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SOLENNE BEATIFICAZIONE DI MONSIGNOR LUIGI VERSIGLIA
E DI DON CALLISTO CARAVARIO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 15 maggio 1983

 

Cari fratelli e sorelle.

Il Vangelo di questa domenica, tra l’Ascensione di Cristo al cielo e l’attesa dello Spirito Santo, nel suo contenuto più profondo ben si adatta alla solenne beatificazione dei due novelli martiri, che oggi la Chiesa presenta alla venerazione dei fedeli. E ben si accorda anche la prima lettura della Messa, che ricorda il sacrificio del protomartire Stefano. Il Vescovo Luigi Versiglia e il giovane sacerdote don Callisto Caravario, infatti, sono i “protomartiri” della Congregazione Salesiana, qui riunita in questa gioiosa circostanza attorno all’altare del Signore. La sua esultanza è quella di tutta la Chiesa: ma si capisce che per l’Istituto Salesiano possa avere un carattere tutto particolare, poiché questa solenne cerimonia viene in qualche modo a suggellare, in misura eloquente, oltre un secolo di lavoro nelle missioni in tutti i continenti, a partire dalla Patagonia e dalle terre Magellaniche. Si realizza così una visione profetica del fondatore san Giovanni Bosco, il quale, sognando con predilezione per i suoi figli l’Estremo Oriente, vaticinò frutti meravigliosi e parlò di “calici colmi di sangue”.

Chi riceve la Parola di Dio e la custodisce nel suo cuore, diventa inevitabilmente oggetto dell’odio del mondo (cf. Gv 17, 14). I martiri sono coloro che, pur di star fedeli a questa parola di vita eterna, accettano che l’odio del mondo giunga fino al punto di toglier loro la vita terrena. Essi danno una testimonianza particolarmente viva del detto del Signore, secondo il quale chi “perde” per lui la propria vita, la ritrova (cf. Mt 10, 39).

2. Il martirio - si dice tradizionalmente - suppone negli uccisori “l’odio contro la fede”: è a causa di essa che il Martire viene ucciso. Ed è vero. Questo odio contro la fede può però manifestarsi obiettivamente in due modi diversi: o a causa dell’annuncio stesso della Parola di Dio, oppure a causa di una certa azione morale, che trova nella fede il suo principio e la sua ragione d’essere.

È sempre per la sua testimonianza di fede, che il Martire viene ucciso: nel primo caso, per una testimonianza esplicita e diretta; nel secondo, per una testimonianza implicita ed indiretta, ma non meno reale, e anzi in un certo senso più completa, in quanto attuata nei frutti della fede, che sono le opere della carità. In tal senso, l’apostolo Giacomo può dire con tutta proprietà: “Con le mie opere ti mostrerò la mia fede” (Gc 2, 18).

Ne viene quindi che gli uccisori danno mostra di odiare la fede non solo quando la loro violenza si getta contro l’annuncio esplicito della fede, come nel caso di Stefano, che dichiara di “contemplare i cieli aperti e il Figlio dell’Uomo alla destra di Dio” (At 7, 56), ma anche quando tale violenza si scaglia contro le opere della carità verso il prossimo, opere che obiettivamente e realmente hanno nella fede la loro giustificazione e il loro motivo. Odiando ciò che sorge dalla fede, mostrano di odiare quella fede che ne è la sorgente. Questo è il caso dei due Martiri Salesiani. A questa conclusione sono giunti gli atti del processo canonico.

3. Secondo l’insegnamento e l’esempio del Divin Maestro, il martirio con cui si dona la vita per i propri amici, è il segno del più grande amore (cf. Gv 15, 13). A ciò fanno eco le parole del Concilio Vaticano II, allorché si afferma: “Il martirio, col quale il discepolo è reso simile al Maestro che liberamente accetta la morte per la salute del mondo e a lui si conforma nell’effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa come insigne e suprema prova di carità” (Lumen Gentium, 42). E questo perché, come spiega san Tommaso (S. Tommaso, Summa theologiae, II-II, q. 124, a 3) col martirio si dimostra di rinunciare a ciò che abbiamo di più prezioso, cioè la vita, e di accettare ciò che vi è di più ripugnante, cioè la morte, specie se preceduta dal dolore dei tormenti.

I due Martiri Salesiani hanno dato la loro vita per la salvezza e l’integrità morale del prossimo. Si posero infatti a scudo e difesa della persona di tre giovani alunne della missione, che stavano accompagnando in famiglia o sul campo dell’apostolato catechistico.

Essi difesero a prezzo del loro sangue la scelta responsabile della castità, operata da quelle giovani, in pericolo di cadere nelle mani di chi non le avrebbe rispettate. Un’eroica testimonianza, dunque, a favore della castità, che ricorda ancora alla società di oggi il valore e il prezzo altissimi di questa virtù, la cui salvaguardia, connessa col rispetto e la promozione della vita umana, ben merita che si metta a repentaglio la stessa vita, come possiamo vedere e ammirare in altri fulgidi esempi della storia cristiana, da sant’Agnese fino a santa Maria Goretti.

