PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN POLONIA
(16-23 GIUGNO 1983)
SOLENNE BEATIFICAZIONE DI PADRE RAFFAELE KALINOWSKI
E DI FRATEL ALBERTO CHMIELOWSKI
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Cracovia, 22 giugno 1983
“Il Signore è il mio pastore . . .” (Sal 23, 1).
1. Miei diletti connazionali! Desidero oggi, insieme con voi, rendere gloria al Signore, che è il nostro Pastore: è il Buon Pastore del suo gregge. L’ha detto lui stesso di sé nel Vangelo. Ce lo dice anche il Salmo dell’odierna liturgia.
Desidero dunque oggi, nel giorno conclusivo del mio pellegrinaggio in Patria, professare insieme con voi la verità sul Buon Pastore sullo sfondo del Giubileo di Jasna Gora. I sei secoli della mirabile presenza della Genitrice di Dio in quest’Effigie che tutti ci unisce e lega spiritualmente, non sono opera del Buon Pastore? Sappiamo infatti che lui si adopera soprattutto per conservare l’unione del suo gregge. Si dà da fare, affinché nessuno perisca, ed egli stesso cerca la pecora smarrita.
Diamo testimonianza a ciò mediante l’Anno della Redenzione in tutta la Chiesa. E in terra polacca, dove continua ancora il Giubileo di Jasna Gora, poniamo la domanda: non compie Cristo, il Buon Pastore, tutta la sua opera per una particolare mediazione della sua Madre? Della nostra Signora di Jasna Gora?
Il salmista dice del Buon Pastore: “. . . mi fa riposare, / ad acque tranquille mi conduce: / mi rinfranca . . .” (Sal 23, 2-3).
Non è a Jasna Gora per noi un tale posto, dove possiamo riposare? dove le nostre anime si rinfrancano? Non è esso simile alla sorgente d’acqua viva, dalla quale attingiamo da generazioni? Attingiamo dalle inesauribili risorse della Redenzione di Cristo, alla quale ci avvicina Maria!
2. Nel giorno conclusivo del mio pellegrinaggio, unito con il Giubileo di Jasna Gora, desidero qui, a Cracovia, insieme con voi, miei cari connazionali, esprimere il mirabile mistero della presenza del Buon Pastore in mezzo a tutte le generazioni, che sono passate attraverso la terra polacca e qui, a Cracovia, hanno lasciato una particolare espressione della loro identità polacca e cristiana.
Proprio per questo è così cara e preziosa questa Cracovia. E c’è tanto bisogno di impegnarsi perché non se ne sciupi la sostanza storica, nella quale la nostra Nazione legge, in misura rilevante, non solo il proprio passato, ma semplicemente la propria identità. Di ciò ho parlato quattro anni fa, quando abbiamo celebrato a Cracovia i nove secoli di san Stanislao. Oggi desidero ritornare a questa “cresima della storia”, che perdura e si sviluppa di generazione in generazione. A questa “cresima” che possiede un particolare significato per i polacchi dell’anno 1983, per voi, amati fratelli e sorelle, miei connazionali!
3. Vi do il benvenuto e vi saluto di tutto cuore nello stesso Blonia (Krakowskie), come quattro anni fa, nella prospettiva di Wawel e di Skalka, nella prospettiva di “Kopiec Kosciuszki”, e dall’altra parte delle torri della Chiesa mariana e del municipio e dell’Università. La mia Cracovia . . .
Saluto il mio successore, Metropolita di Cracovia, il Cardinale Franciszek, i miei fratelli nell’Episcopato: Julian, Jan, Stanislaw, Albin, con i quali mi hanno unito gli anni del comune servizio nell’arcidiocesi di Cracovia. Do il benvenuto e saluto cordialmente i Vescovi della Metropoli di Cracovia, di Czestochowa, da Katowice, da Kielce, da Tarnów. Do il benvenuto al Cardinale Primate della Polonia, al Cardinale Wladislaw Rubin, a tutti i presenti rappresentanti dell’Episcopato della Polonia.
Saluto di tutto cuore i nostri ospiti dal di là della Polonia: il Cardinale Krol di Filadelfia, il Cardinale Ballestrero da Torino, il Cardinale Meisner da Berlino, e anche il Cardinale Casaroli, Segretario di Stato, che mi accompagna in questo viaggio, e tutti i Vescovi provenienti da fuori la Polonia.
Saluto cordialmente tutti i nostri ospiti dalla Polonia e dall’estero: il Cardinale Ballestrero, il Cardinale Lustiger e altri.
