiederlo. Hai riconosciuto perciò che in questo ambito tu dipendi dal giudizio dei presuli e che non puoi pretendere che essi si conformino al tuo Potere».

Invece, cosa che appare del tutto incredibile e ha del fantasioso, nell’assemblea di Baden ci si è spinti tanto innanzi da attribuire il diritto e il compito di disporre la stessa amministrazione dei Sacramenti al potere secolare. Su questo preciso aspetto vertono gli articoli deliberati con temeraria arroganza a proposito del grande Sacramento del matrimonio da celebrare in Cristo e nella Chiesa. Da qui deriva un esplicito sostegno al decreto sulle nozze tra diverse confessioni religiose; da qui l’imposizione ai parroci cattolici di benedire queste nozze, prescindendo del tutto dalla diversità di confessione religiosa dei due coniugi; da qui infine minacce severe e punizioni verso coloro che contravvenissero a tali disposizioni. Tutte queste cose non sono soltanto e meritamente da rigettarsi per il fatto che il potere civile legiferi sulla celebrazione del Sacramento istituito da Dio, e per il fatto che osi imporre la propria autorità ai sacri pastori in una materia così importante; ma sono anche da rifiutarsi con maggior forza per il fatto che favoriscono l’opinione del tutto assurda ed empia che va sotto il nome di indifferentismo, sul quale anzi sono necessariamente fondati.

Pertanto tutte queste cose risultano assolutamente contrarie alla verità cattolica e alla dottrina della Chiesa, la quale detestò continuamente e sempre proibì i matrimoni misti, sia come scandalosa comunione in una cosa sacra, sia come grave pericolo di perversione del coniuge cattolico, né mai concesse la libera facoltà di contrarre matrimoni misti, se non a precise condizioni che tenessero lontano dai matrimoni le cause di difformità e di pericolo.

L’Apostolo Paolo, scrivendo agli Efesini, espone con molta chiarezza come Cristo conferì alla sua Chiesa il più alto potere in ordine al governo della Religione e alla conduzione della società cristiana, in nulla sottoposti al potere civile, a tutto vantaggio dell’unità interna. Ma come sarebbe possibile questa unità se non ci fosse un solo responsabile a presiedere su tutta la Chiesa, per difenderla e custodirla, per unire tutte le membra della Chiesa stessa nell’unica professione di fede e congiungerle nell’unico vincolo di carità e di comunione?

La sapienza del divino Legislatore mirava effettivamente a far sì che a un corpo sociale visibile corrispondesse un capo visibile, perché «con la sua istituzione fosse evitato ogni rischio di scisma». Da questo deriva che tutti i Vescovi, che lo Spirito Santo ha deputato a reggere la Chiesa di Dio, per quanto abbiano una comune dignità e uguale potestà per ciò che riguarda i poteri di ordine, tuttavia non tutti hanno un unico livello gerarchico, né la stessa ampiezza di giurisdizione. In merito Ci riferiamo a quanto ha dichiarato San Leone Magno: «Se è vero che anche fra i beatissimi Apostoli vi fu una certa partecipazione paritaria al potere per quanto attiene alla dignità, essendo uguale per tutti l’elezione, tuttavia ad uno soltanto è stato affidato il potere di presiedere a tutti... perché ilSignore dispose che il compito dell’annuncio del Vangelo, proprio della missione degli Apostoli, appartenesse in modo preminente al beato Pietro, al disopra di tutti gli Apostoli».

Quello dunque che ilSignore concesse unicamente a Pietro fra tutti gli Apostoli, quando gli affidò le chiavi del Regno dei cieli unitamente al mandato di pascere gli agnelli e le pecore e di confermare nella fede i fratelli, volle estenderlo anche ai successori di Pietro, che mise a capo della Chiesa con uguali diritti, per l’efficienza della Chiesa stessa, destinata ad esistere fino alla fine del mondo.

