PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA
(16-23 GIUGNO 1983)
SOLENNE CONCELEBRAZIONE NELLA «CITTÀ DELL'IMMACOLATA»
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Niepokalanów, 18 giugno 1983
1. Signori Cardinali, Arcivescovi, Vescovi, Sacerdoti, Religiosi e religiose, specialmente voi, figli e figlie di san Francesco, e voi tutti, diletti connazionali, fratelli e sorelle!
Il giorno 10 ottobre dello scorso anno mi fu dato di elevare agli onori degli altari della Chiesa universale, il santo Massimiliano Maria Kolbe, figlio della terra polacca. Fu quella un’insolita canonizzazione. Vi convennero anche dei polacchi, dalla Polonia e dall’emigrazione, in numero piuttosto rilevante. Ma costituivano solo la minoranza di quella grande folla di pellegrini, che quella domenica riempiva Piazza San Pietro. Essi venivano certamente da Roma e da tutta l’Italia, ma anche in numero notevole dalla Germania e dagli altri Paesi d’Europa, come pure da altri Continenti, in particolare dai Giappone, che ha legato durevolmente il suo cuore col Cavaliere dell’Immacolata. Si avvertiva chiaramente che la proclamazione come santo, da parte della Chiesa, del Padre Massimiliano raggiungeva un punto nevralgico della sensibilità dell’uomo dei nostri tempi. Perciò comune fu l’attesa di tale canonizzazione, e la partecipazione confermò l’attesa stessa.
Riflettendo intorno ai motivi, si può affermare che Massimiliano Kolbe, mediante la sua morte nel campo di concentramento, nel “bunker della fame”, confermò in modo particolarmente eloquente il dramma dell’umanità del XX secolo. Tuttavia il motivo più profondo e più consono sembra essere il fatto che in questo sacerdote-martire diventò particolarmente trasparente la verità centrale del Vangelo: la verità circa la forza dell’amore.
2. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 13): così dice Gesù, congedandosi dagli apostoli nel cenacolo, prima di andare verso la passione e la morte. “Noi siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli”, ripeterà, dopo il suo Maestro, l’apostolo Giovanni nella sua prima Lettera (1 Gv 3, 14). E concluderà: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli (1 Gv 3, 16).
Proprio questa verità del Vangelo divenne particolarmente trasparente, mediante l’atto compiuto a Oswiecim di Padre Massimiliano Kolbe. Si può dire che il più perfetto modello lasciatoci dal Redentore del mondo sia stato assunto in quell’atto con un eroismo totale e insieme con un’enorme semplicità. Il Padre Massimiliano esce dalla fila, per essere accettato come un candidato al “bunker della fame”, al posto di Franciszek Gajowniczek: egli prende la decisione, nella quale si manifesta al tempo stesso la maturità del suo amore e la forza dello Spirito Santo, e compie questa decisione evangelica fino in fondo: dà la vita per un fratello.
Questo avviene nel campo della morte, in un luogo dove subirono la morte oltre quattro milioni di persone di diverse nazioni, lingue, religioni e razze. Anche Massimiliano Kolbe subì la morte: alla fine, gli venne dato il colpo di grazia con un’iniezione mortale. Tuttavia, in questa morte si manifestò insieme la vittoria spirituale sulla morte, simile a quella che ebbe luogo sul Calvario. E dunque egli “non subì” la morte, ma “diede la vita” per un fratello. In questo c’è la vittoria morale sulla morte. “Dare la vita per un fratello” vuol dire diventare, in qualche modo, ministro della propria morte.
3. Massimiliano Kolbe era un ministro: era, infatti, un sacerdote figlio di san Francesco. Ogni giorno egli celebrava in modo sacramentale il mistero della morte redentrice di Cristo sulla Croce. Frequentemente ripeteva queste parole del Salmo, ricordate dalla liturgia odierna: “Che cosa renderò al Signore / per quanto mi ha dato? / Alzerò il calice della salvezza / e invocherò il nome del Signore” (Sal 116, 12-13).
È così. Ogni giorno egli alzava il calice della nuova ed eterna alleanza, nel quale, sotto la specie del vino, il Sangue del Redentore viene sacramentalmente “versato” per la remissione dei peccati. Insieme al mistero del Calice eucaristico maturava in lui quell’ora della decisione di Oswiecim: “Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?” (Gv 18, 11). E bevve, bevve fino in fondo questo calice, per testimoniare di fronte al mondo che l’amore è più forte della morte. Il mondo ha bisogno di questa testimonianza, per scuotersi dai legami di quella civiltà della morte che, specialmente in alcuni momenti dell’epoca odierna, mostra il suo volto minaccioso.