Saluto il Capitolo metropolitano e tutto il clero dell’arcidiocesi: i miei fratelli nel sacerdozio, ai quali appartengo con gli ordini e col cuore, conservando e approfondendo in me consapevolmente i legami di questa appartenenza. Sono legato con questo Seminario ecclesiastico, nel quale mi sono preparato al sacerdozio, come pure con questa Facoltà di teologia, nella quale ho studiato, parzialmente durante la clandestinità del periodo dell’occupazione. Oggi saluto con particolare cordialità la Pontificia accademia di teologia, che porta in sé l’eredità dell’Ateneo, legato al grande nome della beata regina Edvige.
Oltre al clero dell’arcidiocesi di Cracovia do il benvenuto e saluto anche tutti i sacerdoti sia della provincia ecclesiale di Cracovia, sia di tutta la Polonia.
Con i rappresentanti delle Famiglie religiose, maschili e femminili, mi congratulo in modo particolare per questo giorno.
4. Ecco, infatti, mi è dato di compiere oggi un servizio particolare: l’elevazione agli altari di Servi di Dio mediante la beatificazione.
Normalmente questo tipo di servizio viene compiuto a Roma. Tuttavia, già in tempi lontani, esso veniva compiuto anche fuori Roma. Sappiamo, per esempio, che san Stanislao fu canonizzato ad Assisi. A me stesso è stato già dato di compiere beatificazioni a Manila, durante la visita pastorale nelle Filippine, e in Spagna, a Siviglia, nel novembre dello scorso anno.
Ho tanto desiderato che il mio pellegrinaggio in Patria, in relazione col Giubileo di Jasna Gora, diventasse anche particolare occasione per elevare sugli altari dei Servi di Dio, la cui via alla Santità è legata a questa terra e a questa Nazione, nella quale regna la Signora di Jasna Gora. La loro beatificazione è una speciale festa della Chiesa in Polonia: dell’intero Popolo di Dio, che costituisce questa Chiesa. La Chiesa, infatti, come ha ricordato il Concilio Vaticano II, deve rammentare costantemente a tutti la vocazione alla santità e deve anche condurre a questa santità i suoi figli e le sue figlie.
Quando questa santità viene affermata in modo solenne mediante la beatificazione, e specialmente la canonizzazione, la Chiesa giubila di una gioia speciale. Questa è in un certo qual senso la massima gioia, che essa possa provare nella sua peregrinazione terrena.
Oggi dunque la Chiesa in terra polacca gioisce, lodando l’Eterno Pastore per l’opera di santità, che ha compiuto mediante lo Spirito Santo nei Servi di Dio: Padre Raffaele Kalinowski, e Fra Alberto (Adam) Chmielowski.
Alla letizia dell’odierna beatificazione prende parte l’intera Chiesa di Polonia. In modo particolare questa è la gioia della famiglia carmelitana, non soltanto in Polonia, alla quale apparteneva il Padre Raffaele, e della Famiglia francescana, specialmente di quella albertina, della quale Fra Alberto è stato il fondatore.
Desidero aggiungere che questa è anche una mia gioia particolare, perché ambedue queste meravigliose figure mi sono sempre state molto vicine spiritualmente. Mi hanno sempre indicato la via a quella santità, che è la vocazione di ognuno in Gesù Cristo.
5. Dice il Signore Gesù: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” (Gv 15, 9).
Ecco due discepoli del Divino Maestro, che hanno scoperto pienamente, sulle strade del loro pellegrinaggio terreno, l’amore di Cristo, e che hanno perseverato in questo amore!
La santità infatti consiste nell’amore. Si basa sul comandamento dell’amore. Dice Cristo: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15, 12). E dice ancora: “Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore” (Gv 15, 10).
La santità è dunque una particolare somiglianza a Cristo. È una somiglianza mediante l’amore. Mediante l’amore rimaniamo in Cristo, così come lui stesso mediante l’amore rimane nel Padre. La santità è la somiglianza a Cristo che raggiunge il mistero della sua unione con il Padre nello Spirito Santo: la sua unione con il Padre mediante l’amore.
L’amore è il primo ed eterno contenuto del comandamento, che proviene dal Padre. Cristo dice che lui stesso “osserva” questo comandamento. È anche lui a darci questo comandamento, in cui è racchiuso tutto il contenuto essenziale della nostra somiglianza a Dio in Cristo.
Il Padre Raffaele e Fra Alberto hanno raggiunto nella loro vita quelle vette della santità, che la Chiesa oggi conferma, sulla via dell’amore. Non vi è un’altra strada che conduca a queste vette. Oggi Cristo dice loro: “Voi siete miei amici”; (Gv 15, 14) “Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15, 15).
