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VIAGGIO APOSTOLICO IN COREA, PAPUA NUOVA GUINEA,
ISOLE SALOMONE E THAILANDIA

SANTA MESSA PER LA CANONIZZAZIONE DI 103 MARTIRI COREANI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Piazza Youido - Seoul
Domenica, 6 maggio 1984

 

Non doveva forse il Messia patire tali cose e così entrare nella sua gloria?” (Lc 24, 26).

1. Queste parole, tratte dal Vangelo odierno, sono state pronunciate da Gesù mentre andava da Gerusalemme a Emmaus in compagnia dei suoi discepoli. Essi non lo riconobbero, e gli descrissero come a uno sconosciuto quanto era avvenuto a Gerusalemme in quegli ultimi giorni. Parlarono della passione e della morte di Gesù. Parlarono anche delle loro speranze svanite: “Noi speravamo che egli fosse Colui che deve liberare Israele” (Lc 24, 21). Queste speranze vennero sepolte con la morte di Gesù.

I due discepoli erano scoraggiati. Nonostante avessero sentito dire che le donne e gli stessi apostoli non avevano più trovato - nel terzo giorno dopo la sua morte - il corpo di Gesù nella tomba, non sapevano che egli era stato visto vivo. I discepoli non sapevano neanche che in quel preciso istante stavano guardando proprio lui, che camminavano in sua compagnia, che parlavano con lui. In verità, i loro occhi non potevano conoscerlo (Lc 24, 16).

2. Allora Gesù iniziò a spiegare loro, partendo dalle Sacre Scritture, che proprio attraverso la sofferenza il Messia doveva raggiungere la gloria della risurrezione. Le sole parole, però, non ottennero il loro effetto. Anche se il loro cuore bruciava mentre ascoltavano le parole di questo sconosciuto, egli continuava a rimanere per loro tale, uno sconosciuto. Solo durante la cena, quando egli prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede loro, “allora si aprirono i loro occhi e lo riconobbero” (Lc 24,31), ma allora egli scomparve dalla loro vista. Avendo riconosciuto il Signore risorto, essi divennero testimoni per tutti i tempi della risurrezione di Gesù Cristo.

Attraverso loro, tutti gli apostoli, attraverso gli uomini e le donne che hanno testimoniato la vita e la morte di Gesù Cristo, il suo Vangelo e la sua risurrezione, la verità su di lui si è diffusa prima a Gerusalemme, in tutta la Giudea e quindi in tutti i Paesi e tra tutti i popoli. È entrata nella storia dell’umanità.

3. La verità su Gesù Cristo raggiunse anche la terra di Corea. Arrivò per mezzo di libri portati dalla Cina. E per una via meravigliosa, la grazia divina spinse presto i vostri dotti antenati prima ad una ricerca intellettuale sulla verità e la parola di Dio, e quindi ad una fede viva nel Salvatore risorto.

Desiderando ardentemente una maggiore partecipazione alla fede cristiana, i vostri antenati inviarono, nel 1874, uno di loro a Pechino, e là egli fu battezzato. Da questo seme buono nacque la prima comunità cristiana in Corea, una comunità unica nella storia della Chiesa, perché essa fu fondata unicamente da laici. Questa Chiesa inesperta, così giovane e già così forte nella sua fede, ha resistito a diverse ondate di feroci persecuzioni. Fu così che, in meno di un secolo, essa già poteva vantare alcune decine di migliaia di martiri. Gli anni 1791, 1801, 1827, 1839, 1846 e 1866 portano per sempre il marchio di sangue dei vostri martiri, e sono impressi per sempre nel vostro cuore.

I primi cristiani nei primi cinquant’anni furono assistiti soltanto da due sacerdoti, venuti dalla Cina, e solo per un breve periodo di tempo; nonostante ciò essi approfondirono la loro unità in Cristo attraverso la preghiera e l’amore fraterno. Essi non fecero distinzione di classe e incoraggiarono le vocazioni religiose, e cercarono un’unione sempre più stretta con il loro vescovo a Pechino e il Papa nella lontana Roma.

Dopo aver invocato per anni l’invio di un maggior numero di sacerdoti, i vostri antenati diedero il benvenuto ai primi missionari francesi nel 1836. Anche alcuni di loro figurano tra quei martiri, che hanno donato la loro vita per la causa del Vangelo, e che saranno canonizzati oggi nel corso di questa celebrazione storica.