Questo fu sempre il parere concorde e fondato di tutti i cattolici; è un dogma di fede che il Romano Pontefice, successore del beato Pietro, Principe degli Apostoli, detiene nella Chiesa universale non solo un primato di onore, ma anche di potere e di giurisdizione; di conseguenza gli stessi Vescovi sono a lui sottomessi. In merito lo stesso San Leone prosegue: «È necessario che tutta la Chiesa diffusa nel mondo sia unita alla Santa Chiesa Romana, sede di Pietro, e converga al centro dell’unità cattolica e della comunione ecclesiastica. Colui che oserà distaccarsi dal fondamento di Pietro deve capire che si estrania dal mistero divino».

San Girolamo aggiunge: «Chiunque mangerà l’agnello [pasquale] al di fuori di questa casa, si emargina dalla salvezza; se qualcuno non si trova in questa arca di Noè, è destinato a perire al momento del diluvio». Come colui che non raccoglie con Cristo, disperde tutto, analogamente colui che non raccoglie con il suo Vicario non raccoglie alcunché.

Come può raccogliere con il Vicario di Cristo colui che distrugge la sua autorità sacra, calpesta i diritti di cui egli solo è in possesso in quanto capo della Chiesa e centro dell’unità: diritti da cui gli deriva il primato di ordine e giurisdizione unitamente al supremo potere, affidatogli da Dio, di pascere, reggere e governare la Chiesa universale?

In verità, lo affermiamo tra le lacrime, è proprio questo che si è osato compiere nell’assemblea di Baden. Soltanto un Romano Pontefice, e non un qualsiasi Vescovo, può per diritto innato e proprio mutare i giorni stabiliti come feste da celebrare o da assegnare al digiuno, o abrogare il precetto di partecipare alla Messa, come risulta apertamente definito nella costituzione «Auctorem fidei» contro i pistoiesi, promulgata da Pio VI, Nostro Predecessore di santa memoria, il 28 agosto 1794. Emerge invece il contrario negli articoli dell’assemblea di Baden, che appaiono anzi più pericolosi perché sugli stessi temi si è legiferato indiscriminatamente, riconoscendo in modo esplicito al potere civile il diritto di decidere.

Per contro, spetta soltanto ai Romani Pontefici il diritto particolare di esimere gli Ordini religiosi dalla giurisdizione dei Vescovi e di sottometterli direttamente a se stessi. Questo diritto è stato praticato da loro fin dai tempi più antichi, senza possibilità di smentita. Anche a questo diritto e in modo del tutto esplicito contravvengono gli articoli dell’assemblea di Baden. Infatti, senza menzionare il permesso da richiedere e da ottenere come condizione necessaria dalla Sede Apostolica, si è stabilito che dal potere secolare vengano adottate quelle decisioni con le quali, abolito l’impedimento per i Cenobii presenti in Svizzera, sono sottomesse all’autorità ordinaria dei Vescovi le famiglie religiose.

A tutto questo vanno aggiunte le norme stabilite riguardanti l’esercizio dei diritti dei Vescovi; cose tutte che, se considerate con profonda attenzione, appaiono chiaramente collegate a quei principi su cui sono stati stabiliti gli altri articoli nella medesima assemblea. In essi sembra di capire che la giurisdizione dei Vescovi, in cause fondate, non può e non deve essere vincolata dalla suprema autorità del Pontefice Romano, e talvolta deve essere circoscritta in determinati limiti.

Né possono essere sottaciute le cose trattate e proposte circa l’elezione della sede metropolitana, e a proposito dei territori di alcune Diocesi di costì da congiungersi ad altra Chiesa cattedrale posta fuori dei confini elvetici. Per quanto in questo caso si sia tenuto conto in parte dei diritti della Sede Apostolica, tuttavia non ci si è attenuti rettamente alle esigenze e alla natura del primato divino della stessa Sede; a Baden infatti si è deliberato di decidere intorno a problemi fondamentali, riguardanti le necessità spirituali del popolo cristiano, come se al potere civile fosse permesso, per diritto proprio, di agire del tutto liberamente.