Questo “tutto ciò” si riassume nel comandamento dell’amore.
6. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 13). Padre Raffaele e Fra Alberto, sin dai primi anni della loro vita, capirono questa verità: che l’amore consiste nel dare l’anima; che amando bisogna dare se stessi, anzi, bisogna “dare la vita”, così come dice Cristo agli Apostoli.
Questo dare la vita per i propri amici, per i connazionali, si è manifestato anche nel 1863 mediante la loro partecipazione all’insurrezione. Józef Kalinowski aveva allora 28 anni, era ingegnere e aveva il grado di ufficiale nell’esercito dello zar. Adam Chmielowski contava allora 17 anni, era studente dell’istituto agrario e forestale a Pulawy. Ambedue erano spinti da un eroico amore per la Patria. Per avere partecipato all’insurrezione, Kalinowski pagò con la deportazione in Siberia: la pena di morte gli fu commutata in “Siberia”; Chmielowski pagò con la mutilazione.
Abbiamo ricordato ambedue queste figure nel 1963, nel centenario dell’insurrezione di gennaio, radunandoci davanti alla chiesa dei Padri Carmelitani Scalzi, come testimonia la lapide li posta. L’insurrezione di gennaio fu per Józef Kalinowski e Adam Chmielowski una tappa sulla via verso la santità, che è l’eroismo di tutta la vita.
7. La Provvidenza Divina condusse ciascuno di loro sulla propria strada. Józef Kalinowski, prima di entrare nel noviziato dei Carmelitani, dopo il ritorno dalla Siberia, fu professore di August Czartoryski, uno dei primi salesiani, il quale è anche lui candidato agli altari. Adam Chmielowski studiò pittura e per diversi anni si dedicò all’attività artistica, prima di incamminarsi sulla via della vocazione che, dopo i primi tentativi nella Compagnia di Gesù, lo condusse nelle file del Terz’Ordine Francescano, da dove prese il suo inizio la vocazione albertina.
Ognuno di loro, sulla propria strada, continuò a realizzare queste parole del Redentore e Maestro: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita . . .”. Padre Raffaele ha dato questa vita in un severo convento carmelitano, servendo fino alla fine, in modo particolare nel confessionale, e i suoi contemporanei lo hanno chiamato “martire del confessionale”. Fra Alberto la donò nel servizio dei più poveri e dei socialmente diseredati. L’uno e l’altro hanno dato fino in fondo la propria vita a Cristo.
L’uno e l’altro hanno ritrovato in lui la pienezza della conoscenza, dell’amore e del servizio. L’uno e l’altro hanno potuto ripetere, con san Paolo: “Tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose . . .” (Fil 3, 8).
Padre Raffaele e Fra Alberto danno testimonianza di questo mirabile mistero evangelico della “kenosi”, del distacco, della spogliazione, che apre la porta alla pienezza dell’amore. Egli Raffaele scrisse alla sua sorella: “Dio si è dato tutto per noi, come noi dobbiamo sacrificarci a Dio” (P. Raffaele Kalinowski, Lettera del 1° luglio 1866 alla famiglia).
E Fra Alberto confessò: “Guardo Gesù nella sua Eucaristia, il suo amore ha potuto provvedere qualche cosa di più bello? Se egli è pane anche noi diventiamo pane . . . doniamo noi stessi” (W. Kluz, Adam Chmielowski, p. 199).
In questo modo ciascuno di loro ha guadagnato Cristo e ha trovato in lui . . . giustizia che deriva da Dio . . . “Con la speranza che, diventandogli conforme nella morte, giungerà alla Risurrezione dai morti (cf. Fil 3, 8. 9. 10-11).
Con questa speranza Padre Raffaele chiuse la sua vita tra le mura del convento carmelitano a Wadowice, mia città natale, nel 1907; Fra Alberto nel suo “ricovero di mendicità” a Cracovia nel 1916.
Alla soglia del nostro secolo, alla vigilia dell’indipendenza riacquistata dalla Polonia, hanno concluso la propria vita questi due grandi figli della terra polacca, ai quali fu dato di tracciare le vie della santità ai loro contemporanei e, insieme, alle generazioni future.
8. Il Giubileo di Jasna Gora nella nostra Patria è coinciso con l’Anno della Redenzione e in esso si è fuso sin dal 25 marzo di quest’anno.