La splendida fioritura della Chiesa di oggi in Corea è realmente frutto della testimonianza eroica dei martiri. Anche oggi il loro spirito immortale sostiene i cristiani della Chiesa del silenzio nel Nord di questo Paese tragicamente diviso.

4. Oggi mi è dato - come Vescovo di Roma e successore di Pietro nella Sede Apostolica - di partecipare al Giubileo della presenza della Chiesa in terra di Corea. Già da alcuni giorni mi trovo tra di voi in qualità di pellegrino, rendendo, come Vescovo e Papa, il mio servizio ai figli e alle figlie dell’amata nazione coreana. La liturgia odierna rappresenta il momento culminante di questo servizio pastorale.

Osservate, infatti: mediante questa liturgia di canonizzazione i beati martiri coreani vengono iscritti nell’elenco dei santi della Chiesa cattolica. Questi sono veri figli e figlie della vostra nazione, unitamente a tanti missionari di altri Paesi. Sono i vostri avi per discendenza, lingua e cultura. E contemporaneamente sono i vostri padri e le vostre madri nella fede, una fede che essi hanno testimoniato con lo spargimento del loro stesso sangue.

Dal tredicenne Peter Yu al settantaduenne Mark Chong, uomini e donne, clero e laicato, ricchi e poveri, gente del popolo e nobili, e molti di loro discendenti di martiri sconosciuti di epoche precedenti, tutti sono morti con gioia per la causa di Cristo.

Ascoltate le ultime parole di Teresa Kwon, una delle prime martiri: “Dato che il Signore del cielo è il Padre di tutta l’umanità e Signore di tutto il creato, come potete chiedermi di tradirlo? Perfino in questo mondo colui che tradisce il proprio padre o la propria madre non sarà perdonato. A maggior ragione io non posso tradire colui che è il Padre di noi tutti”.

Una generazione più tardi, il padre di Peter Yu, Agostino, dichiarava decisamente: “Ora che io ho conosciuto Dio, non mi è possibile tradirlo”. Peter Cho va ancora oltre e dice: “Supponendo anche che il proprio padre commettesse un crimine, nessuno ha il diritto di ripudiarlo e di non riconoscerlo più come il padre. Come posso dunque sostenere di non conoscere il celeste Padre e Signore, che è tanto buono?”.

E cosa rispose la diciassettenne Agatha Yi, quando a lei e al fratello minore venne riferita la falsa notizia secondo cui i genitori avrebbero rinnegato la fede? “Il fatto che i miei genitori abbiano tradito o meno è cosa loro. Per quanto ci riguarda, noi non possiamo tradire il Signore del cielo che abbiamo sempre servito”. A queste parole, altri sei cristiani adulti si consegnarono volontariamente nella mani dei magistrati per affrontare il martirio. Agatha, i suoi genitori e gli altri sei saranno canonizzati oggi. Inoltre, ancora moltissimi umili martiri sconosciuti hanno servito con eguale fede e coraggio il Signore.

5. I martiri coreani hanno portato la loro testimonianza al Cristo crocifisso e risorto. Attraverso il sacrificio della propria vita essi sono diventati simili a Cristo in un modo molto speciale. Essi avrebbero, in verità, potuto far proprie le parole di san Paolo: “Sempre portiamo nel nostro corpo i patimenti di Gesù morente, affinché anche la vita di Gesù sia manifesta nel nostro corpo . . . siamo dati di continuo in preda della morte, a causa di Gesù, affinché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale” (2 Cor 4, 10-11).

La morte dei martiri è simile alla morte di Cristo sulla croce, perché, come la sua morte, così anche la loro è divenuta l’inizio di una nuova vita. Questa nuova vita non si è manifestata unicamente in loro stessi - cioè in coloro che hanno patito la morte di Cristo ma è stata estesa ad altri. È diventata il lievito della Chiesa come comunità viva di discepoli e testimoni di Gesù Cristo. “Il sangue dei martiri è seme dei cristiani”: queste parole del primo secolo del cristianesimo trovano conferma ora davanti ai nostri occhi.

Oggi la Chiesa che si trova in terra di Corea desidera ringraziare nel modo più solenne la Santissima Trinità per il dono della redenzione. Di questo dono san Pietro ha scritto: “Sapete bene che non a prezzo di beni corruttibili, con oro e argento, foste riscattati, ma a prezzo del sangue prezioso dell’agnello illibato e immacolato, Cristo” (1 Pt 1, 18-19). A questo alto prezzo, a questo prezzo della redenzione, la vostra Chiesa desidera, sulla base della testimonianza dei martiri coreani, aggiungere una testimonianza duratura di fede, speranza e carità.