Tralasciamo varie altre osservazioni, che sarebbe tedioso riferire in modo dettagliato; anche tali dati recano tuttavia non piccolo danno a questa santa Cattedra di Pietro e ne diminuiscono, violano e disprezzano la dignità e l’autorità.

Stando così i fatti, in un così grande ed esplicito perturbamento della sana dottrina e del diritto ecclesiastico, in un così pesante e grave discrimine della situazione dei cattolici in codeste regioni, da parte Nostra, appena conclusa l’assemblea di Baden, avremmo dovuto alzare la voce di protesta da questo santo monte e controbattere, respingere e condannare apertamente tutti gli articoli colà dibattuti. In verità, per nessuna ragione e neanche per un istante abbiamo avuto pareri diversi intorno alla malvagità di tali proposizioni, ma speravamo che non solo non venissero ratificate in seguito, ma fossero del tutto rigettate e rifiutate da coloro che costì detengono il potere nell’amministrazione civile.

Ma dal momento che la maggioranza di tali articoli non era stata sottoposta a libera votazione e, anzi, con profondo dolore abbiamo appreso che in qualche luogo erano state promulgate leggi con le quali gli stessi articoli vengono confermati e avvalorati con pubbliche sanzioni, abbiamo capito di non potere più a lungo soprassedere e non pronunciarci, dal momento che rivestiamo l’incarico di maestro e dottore universale, per quanto immeritevole, a cui compete il dovere operoso di impedire che qualcuno, prendendo lo spunto dal Nostro atteggiamento, sia indotto miseramente in errore, ritenendo che i più volte ricordati articoli dell’assemblea di Baden non siano per nulla contrari alla dottrina e alla disciplina della Chiesa.

Affinché poi da parte di questa Santa Sede un problema di così grave importanza fosse deciso con la massima oculatezza, abbiamo voluto che gli stessi articoli fossero sottoposti ad un esame accuratissimo. Ascoltati in merito vari consigli, ricevuti i pareri dei Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa attraverso la Congregazione preposta al disbrigo degli affari ecclesiastici, e in più, da parte Nostra, ponderata la situazione sotto ogni aspetto con serietà e approfonditamente, con motu proprio e certa scienza nella pienezza del potere apostolico, riproviamo, condanniamo e giudichiamo come riprovevoli e da condannarsi in perpetuo i precitati articoli dell’assemblea di Baden; le asserzioni in essi contenute sono da ritenere false, temerarie, erronee, contrarie ai diritti della Santa Sede, sconvolgenti il governo della Chiesa e la sua divina costituzione in quanto emanazioni dei principi condannati; eretiche e scismatiche, mirano a sottoporre il ministero ecclesiastico al potere secolare. Tutto quello che ritenemmo necessario dichiarare, basandoci sulla missione del Nostro ufficio apostolico, vi diciamo con il più ampio affetto paterno: voi siete partecipi di quell’autorità della quale il Principe dei pastori affidò la pienezza a Noi, assolutamente immeritevoli.

Da quante angosce è oppresso il Nostro cuore, o Venerabili Fratelli, in mezzo ai tanti mali per i quali la Chiesa Cattolica geme oppressa quasi in ogni luogo, in questi tempi pieni di tribolazione! Da quanta tristezza siamo gravati, ve lo lasciamo immaginare, senza che sia necessario dichiararlo a tutti, soprattutto a causa dei fatti recenti costì accaduti, tramati con sfrontata audacia per la rovina della Chiesa. Non possiamo però nascondervi che un forte sollievo al Nostro dolore Ci è giunto apprendendo tutto quello che avete compiuto per difendere la causa cattolica e per curare la salvezza del gregge affidato alla vostra fede. Per questo benediciamo dal profondo dell’animo il Padre di ogni misericordia, Dio di ogni consolazione, che Ci consola in voi, associati con Noi nella prova.

