VIAGGIO APOSTOLICO IN COREA, PAPUA NUOVA GUINEA,
ISOLE SALOMONE E THAILANDIA
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Aeroporto di Fairbanks (Alaska)
Mercoledì, 2 maggio 1984
Cari fratelli e sorelle in nostro signore Gesù Cristo,
la pace sia con voi!
1. Vi saluto con le stesse parole che abbiamo appena udito indirizzare da Cristo risorto ai suoi discepoli del Vangelo di san Giovanni. Uso questa espressione non soltanto per dare risalto alla meravigliosa gioia che è nostra in questo periodo pasquale, ma anche nel ricordo della promessa di Cristo: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 20). Poiché siamo qui insieme nel nome di Cristo, Cristo è in mezzo a noi.
Miei cari fratelli e sorelle, non proviamo un sentimento di gioia prorompente, una profonda serenità, sapendo che Gesù il nostro Salvatore risorto, il nostro sacrificio pasquale, la luce del mondo che questo Gesù dimora nei nostri cuori e ci dà la sua pace? Voglio dirvi quanto sia felice di essere unito a voi oggi nella pace del Cristo risorto.
2. Contemplando la gioia dei discepoli alla vista del Signore, notiamo dal passo del Vangelo che c’è qualcosa di nuovo in lui. Le porte sono chiuse, eppure lui entra. Porta i segni della morte, eppure è vivo. I resoconti del Vangelo sia di Luca che di Giovanni si sforzano di dirci che, dopo la risurrezione, il corpo di Gesù è diverso. Egli è entrato nello stadio della sua vita risorta e gloriosa.
Nel Vangelo di Giovanni, questa è la seconda apparizione di Gesù ai discepoli riuniti in gruppo. Dopo la prima apparizione, la loro gioia nel vedere Gesù fu così grande che, quando incontrarono Tommaso, non seppero resistere dall’esclamare: “Abbiamo visto il Signore!” (Gv 20, 25). Ma Tommaso non volle accettare la loro testimonianza: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò” (Gv 20, 25). Forse è facile per noi giudicare duramente Tommaso per il suo scetticismo. Del resto non usiamo spesso l’espressione “vedere per credere”? Forse che i nostri tempi non tendono a credere solamente a ciò che può essere provato con i sensi? Forse che l’uomo moderno non rimane incredulo di fronte a ciò che non può vedere, toccare o sentire?
Gesù comprende Tommaso, e le ragioni dei suoi dubbi. Quando incontra Tommaso, Gesù gli dice immediatamente: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente!” (Gv 20, 28). Tommaso rimase così colpito dalla gentilezza, dalla condiscendenza e dalla pazienza del Signore, che riuscì appena ad articolare umilmente: “Mio Signore e mio Dio!”. Sì, questo era davvero il Signore, trasformato dalla risurrezione e veramente vivo.
3. Il costato di Cristo nel quale Tommaso pose la sua mano è lo stesso che era stato trafitto dalla lancia del soldato e dal quale “uscì sangue e acqua”, (Gv 19, 34). E con lo sgorgare di quel “sangue e acqua”, la Chiesa è nata dal costato di Cristo. Perciò, con la sua passione e morte, Cristo ha generato la Chiesa dal suo costato, affinché la sua risurrezione possa essere manifestata al mondo. Per volontà di Dio, la Chiesa diventa il sacramento o il segno di Cristo sulla terra. In quanto corpo di Cristo, essa diventa il punto d’incontro fra Dio e l’umanità: fra il Creatore e le creature, fra il Redentore e i redenti. E così come Tommaso è stato invitato a “vedere e credere”, sperimentando la presenza del Cristo risorto nel suo corpo glorioso, così tutti i popoli sono invitati a “vedere e credere” sperimentando la stessa presenza di Cristo risorto nel suo corpo mistico, la Chiesa.