4. Nell’evento di Oswiecim è inscritto quel dialogo fondamentale, che permette all’uomo di superare l’orrore della civiltà della morte, e quotidianamente gli permette di superare i diversi pesi della temporaneità. E questo è il dialogo dell’uomo con Dio: “Che cosa renderò al Signore? . . . / Io sono il tuo servo, Signore, / io sono il tuo servo, figlio della tua ancella (Sal 116, 12. 16).
Così dice l’uomo, ministro dell’Eucaristia quotidiana, l’uomo ministro della propria morte nel campo di Oswiecim. Così dice l’uomo. È questa una parola che riassume tutta la sua vita.
E Dio risponde con le parole del Libro della Sapienza. Ecco le parole che contengono la risposta di Dio: “Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà . . . Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé; li ha saggiati come oro nel crogiolo e li ha graditi come un olocausto” (Sap 3, 1. 5-6).
È veramente così? Veramente “tormento non toccò” il Padre Massimiliano? L’uomo che veneriamo proprio come martire? La realtà della morte per martirio è sempre un tormento; però, il segreto di quella morte è il fatto che Dio è più grande del tormento. Grande è la prova della sofferenza, quel “saggiare come oro nel crogiolo”; però, più forte della prova è l’amore, cioè più forte è la grazia. “L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato” (Rm 5, 5).
Così, dunque, sta davanti a noi un martire: Massimiliano Kolbe - ministro della propria morte - forte nel suo tormento, ancora più forte nel suo amore, al quale fu fedele, nel quale crebbe nel corso di tutta la sua vita, nel quale maturò nel campo di Oswiecim. Massimiliano Kolbe: un singolare testimone della vittoria di Cristo sulla morte. Un singolare testimone della Risurrezione.
5. “Io sono il tuo servo, Signore; / io sono il tuo servo, / figlio della tua ancella . . .”.
Quella maturazione nell’amore, che riempì tutta la vita di Padre Massimiliano e si compì in terra polacca definitivamente mediante l’atto di Oswiecim, quella maturazione fu in modo speciale unita all’immacolata Ancella del Signore. Egli fu, come pochi, figlio spirituale “della tua ancella”. Egli sperimentò sin dalla prima giovinezza la sua maternità spirituale: cioè la maternità che si stabilì sul Calvario, sotto la Croce di Cristo, quando Maria accettò come figlio il primo discepolo di Cristo.
Massimiliano Kolbe come pochi era pervaso dal mistero della divina elezione di Maria. Il suo cuore e il suo pensiero si concentrarono in misura particolare intorno a quel “nuovo inizio”, che fu nella storia dell’umanità - per opera del Redentore - l’Immacolata Concezione della Madre della sua terrena incarnazione. “Che cosa significa Madre - scriveva - lo sappiamo, ma Madre di Dio, non lo possiamo comprendere con l’intelletto, con la testa limitata. Solo Dio stesso comprende perfettamente che cosa significa “Immacolata” . . . L’Immacolata Concezione è piena di misteri consolanti (M. Kolbe, Lettera del 12 aprile 1933).
Massimiliano Kolbe penetrò in questo mistero in modo particolarmente profondo, particolarmente sintetico: non in astratto; ma attraverso il vivo contesto di Dio-Trinità, Dio che è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e attraverso il vivo contesto dei disegni salvifici di Dio a riguardo del mondo. Ecco, di nuovo, le sue parole: “Cerchiamo sempre di più, ogni giorno di più, di avvicinarci all’Immacolata; in questo modo ci avvicineremo sempre di più al Sacratissimo Cuore di Gesù, a Dio Padre, a tutta la Santissima Trinità, perché nessuna creatura sta così vicina a Dio come l’Immacolata. In questo modo avvicineremo pure tutti i vicini al nostro cuore all’Immacolata e al buon Dio” (M. Kolbe, Lettera da Nagasaki, 6 aprile 1934).
Tutte le iniziative apostoliche di Padre Massimiliano Kolbe testimoniano che il mistero dell’Immacolata Concezione era al centro della sua coscienza. Di ciò danno testimonianza e la “Milizia dell’Immacolata”, e il “Cavaliere dell’Immacolata”. Ciò attesta la “Città dell’Immacolata” (Mugenzoi no Sono) giapponese. Ciò, infine, attesta questa nostra “Niepokalanów” polacca.