4. Il gesto di supremo amore dei due Martiri trova un suo più vasto significato nel quadro di quel ministero evangelico, che la Chiesa svolge a favore del grande e nobile popolo cinese, a partire dai tempi del padre Matteo Ricci. Infatti, in ogni tempo e in ogni luogo il martirio è offerta di amore anche per i fratelli e in particolare per il popolo a favore del quale il martire si offre. Il sangue dei due Beati sta perciò alle fondamenta della Chiesa cinese, come il sangue di Pietro sta alle fondamenta della Chiesa di Roma. Dobbiamo quindi intendere la testimonianza del loro amore e del loro servizio come un segno della profonda convenienza tra il Vangelo e i valori più alti della cultura e della spiritualità della Cina. Non si può separare, in tale testimonianza, il sacrificio offerto a Dio e il dono di sé fatto al popolo e alla Chiesa della Cina.

Il Cristianesimo, come dimostra la sua storia millenaria fino ai nostri giorni, si trova a suo agio presso tutte le culture e tutte le civiltà, senza identificarsi con nessuna. Esso trova una spontanea consonanza con tutto quanto c’è di valido in esse, perché l’uno e le altre hanno una medesima origine divina, senza il rischio della confusione o della competizione, perché si pongono su due ordini differenti di realtà: rispettivamente quello della grazia e quello della natura.

La gioiosa circostanza di questo rito di beatificazione suscita e rinforza in noi la speranza di un progresso nella elaborazione delle strutture e del dialogo, destinati a favorire questa esigenza di armonizzazione, nel popolo cristiano della Cina, tra la dimensione dell’impegno sociale e della coscienza nazionale, e quella della comunione con la Chiesa universale: un’esigenza intrinseca al messaggio di Cristo e conforme alle istanze più profonde delle Nazioni e delle culture. La cultura, ogni cultura, sale verso Cristo, e Cristo discende verso ogni cultura. Possa anche la Cina, come ogni altra nazione della terra, comprendere sempre meglio questo punto d’incontro.

5. Ma un altro pensiero s’impone alla nostra attenzione. Nello sfondo di questo tragico e grandioso episodio si collocano con evidenza due concezioni della donna tra loro inconciliabili: o la donna come persona, responsabilmente protesa all’attuazione della sua dignità morale, e convenientemente facilitata e protetta in ciò dall’ambiente umano e sociale: ed ecco la scelta dei due Martiri e delle tre giovani ad essi affidate; oppure la donna come oggetto e strumento del piacere e degli scopi altrui. Ecco allora la scelta degli uccisori.

Queste due opposte concezioni della donna hanno, nella Scrittura e nella Tradizione cristiana, una stretta relazione con la figura di Maria santissima, della quale sono rispettivamente la fedele incarnazione e la totale negazione. I due Martiri da tempo avevano forgiato la loro concezione della donna e della sua dignità alla luce del modello mariano. Lo scontro con gli aggressori, per quanto subitaneo e imprevisto, li trovava quindi pronti. Essi si spengono nella luce di Maria, che avevano filialmente onorato e predicato per tutta la vita.

Il viaggio che li porta all’immolazione inizia con la benedizione e sotto gli auspici di Maria Ausiliatrice, Patrona della Congregazione Salesiana. La fatale aggressione si scatena a mezzogiorno, dopo che la comitiva aveva salutato la Madre di Dio con la recita dell’Angelus. Questa dolce preghiera prepara la lotta vittoriosa contro le insidie del male. I nomi di Gesù, Maria e Giuseppe risuonano forti sulla bocca dei Pastori e delle pecorelle del gregge, non appena si profila l’aspro scontro con i nemici della fede e della purezza, che non intendono lasciarsi sfuggire la preda neppure davanti al delitto.

6. Monsignor Versiglia e don Caravario, sull’esempio di Cristo, hanno incarnato in modo perfetto l’ideale del Pastore evangelico: Pastore che è ad un tempo “agnello” (cf. Ap 7, 17), che dà la vita per il gregge (Gv 10, 11), espressione della misericordia e della tenerezza del Padre; ma, allo stesso tempo, agnello “che sta in mezzo al trono” (Ap 7, 17); “leone” vincitore (cf. Ap 5, 5), valoroso combattente per la causa della verità e della giustizia, difensore dei deboli e dei poveri, trionfatore sul male del peccato e della morte.

Perciò, oggi, a poco più di mezzo secolo dal loro eccidio, il messaggio dei novelli Beati è chiaro e attuale. Quando la Chiesa propone qualche modello di vita per i fedeli, lo fa anche in considerazione dei particolari bisogni pastorali del tempo nel quale avviene tale proclamazione.

A noi dunque il dovere di ringraziare innanzitutto il Signore che, con l’intercessione dei nuovi Beati, ci dona una nuova luce e un nuovo conforto nel nostro cammino verso la santità, ma anche nello stesso tempo il proposito di meditare il loro esempio e di imitarlo, in proporzione delle nostre forze, e in relazione alle diverse responsabilità e circostanze. Penso soprattutto ai Confratelli Salesiani, ma l’esempio di un Santo vale sempre per tutta la Chiesa. Cristo ci doni il suo Spirito affinché possiamo riuscire in ciò. La Vergine santissima, Maria Ausiliatrice, ci assista maternamente in questi santi propositi.

 

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