Possa, attraverso questa testimonianza, Gesù Cristo essere sempre più conosciuto nel vostro Paese: il Cristo crocifisso e risorto, Cristo, la via e la verità e la vita, Cristo, vero Dio: Figlio del Dio vivente. Cristo, vero uomo: Figlio della Vergine Maria.

Quella volta, ad Emmaus, due discepoli riconobbero Gesù “nell’atto di spezzare il pane” (Lc 24, 35). In terra di Corea, possano sempre nuovi discepoli riconoscerlo nell’Eucaristia. Accogliete il suo corpo e il suo sangue sotto le specie del pane e del vino, e possa il Redentore del mondo accogliervi nell’unione del suo corpo, per mezzo della potenza dello Spirito Santo.

Possa questo giorno solenne divenire pegno di vita e di santità per le generazioni future. Gesù Cristo è risorto dai morti e oggi vive nella sua Chiesa. “Realmente è risorto il Signore” (Lc 24, 34). Amen. Alleluia.


Successivamente, deposti i paramenti liturgici, il Papa, desiderando manifestare ancora la sua profonda gioia per il meraviglioso momento vissuto in comunione con i fedeli, torna nuovamente a parlare, questa volta in italiano.

Si è parlato in inglese, si è parlato in francese, ora  vorrei dire alcune parole in italiano che padre Chang vi tradurrà in lingua coreana.

Sono profondamente commosso. Ho sentito questi due secoli della fede, del martirio, della Chiesa che oggi ho potuto coronare, con questa solennità stupenda! Come sono grato a Dio che mi ha permesso di venire qui in Corea per questa solennità! Come sono grato al vostro Cardinale che mi ha invitato, già da anni, a venire qui, per prendere parte alla vostra celebrazione bicentenaria!

Ma questo ringraziamento mio personale è soltanto una piccola parte del ringraziamento comune: ecco, la Chiesa in Corea ha ringraziato la Santissima Trinità per le “mirabilia Dei”. Ha ringraziato non da sola, ma nell’unione profonda con la Chiesa di Roma e con la Chiesa universale di Cristo che vive in tutto il mondo. Come sono grato a Dio per avermi dato la gioia di essere io il ministro, il servitore, di questo ringraziamento, insieme con i miei fratelli vescovi, coreani e ospiti di diverse nazioni! Come sono grato per questo ministero sacerdotale episcopale e papale che mi è stato dato di compiere oggi, qui, nella vostra terra, a Seoul.

Carissimi miei fratelli e sorelle coreani, durante questi giorni della mia visita apostolica ho potuto ammirare la vostra Chiesa cresciuta sul fondamento di un secolare martirio e ho potuto ammirare questa vostra Chiesa odierna, costruita giorno per giorno da voi tutti.

Voglio allora ringraziare voi tutti, presenti e assenti; voglio ringraziare i vostri sacerdoti zelanti e laboriosi, le vostre famiglie religiose, e le sorelle coreane, i fratelli, voglio ringraziare tutti coloro che prendono parte all’apostolato dei laici: tutto questo rientra nell’insieme di questa nostra odierna concelebrazione. Tutto questo è un frutto di due secoli, un frutto di questo stupendo martirio dei martiri coreani.

Voglio aggiungere una parola di ringraziamento per tutti coloro che hanno preso parte all’organizzazione della vista del Papa e specialmente di questa celebrazione odierna. Ringrazio tutti, ringrazio di cuore: è stata un’organizzazione perfetta. Ma “organizzazione” è parola troppo laica: è un apostolato, una testimonianza, e di questo vi ringrazio.

Mi sia permesso ancora di aggiungere una parola di ringraziamento a tutti coloro che appartengono al servizio pubblico, al servizio delle comunicazioni, al servizio dell’ordine pubblico, di sicurezza pubblica. Io sono grato come vostro ospite e riporto da questa visita in Corea una buona impressione: un Paese ordinato e maturo.

Devo ancora aggiungere una parola per mese stesso. Dico a me steso che devo già fermarmi e non parlare più perché questa gente sta qui da ore ed ore ed è stanca, affaticata: “Tu, Papa, ti devi fermare e devi dire solamente grazie!”.

 

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