6. È bene che ci siamo riuniti proprio qui dopo la canonizzazione del Padre Massimiliano. Già, dopo la sua beatificazione, una nostra grande assemblea in terra natale ebbe luogo a Oswiecim: fu una cerimonia emozionante. Oswiecim è, infatti, il luogo nel quale egli “diede la vita per un fratello”. Oggi siamo qui a Niepokalanów, e Niepokalanów ci parla della scoperta del “nuovo inizio” dell’umanità di Dio. Niepokalanów è il luogo dove, in continua obbedienza allo Spirito di Verità sull’esempio dell’Immacolata, l’uomo formava se stesso giorno per giorno, così che il santo superasse l’uomo non solo in funzione della vita e dell’apostolato, ma anche in funzione di una morte da martire “per il fratello”.
7. So che a quest’odierna assemblea partecipano numerosi rappresentanti della campagna, agricoltori polacchi. Sono qui presenti - come sono stato informato - i membri delle “comunità pastorali degli agricoltori che lavorano per il rinnovamento della campagna in unione con la Chiesa”. Alcuni di voi mi hanno visitato, durante la mia malattia, al policlinico “Gemelli” a Roma; oggi ci incontriamo nella preghiera in questa terra di Francesco e di Massimiliano.
So che vi anima il pensiero per il rinnovamento delle migliori tradizioni culturali della campagna, per la vita cristiana nell’amore reciproco, per la perfezione mediante la preghiera comune; so che formate dei circoli per aiutarvi reciprocamente; partecipate agli esercizi spirituali; completate la vostra istruzione; studiate la dottrina sociale della Chiesa. Desiderate in questo modo scoprire di nuovo la vostra particolare missione; al lavoro dei campi volete ripristinare la dignità che gli è propria e nelle fatiche di questo lavoro ritrovate la gioia.
Consentitemi di rivolgere a voi le parole di un grande statista, rappresentante della campagna polacca, Vincenzo Witos: “Il contadino ha conservato nei peggiori momenti la terra, la religione, la nazionalità. Questi tre valori hanno dato la base alla creazione dello Stato. Senza di essi non avremmo potuto averlo. Dove il contadino ha messo piede, là si è mantenuto il fondamento della futura rinascita (Congresso a Wierzchoslawice, 1928).
Rimanete nell’amore di Dio! Cristo, che chiamò se stesso la vera vite, di lui, del suo Padre disse che è il vignaiolo. Rimanete in Cristo e portate molto frutto, in lui possiamo tutto (cf. Gv 15, 1-15). Siate la coltura di Dio! E rimanete nell’amore della vostra terra: di questa terra madre e nutrice.
Il Creatore ha affidato, in modo particolare, a voi ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme, affinché siano il cibo per tutti (cf. Gen 1, 29). Questa terra produce “spine e cardi”, ma grazie al vostro lavoro deve produrre il cibo, portare il pane per l’uomo. Questa è una particolare sorgente della dignità del lavoro dei campi, della vostra dignità.
8. Questa nostra odierna assemblea a Niepokalanów richiama alla mia mente le categorie storiche. Una volta, nel XIII secolo, nel 1253, i polacchi giunsero alla canonizzazione del primo figlio della loro terra, che fu anche pastore della sede di Cracovia. La canonizzazione di san Stanislao si svolse ad Assisi: i connazionali, però, e in particolare i Principi della dinastia di Piast, che allora governavano la Polonia, sentirono il bisogno di riunirsi a Cracovia per sperimentare sulla propria terra la gioia pasquale dell’elevazione di un loro connazionale alla gloria degli altari della Chiesa universale: la gioia della nascita di un Santo per la loro terra natale. Videro in lui un segno della Provvidenza divina per questa terra. Videro in lui il loro patrono e mediatore presso Dio. Unirono a lui le speranze per un futuro migliore della patria, che allora si trovava in una difficile situazione a causa della divisione in ducati. Dalla leggenda che asseriva che il corpo di Stanislao, smembrato durante l’uccisione, doveva ricongiungersi, nacque la speranza che la Polonia dei Piast avrebbe un giorno superato la dinastica divisione in ducati e sarebbe ritornata come stato all’unità. Il seguito della storia, iniziando da Ladislao il Breve, confermò questa speranza.
