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GIOVANNI PAOLO II

ANGELUS

Domenica, 27 ottobre 1985

 

1. A questo nostro incontro domenicale si affaccia gioioso e commosso il ricordo dell’elezione del mio predecessore Giovanni XXIII, avvenuta il 28 ottobre 1958, ventisette anni or sono.

Nonostante il tempo trascorso, il nome e l’immagine dell’insigne pontefice rimangono vivi nel cuore della Chiesa e del mondo, a motivo soprattutto del Concilio Vaticano II, che egli progettò con semplicità e coraggio profetici, preparò con somma cura, e seguì poi nel primo periodo del suo svolgimento.

Papa Giovanni ideò il Concilio come evento eminentemente pastorale, destinato ad imprimere un rinnovato slancio nel cammino ecclesiale. Inaugurando l’assise ecumenica dei vescovi, egli inneggiò con giovanile vigore alla Chiesa di Cristo, alla sua universalità, alla vitalità della sua perenne missione di “madre e maestra”. Ecco un’enunciazione che l’amatissimo pontefice allora ci affidò, come compendio del significato ch’egli attribuiva all’incipiente Concilio: “Questo massimamente riguarda il Concilio ecumenico: che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace . . . Lo scopo principale di questo Concilio non è quindi la discussione di questo o quel tema della dottrina fondamentale della Chiesa . . . Per questo non occorreva un Concilio. Ma dalla rinnovata, serena e tranquilla adesione a tutto l’insegnamento della Chiesa nella sua interezza e precisione, quale ancora splende negli atti conciliari da Trento al Vaticano I, lo spirito cristiano, cattolico e apostolico del mondo attende un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione di coscienza, in corrispondenza più perfetta alla vera dottrina, anche questa però studiata ed esposta attraverso le forme dell’indagine e della formulazione letteraria del pensiero contemporaneo” (cf. Discorsi, Messaggi, Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII, IV, pp. 584-585).

2. I sedici testi conciliari, ognuno con la propria storia, la propria fisionomia, la propria indole, si riconoscono in quel criterio. Essi sono il frutto di accurate e pazienti riflessioni, che i vescovi hanno sviluppato sotto la guida dello Spirito Santo, in prospettiva essenzialmente pastorale, per dare all’azione della Chiesa di Cristo nel nostro tempo rinnovata incisività ed efficacia. In tal modo il Vaticano II si è qualificato storicamente non come un episodio a sé stante, isolato nella sua grandezza, ma come avvenimento profondamente radicato nel terreno ecclesiale; una tappa vitale nel secolare cammino del “popolo di Dio”; punto d’arrivo e insieme di partenza.

Perciò Paolo VI, nella sollecita e appassionata opera svolta per tradurre in atto il dinamismo insito nelle decisioni conciliari, e fermentato dalla grazia divina, fu l’instancabile apologeta dell’armonia intercorrente tra la fedeltà e l’“aggiornamento”. “Il Concilio - sono sue parole - vale quanto continua la vita della Chiesa; esso non la interrompe, non la deforma, non la inventa; ma la conferma, la sviluppa, la perfeziona, la «aggiorna»” (Insegnamenti di Paolo VI, IV [1966] 623).

3. Il prossimo Sinodo straordinario dei vescovi è chiamato a far vivere in chi l’ha sperimentato e a diffondere in tutta la Chiesa il clima spirituale del Concilio, imprimendo nuovo slancio a quel balzo in avanti che papa Giovanni aveva presagito e del quale i testi conciliari indicano la strada. Affinché queste finalità possano essere pienamente raggiunte, invochiamo ora Maria, madre della Chiesa.


Un appello per il dialogo e la pacificazione in Uganda viene lanciato da Giovanni Paolo II, al termine dell’incontro con i fedeli in piazza San Pietro per la recita dell’Angelus Domini.

In questo momento il mio pensiero si rivolge a un Paese a me particolarmente caro, l’Uganda, le cui popolazioni vivono da tempo in un clima di insicurezza, aggravato da continui episodi di violenza, di odio e di vendetta, mentre l’auspicato accordo di unità nazionale incontra sempre nuove difficoltà.

Nonostante la buona volontà dei responsabili e gli sforzi di quanti cercano di interporre i buoni uffici di una mediazione tra le parti, non si intravede ancora una via d’uscita conforme alla giustizia e al bene comune.

Sento il dovere di ricordare a tutti che la pace è possibile: essa esige saggezza e lungimiranza, senso di coraggio e di umanità, paziente perseveranza.

Esprimo il mio sostegno e il mio incoraggiamento all’opera di pacificazione svolta dal cardinale Nsubuga e dagli altri benemeriti pastori della Chiesa locale, così come da altri uomini di buona volontà. Mi auguro che non si lasci nulla di intentato per garantire alla nazione ugandese condizioni di tranquillità e di sicurezza, nel rispetto dei diritti di ciascuno. A quanti si trovano in contesa, rivolgo un accorato appello alla generosità e al dialogo, franco e fiducioso, perché non sia compromessa la possibilità di una rapida e soddisfacente soluzione dei problemi comuni.

Vi invito ad unirvi alla mia preghiera, affinché il Signore faccia comprendere a tutti la necessità e il valore della pace.

 

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