4. Nella prima lettura di oggi, tratta dagli Atti degli apostoli, che ci dice cos’è accaduto in casa del centurione romano Cornelio, vediamo che il messaggio di fede è comunicato attraverso la Chiesa. Pietro non predicava soltanto di sua iniziativa. La Scrittura ci dice che Cornelio era stato indirizzato a Pietro da un angelo, e che Pietro si era recato lì su indicazione dello Spirito Santo. Inoltre, mentre Pietro stava predicando sul significato degli eventi della vita di Gesù, della sua morte e della sua risurrezione, “lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso” (At 10, 44). Con la sua predicazione, Pietro era impegnato in un’attività profondamente ecclesiale. Così come lo è chi evangelizza, perché si può annunciare il Vangelo di Cristo nella sua autenticità soltanto in nome della Chiesa e in unione con la Chiesa.
Il mio predecessore Paolo VI ha richiamato questa verità nella sua esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (Pauli VI, Evangelii Nuntiandi, 60): “Allorché il più sconosciuto predicatore, catechista o pastore, nel luogo più remoto, predica il Vangelo, raduna la sua piccola comunità o amministra un sacramento, anche se si trova solo compie un atto di Chiesa, e il suo gesto è certamente collegato mediante rapporti istituzionali, ma anche mediante vincoli invisibili e radici profonde dell’ordine della grazia, all’attività evangelizzatrice di tutta la Chiesa. Ciò presuppone che egli agisca non per una missione arrogatasi, né in forza di un’ispirazione personale, ma in unione con la missione della Chiesa e in nome di essa”.
Come ben si adatta questo passo alla Chiesa dell’Alaska, e soprattutto alla diocesi di Fairbanks, dove la popolazione è sparsa su una superficie di oltre 1.530.000 kmq. Leggendo la storia dell’attività missionaria in questa vasta area geografica, noi potremmo chiederci se i primi missionari avrebbero osato spingersi all’interno dell’Alaska, se non fossero stati infiammati da un profondo amore per la Chiesa di Cristo e profondamente convinti del dovere della Chiesa di annunciare il Vangelo a tutti i popoli. Le prime imprese missionarie degli Oblati di Maria Immacolata e l’impegno costante della Società di Gesù, sono ben noti. I missionari si distinguono in questa storia come gli autentici eroi della fede, il cui coraggio e la cui dedizione hanno reso possibile l’edificazione della Chiesa in questo Paese.
Oggi l’opera di predicare e insegnare il Vangelo in nome della Chiesa viene portata avanti con impegno dai sacerdoti religiosi e diocesani, dai diaconi, dalle suore, dai fratelli religiosi e dai catechisti. Molti di loro affrontano grandi sacrifici personali, percorrendo spesso lunghe distanze per portare la parola di Dio con il suo messaggio di speranza e di amore ai loro fratelli e alle loro sorelle. Questo impegno missionario ancora oggi è affidato alla cura pastorale della Sacra congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, ed è sostenuto dalle Pontificie opere missionarie. In concreto ciò significa che l’evangelizzazione in questa diocesi, e in tante altre diocesi simili a questa in tutto il mondo, è resa possibile dall’interesse e dalla solidarietà degli altri. A questo proposito, i cattolici del Nord America hanno avuto un ruolo particolare nel sostenere e nel promuovere l’impegno missionario della Santa Sede. Abbiamo nei loro confronti un immenso debito di gratitudine. E oggi, su questo suolo missionario d’America, desidero esprimere il mio sentito ringraziamento alla Chiesa degli Stati Uniti per quanto ha fatto per la causa della diffusione della luce del Vangelo di Cristo.
5. Cari fratelli e sorelle: imploriamo il Signore, che chiama operai per la sua messe, perché conceda che molti giovani dedichino le loro vite all’opera missionaria della Chiesa. Possano questi giovani rispondere con generosità alla chiamata del Signore al sacerdozio e alla vita religiosa. E in tal modo possa la presenza di Cristo risorto continuare ad essere rivelata nella sua Chiesa “recando la buona novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che è il Signore di tutti” (At 10, 36).
Cari fratelli e sorelle dell’Alaska: che la pace di Gesù risorto sia con voi sempre!
Noi stiamo viaggiando dall’Alaska alla Corea. E nel ricordare il triste evento nel quale - percorrendo questa stessa rotta - tutti i passeggeri dell’aereo perdettero la vita, raccomandiamo le loro anime al Dio misericordioso mentre recitiamo il Regina Coeli.
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