9. Oggi a Niepokalanów, al centro della nostra celebrazione nella terra natale - dopo la canonizzazione - c’è san Massimiliano Maria Kolbe: il primo santo della stirpe dei polacchi all’inizio del secondo millennio. Il primo e il secondo millennio della Polonia e del Cristianesimo in Polonia si incontrano in un simbolo profondo. Il patrono della Polonia di allora è il patrono . . . solo della Polonia? Non lo è piuttosto di tutto il nostro difficile secolo? Sì, ma dato che è un figlio di questa terra, partecipe delle sue prove, delle sue sofferenze e delle sue speranze; perciò, in un certo modo, particolare è il patrono della Polonia.
Proprio di questa Polonia, che dalla fine del XVIII secolo si è cominciato a condannare a morte: alle spartizioni, alle deportazioni, ai campi di concentramento, al bunker della fame. E quando, dopo 120 anni, era ritornata allo stato di indipendenza, si è atteso il 1939 per ripetere ancora una volta questa condanna a morte. Infatti, proprio dal centro di queste lotte tra la vita e la morte della patria spunta l’opera di san Massimiliano a Oswiecim. “Mors et vita duello conflixere mirando” (“morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello”), come leggiamo nella Sequenza pasquale. Il figlio della terra polacca, che cadde sul suo Calvario, nel bunker della morte per fame, “dando la vita per un fratello”, ritorna a noi nella gloria della santità. L’amore è più forte della morte.
10. Sorse un tempo, nel medioevo, la leggenda di san Stanislao. I nostri tempi, il nostro secolo non creeranno la leggenda di san Massimiliano. È abbastanza forte l’eloquenza dei soli fatti, cioè la testimonianza della vita e del martirio. Bisogna assumere l’eloquenza di questi fatti quasi contemporanei nella vita polacca. Bisogna costruire da essi il futuro dell’uomo, della famiglia, della nazione.
Che cosa vuol dire che l’amore è più forte della morte? Vuol dire anche: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci col bene il male” secondo le parole di san Paolo (Rm 12,21). Queste parole traducono la verità sull’atto, compiuto a Oswiecim dal Padre Massimiliano, in diverse dimensioni: nella dimensione della vita quotidiana, ma anche nella dimensione dell’epoca, nella dimensione del difficile momento storico, nella dimensione del XX secolo, e può darsi anche in quella dei tempi che verranno.
11. Radunati a Niepokalanów per il grande ringraziamento nazionale dopo l’elevazione alla gloria degli altari di san Massimiliano Maria - il nostro connazionale, il testimone del nostro difficile secolo, il martire, il primo santo della stirpe dei polacchi nel secondo millennio -, noi desideriamo arricchire l’eredità cristiana polacca dell’emozionante eloquenza dell’atto da lui compiuto a Oswiecim: “Non lasciarti vincere dal male, / ma vinci col bene il male”.
Cari Fratelli e Sorelle,
È un programma evangelico.
Un programma difficile ma possibile.
Un programma indispensabile.
Recandomi di qui in pellegrinaggio a Jasna Gora, chiederò alla Regina della Polonia e Madre di tutti i polacchi, di ottenerci, sull’esempio di san Massimiliano, la forza di spirito necessaria per intraprendere questo programma. Affinché possiamo integrare nell’eredità spirituale polacca l’eloquenza della vita e della morte del Cavaliere dell’Immacolata. Così sia.
Prima della Messa il Papa ha risposto al saluto del Padre Sliwinski, con un discorso improvvisato, dicendo.
Miei cari fratelli e sorelle. Sulla strada del mio pellegrinaggio per il Giubileo di Jasna Gora, arrivo oggi a Niepokalanów. Durante il precedente viaggio, quattro anni fa, sono stato nel luogo dove è morto da martire san Massimiliano Maria Kolbe, a Oswiecim. Oggi, a un anno dalla sua canonizzazione, ci troviamo nel posto della sua eroica vita, del suo quotidiano lavoro. Egli ha chiamato questo luogo Niepokalanów. Città dell’Immacolata!
Convento dell’Immacolata. Luogo dell’Immacolata. Officina di lavoro dell’Immacolata. E qui, a Niepokalanów, ringrazieremo la Santissima Trinità per aver innalzato alla gloria degli altari il primo santo, figlio della terra polacca, del secondo millennio. Ma prima di dare inizio alla solenne liturgia di ringraziamento desidero fermarmi per un momento in questa basilica, insieme con voi, con voi che rappresentate le famiglie degli Ordini religiosi maschili e femminili. I Santi ci vengono dati da Dio perché testimonino, con la loro gloria celeste, l’eroismo dell’esistenza terrena, l’eroismo della vita quotidiana qui a Niepokalanów.