Il Giubileo straordinario della Redenzione indirizza tutti noi verso quel primo amore, con il quale Dio Padre “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16). Di quest’amore Cristo dice nell’odierno Vangelo: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore”.
L’Anno della Redenzione ha per scopo di ravvivare specialmente questo “rimanere nell’amore” del Redentore. Per attingere da questo amore e, in questo modo, per approfondire e rinnovare il proprio amore cercando le vie della conversione e della riconciliazione con Dio in Gesù Cristo.
Questo particolare lavoro della Chiesa nell’Anno della Redenzione è unito alla realtà della Comunione dei Santi. Nei Santi, infatti, si è dimostrata e costantemente si dimostra l’inesauribile forza della Redenzione di Cristo. È per la forza della Redenzione che essi hanno raggiunto questa particolare partecipazione alla santità di Dio, che è la meta e la gioia della Chiesa. A loro volta, i Santi ci aiutano ad avvicinarci alla Redenzione di Cristo, in un certo qual modo condividono con noi la loro beata partecipazione a questa forza salvifica.
Un Anno Santo è sempre, nella vita della Chiesa, una particolare occasione per ravvivare la mediazione dei Santi. Prima di tutto della Santissima Madre di Cristo, e di tutti i Santi.
Perciò ringrazio in modo speciale la Trinità Santissima perché mi è stato dato durante il mio pellegrinaggio in Polonia, in occasione del Giubileo di Jasna Gora, di ampliare in un certo senso in modo visibile questa nostra cerchia patria della Comunione dei Santi:
- san Massimiliano Maria Kolbe;
- beato Raffaele Kalinowski;
- beato Alberto Chmielowski (Fra Alberto);
- beata Orsola Ledóchowska.
9. “Venimus. Vidimus. Deus vicit” (Siamo giunti. Abbiamo visto. Dio ha vinto)! Qui a Cracovia, a Wawel, riposa il re che pronunciò queste parole: Giovanni III Sobieski. Le ho ricordate all’inizio del mio pellegrinaggio, a Varsavia. Oggi, ancora una volta, vi ritorno sopra. E vi torno perché sono i Santi e i Beati a mostrarci la via alla vittoria, che Dio riporta nella storia dell’uomo.
Desidero, pertanto, ancora una volta, ripetere (come ho già detto a Varsavia), che in Gesù Cristo l’uomo è chiamato alla vittoria: a quella vittoria che riportarono il Padre Massimiliano e Fra Alberto, il Padre Raffaele e la Madre Orsola, in grado eroico.
Tuttavia, a una tale vittoria è chiamato ogni uomo. Ed è chiamato ogni polacco che fissa lo sguardo negli esempi dei suoi Santi e Beati. La loro elevazione agli altari in terra natale è il segno di questa forza, che è più potente di ogni debolezza umana e di ogni situazione, anche la più difficile, non esclusa la prepotenza. Vi chiedo di chiamare per nome queste debolezze, questi peccati, questi vizi, queste situazioni. Di combatterle costantemente. Di non permettere di essere ingoiati dall’onda di immoralità e di indifferenza e di non cadere nella prostrazione spirituale. Perciò guardate continuamente negli occhi del Buon Pastore: “Se dovessi camminare in una valle oscura, / non temerei alcun male, perché tu sei con me” (Sal 23, 4). Così afferma il Salmo responsoriale dell’odierna liturgia.
10. Quattro anni fa qui, nello stesso “Blonia Krakowskie”, ricordai quella “cresima della storia” legata alla tradizione di san Stanislao, patrono della Polonia.
Desidero ripetere oggi le parole che pronunciai allora: “Dovete essere forti di quella forza che scaturisce dalla fede! Dovete essere forti della forza della fede! Dovete essere fedeli! Oggi più che in qualsiasi altra epoca avete bisogno di questa forza. Dovete essere forti della forza della speranza che porta la perfetta gioia di vivere e non permette di rattristare lo Spirito Santo! Dovete essere forti dell’amore, che è più forte della morte . . . tutto crede, tutto spera, tutto sopporta, quell’amore che non avrà mai fine (1 Cor 13, 4-8)”.
Di questa fede, speranza e carità furono forti Massimiliano, Raffaele, Orsola e Alberto, figli di questa Nazione. Essi pure sono stati dati a questa Nazione come segno di vittoria. La Nazione infatti, come una particolare comunità di uomini, è anche chiamata alla vittoria, con la forza della fede, della speranza e della carità, con la forza della verità, della libertà e della giustizia.
Gesù Cristo! Pastore degli uomini e dei popoli! Nel nome della tua Santissima Madre, per il suo Giubileo di Jasna Gora, ti chiedo una tale vittoria!