In verità, pensiamo che non ce ne sia bisogno, ma dal momento che la gravità del pericolo lo richiede, non possiamo non spronare il vostro zelo costante verso la Religione; vi esortiamo con ogni ardore, perché quanto più aspro è l’impeto dei nemici, con tanta maggiore applicazione prendiate a cuore la causa di Dio e della Chiesa. A voi in modo tutto speciale compete erigervi come baluardo, affinché non si ponga alla fede cristiana un fondamento diverso da quello che fu posto all’inizio; il santissimo deposito della fede va custodito e difeso integro. Ma vi è un altro deposito che dovete strenuamente difendere e salvaguardare nella sua integrità: quello delle sacre leggi della Chiesa, attraverso le quali la Chiesa stessa stabilì la propria disciplina, e inoltre quello dei diritti di questa Sede Apostolica, con i quali la Sposa di Cristo si pone fieramente come un esercito schierato per la battaglia.

Operate dunque, Venerabili Fratelli, in conformità della posizione che ricoprite, della dignità di cui siete insigniti, del potere che avete ricevuto, del giuramento al quale vi siete legati nel solenne momento iniziale della vostra missione. Sfoderate la spada dello Spirito, che è la Parola di Dio; richiamate, esortate, rimproverate con ogni magnanimità e dottrina; per la Religione Cattolica, per il potere divino della Chiesa e per le sue leggi, per la Cattedra di Pietro, per la sua dignità e per i suoi diritti, impegnatevi a fondo e abbiate a cuore «non soltanto che i giusti perseverino sulla retta via, ma siano recuperati dall’errore anche coloro che sono stati irretiti dalla seduzione». Perché si raggiunga l’esito tanto desiderato dagli sforzi e dalle fatiche intraprese dai Nostri Venerabili Fratelli nell’episcopato, facciamo appello anche a voi tutti, sacri ministri dipendenti dai Vescovi, pastori d’anime e predicatori della Parola divina. È vostro compito specifico essere in comunione d’intenti con i Vescovi; essere infiammati da uno stesso zelo, cooperare con un unico consenso degli animi, in modo che il popolo cristiano risulti del tutto preservato da ogni contagio dei mali incombenti e dal pericolo di errori.

Datevi da fare, diletti figli, perché tutti partecipino della stessa unità, non si lascino sviare in alcun modo da teorie vane e passeggere, evitino empie novità, restino saldi con ogni precauzione nella fede cattolica, stiano sempre sottomessi al potere e all’autorità della Chiesa, e a questa Cattedra che il potente Redentore di Giacobbe costruì su una colonna di ferro e un muro di bronzo contro i nemici della Religione, in modo tale che i cristiani ogni giorno di più rinsaldino la loro unità e comunione.

Tutti coloro, poi, che voi accoglierete per educarli alla legge di Cristo e della Chiesa, preoccupatevi di renderli nello stesso tempo sensibili al gravissimo obbligo di prestare obbedienza anche al potere civile e alle leggi da esso emanate riguardanti il bene della società, non soltanto per paura di essere puniti, ma anche per rispettare la voce della propria coscienza: non è mai lecito deviare vergognosamente dalla fedeltà dovuta ad essa.

Quando avrete cosi formato gli animi dei vostri fedeli attraverso il vostro apostolato, potrete provvedere nel migliore dei modi sia alla pace dei cittadini, sia al bene della Chiesa: le due entità non possono essere messe in contrasto.

Porti a compimento questi Nostri desideri il Dio di ogni benevolenza, da cui attendiamo ogni grazia e ogni dono; così dei frutti che aspettiamo ardentissimamente da codesta porzione del gregge cattolico, voglia essere auspice la Nostra Apostolica Benedizione che impartiamo con tutto il cuore a voi, Venerabili Fratelli e signori, da estendere anche al popolo fedele!

Dato a Roma, presso San Pietro, il 17 maggio 1835, anno quinto del Nostro Pontificato.



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