San Massimiliano Maria Kolbe, nella Chiesa del nostro tempo e, più in generale, nell’umanità contemporanea, ha una missione profetica, una missione molteplice. Qui, in questo incontro con voi, voglio soffermarmi solo su uno degli aspetti di tale missione: molto vicino a quello cui i Vescovi riuniti in Sinodo nel 1971, a Roma, diedero espressione nel giorno della sua beatificazione, e all’indomani della stessa. San Massimiliano - allora beato - era sacerdote. Il Sinodo del 1971 trattava il tema del Sacerdozio. Il nuovo beato era stato la viva incarnazione di ciò che è il sacerdote, della missione cui è chiamato il sacerdote cattolico. Così, infatti, egli rispose a Oswiecim, alla domanda “Chi sei?”: “Un sacerdote cattolico”.
Penso che oggi, qui a Niepokalanów, bisogna mettere in rilievo un altro aspetto. Il figlio di san Francesco, religioso, uno dei tanti membri della grande Famiglia francescana, ci è stato dato nel nostro tempo, non solo per la Polonia, ma per tutta la Chiesa, ci è stato dato affinché nessun Ordine regolare - maschile o femminile -, nessun religioso e nessuna religiosa al mondo, abbia dubbi sul significato della sua identità e in che cosa consista la vera essenza della vocazione. Nel periodo postconciliare, nel mondo, sono sorti diversi dubbi, ma Dio, prima del Concilio, ha preparato un figlio della terra polacca, figlio di san Francesco, perché fosse la viva risposta che siamo qui, oggi a Niepokalanów. Come servo della Chiesa universale penso a questa nostra odierna celebrazione con cuore di polacco e, nello stesso tempo, di Papa, e vorrei che essa - legata alla canonizzazione, già avvenuta - arrivasse non solo alla Polonia dei nostri giorni, ma a tutto il mondo cattolico, a tutta la Chiesa, per testimoniare ciò che ha testimoniato san Massimiliano, figlio di san Francesco, in terra polacca.
In questo nostro secolo, nella prospettiva dell’avvicinarsi del terzo millennio, preghiamo molto, perché la testimonianza di questa nostra solenne celebrazione sia accolta da tutta la Chiesa. E innanzitutto - naturalmente - da noi stessi, come parte speciale, parte eletta della Chiesa polacca, costituita dalle famiglie degli Ordini religiosi maschili e femminili.
Conclusa la celebrazione ha salutato i partecipanti alla Messa
Saluto i sacerdoti ex prigionieri dei campi di concentramento - soprattutto di Dachau - fra i quali i Vescovi Ignacy Jez e Kazimierz Majdanski. Saluto tutti i superiori degli Ordini religiosi venuti da tutta la Polonia, e attraverso loro tutti i religiosi della nostra Patria, benemeriti della vita della Chiesa. Nel contempo saluto anche tutti gli Ordini religiosi femminili, qui rappresentati dal presidente della Commissione episcopale per gli affari degli Ordini religiosi, Arcivescovo Bronislaw Dabrowski, Segretario benemerito dell’Episcopato polacco. Saluto, in particolare, la Famiglia francescana, i Francescani conventuali con il loro padre superiore di Roma, padre Blazej Kruszylowicz. Saluto tutti i missionari polacchi - 1100, sparsi in tutti i continenti - e contemporaneamente indirizzo un’ardente preghiera alla Chiesa di Polonia, al clero regolare, diocesano, ai laici, perché i figli e le figlie di questa terra si mettano in cammino per la grande messe di Dio, perché si rechino là dove Cristo li chiama. I bisogni sono enormi, la messe è abbondante.
Saluto poi due diocesi, legate alla vita di san Massimiliano: quella di Wloclawek, guidata dal Vescovo Jan Zareba, in cui è nato il Santo; e la diocesi di Lòdz, retta dal Vescovo Jozef Rozwadowski, in cui egli si è formato. Saluto infine coloro ai quali è affidata la cura pastorale delle famiglie, con il presidente della Commissione episcopale, Vescovo Marian Przykucki, ordinario di Chelm.
Ancora un saluto speciale ai devoti dell’Immacolata di tutta la Polonia, che hanno preso parte all’odierna funzione. Saluto infine - prima della benedizione - tutti i partecipanti all’assemblea eucaristica, alla santa offerta, pregandoli di portare la benedizione del Papa nelle loro famiglie, nei loro ambienti, nelle loro parrocchie e diocesi, in tutta la Polonia.
Che l’Immacolata - regni nel cuore della nostra Patria.
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