Gesù Cristo! Buon Pastore! Ti raccomando il difficile “oggi e il domani” della mia Nazione: ti raccomando il suo futuro!
11. “Se dovessi camminare in una valle oscura, / non temerei alcun male, perché tu sei con me”. Tu, per mezzo della tua Madre. Amen.
Il Signore è il mio pastore . . . Il Signore è il nostro pastore!
Amen.
Prima della benedizione, il Papa si è ancora rivolto ai fedeli:
Alla fine del mio pellegrinaggio per il Giubileo di Jasna Gora, pellegrinaggio che per volontà della Provvidenza si svolge nell’Anno Santo della Redenzione, mi è stato dato, per la seconda volta, di decorare con il diadema regale la statua della Madonna dolorosa, celebre Pietà di Limanowa, della diocesi di Tarnow.
Con particolare commozione guardo oggi questa statua, celebre per le sue grazie, tanto conosciuta e venerata nei Beskidi Wyspowe, in tutta la diocesi di Tarnów e molto oltre i confini. E io pongo queste corone sul capo del Redentore del mondo e su quello di sua Madre nel momento del suo più grande dolore e contemporaneamente della sua più piena collaborazione e partecipazione nell’opera redentrice di suo Figlio, nel momento in cui ella regge sul suo grembo materno le spoglie di Cristo poco dopo che nella persona di san Giovanni tutti le sono stati affidati come figli e figlie ed ella è stata data loro come Madre. Ci uniamo nella nostra gioia con tutta la Chiesa di Tarnów, con il suo pastore, Vescovo Jerzy, con i suoi collaboratori nell’Episcopato, con tutti i pellegrini e con tutta la comunità diocesana.
Alla Madre incoronata diciamo: “Sotto questo segno difenderemo la fede dei nostri padri”, ma in più la preghiamo di salvaguardare la nostra fede e quella delle nuove generazioni affinché noi, trasferiti al Regno dell’amatissimo Figlio, vi accediamo e rimaniamo e riceviamo la Redenzione e la remissione dei peccati, affinché niente riesca a spegnere in noi questa fede.
Chiediamo al Pastore della Chiesa di Tarnów e a tutti i pellegrini di questa diocesi di diffondere il nostro saluto e l’unione eucaristica nel Cristo in questa solenne adunanza eucaristica sul Blonia di Cracovia, il giorno in cui il Beato Padre Raffaele e il Beato Fra Alberto hanno ricevuto la gloria.
Cari fratelli e sorelle! L’Eucaristia non ha frontiere, e noi celebrandola oggi qui, sui Blonia di Cracovia, in questa forma solenne, la celebriamo in unione con tutta la Chiesa. Tutti i segni di questa unione, così come li ho elencati alla fine, nella dimensione geografica, sono per noi particolarmente eloquenti e cari. L’Eucaristia non ha frontiere.
Abbraccia l’uomo in tutte le dimensioni della sua esistenza e della sua vocazione. Questa è l’Eucaristia, la specie del pane, un pezzetto di pane che accogliamo nella nostra bocca, nel nostro organismo, nel nostro cuore. In questo cuore si incontrano la piccolezza dell’Eucaristia, l’umiltà dell’Eucaristia, il marchio della distruzione di Cristo con la sua non limitabile grandezza.
Vorrei che quelli che non hanno potuto partecipare alla nostra grande adunanza di beatificazione ricevessero i frutti di questa Eucaristia in modo particolare. Mi riferisco ai malati, alle persone prive di libertà, a tutti gli assenti che sono chiamati dal nostro amore e che tramite il nostro amore sono particolarmente presenti, poiché l’Eucaristia non ha frontiere. Cristo segue l’uomo dovunque egli vada, in tutti i posti dove egli è condotto.
Cristo segue l’uomo poiché è un Buon Pastore. Ancora una volta affido a questo Pastore, Pastore Eterno, Pastore Buono, la nostra comunità sul Blonie di Cracovia. Gli affido la Chiesa di Cracovia, la Chiesa nella Patria, la mia Patria, gli affido la Chiesa di tutte le parti del mondo. Affido al Buon Pastore la Chiesa nella mia Patria tramite la Madre e la Regina di Jasna Gora.
Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per la vostra partecipazione, per le profonde preghiere. Vi ringrazio per l’unione con Cristo e per aver permesso a me, vostro fratello, di essere ministro di questa unione con Cristo, in cui c’è la nostra speranza! Accogliete adesso la benedizione.
Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana