CERIMONIA DI BEATIFICAZIONE DI JOSÉ MANYANET Y VIVES,
DANIEL BROTTIER ED ELISABETTA DELLA TRINITÀ
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Basilica Vaticana - Domenica, 25 novembre 1984
1. “Quelli che sono di Cristo” (1 Cor 15, 23).
Oggi, solennità di Cristo Re, la Chiesa mediante questa cerimonia di beatificazione pone davanti a noi tre grandi figure.
Abbiamo ascoltato i loro nomi. I vescovi, come pastori delle Chiese locali, hanno esposto la testimonianza circa la loro vita eroica:
- José Manyanet y Vives, sacerdote, fondatore della Congregazione dei figli della Sacra Famiglia e dell’Istituto delle figlie missionarie della Sacra Famiglia di Nazaret;
- Daniel Brottier, sacerdote della Congregazione dello Spirito Santo e del Cuore immacolato di Maria;
- Suor Elisabetta della Santissima Trinità, religiosa dell’Ordine delle Carmelitane scalze.
Ecco “quelli che sono di Cristo”.
Nell’ultima domenica dell’anno liturgico, la Chiesa desidera venerare Cristo come “re dei secoli”, accogliendo con gioia la testimonianza dei suoi figli e delle sue figlie, nei quali il segno di appartenenza a Cristo è stato messo particolarmente in evidenza.
Il Vangelo dell’odierna solennità ci permette di comprendere meglio in che modo ogni uomo è chiamato a dare testimonianza alla sua appartenenza a Cristo; in che modo egli deve diventare partecipe del suo regno.
Ecco, dinanzi all’assemblea di tutte le nazioni, alla fine del mondo, Cristo re e pastore pronunzia questo giudizio:
“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo.
Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi (Mt 25, 34-36).
I giusti chiedono: quando?. . . quando e dove abbiamo fatto tutto questo?
Cristo pastore e re risponde: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40).
Ecco in quale modo il segno dell’appartenenza a Cristo appare nell’uomo. Ecco in che modo l’uomo si prepara ad entrare nel regno di Cristo. Per ricevere “in eredità il regno preparato . . . fin dalla fondazione del mondo” (Mt 25, 34). Il regno preparato dal Padre, il regno preparato in Gesù Cristo, crocifisso e risorto: in Gesù Cristo pastore delle anime e re dei secoli.
2. La prima figura che la Chiesa ci pone dinanzi questa mattina, per offrircela come esempio e modello di chi lavora per il regno di Dio in Cristo, è quella del beato José Manyanet y Vives, figlio illustre delle terre di Catalogna in Spagna.
Il motivo dell’esaltazione di questo sacerdote, fondatore di due congregazioni religiose, non è altro che la sua consegna eroica all’amore di Dio e alla causa di Cristo nel servizio al prossimo. Questo lo portò a impegnare tutte le sue forze - nonostante le limitazioni della malattia - per procurare, innanzitutto, “l’onore della Sacra Famiglia e il bene delle famiglie e dei bambini”. Questo è il carisma particolare che penetra tutta la sua vita, immersa nel mistero della vocazione evangelica appresa dagli esempi di Gesù, Maria e Giuseppe nel silenzio di Nazaret.
In un difficile momento storico, nel quale certe ideologie cercavano di penetrare nella società attraverso l’erosione della famiglia, il nuovo beato guarda con chiaroveggenza agli esempi di santità nazarena che la Sacra Famiglia presenta. Di qui nasce il suo impegno apostolico per cercare di portare questo messaggio al mondo e fare di ogni focolare una Nazaret. Come si darà da fare, poi, per invitare ogni famiglia - il gioiello più prezioso, come egli la chiamerà - a guardare a Nazaret e costruire un modello di vita secondo il piano di Dio, basato, nello stesso tempo, sugli autentici valori umani!
In questa stessa linea, egli si dedica con entusiasmo ad offrire ai bambini e ai giovani la pedagogia del Vangelo di Nazaret, con grande amore e rispetto per la vocazione di ciascuno e in vista di un’educazione armonica. Quanto può insegnare il nuovo beato alla nostra attuale società!
3. E ora una parola in lingua catalana per i concittadini del nuovo beato: cercate di essere fedeli all’esempio di vita e al messaggio del vostro concittadino. Portate il modello della Sacra Famiglia alle vostre famiglie. Fate di ogni famiglia una Nazaret, secondo l’anelito apostolico del beato José Manyanet.
4. Tra “coloro che sono in Cristo”, distinguiamo Daniel Brottier. Egli ha abbracciato la congregazione dei Padri dello Spirito Santo per rispondere nel modo più ardente alla vocazione missionaria. Recatosi in Africa, si è dedicato generosamente al servizio della comunità cristiana di Saint-Louis del Senegal, particolarmente dei giovani. ll suo zelo apostolico lo porta a prendere senza posa nuove iniziative perché la Chiesa sia viva e perché la buona novella sia ascoltata. Anche quando sarà lontano da questo campo d’azione, egli continuerà a contribuire alla costruzione della Chiesa in Senegal.
Discepolo di Cristo, lo è anche per la prova della sofferenza: il dolore fisico non lo abbandona. Volontario sul fronte, egli si prende cura dei feriti e li conforta con la sua presenza coraggiosa. Ai soldati morenti, porta il soccorso di Dio. A guerra conclusa, si adopera per dar seguito a quella fraternità nata tra questi uomini nella privazione e nel dono eroico di sé.
Quando riceve l’incarico di assistere gli orfani di Auteuil, è al loro servizio che dispiega con forza l’attività più febbrile, che lo farà conoscere ben oltre Parigi. Niente arresta la sua carità, quando si tratta di accogliere, nutrire, vestire dei bambini abbandonati e straziati dalla vita. Innumerevoli sono coloro che si uniscono a lui in quest’opera profondamente evangelica. Poiché bisogna trovare un alloggio a questi giovani e introdurli in un clima di calore umano, aiutarli a imparare un mestiere e a costruire il loro avvenire, padre Brottier moltiplica gli appelli e costituisce una catena sempre viva di solidarietà attiva.
Sacerdoti, religiosi, la sua grande attività “deriva dal suo grande amore verso Dio”, come ha detto un testimone. Umile e nello stesso tempo vero, attivo fino ai limiti del possibile, servitore disinteressato, Daniel Brottier andava avanti con audacia e semplicità perché lavorava “come se tutto dipendesse da lui, ma anche sapendo che tutto dipende da Dio”. Aveva affidato i bambini d’Auteuil a santa Teresa del Bambin Gesù che egli chiamava familiarmente in aiuto, certo del suo sostegno efficace a tutti coloro per i quali ella aveva offerto la sua vita.
Il beato Daniel Brottier ha terminato la sua opera sulla terra con un “fiat” coraggioso. Oggi noi lo sappiamo caritatevole con i poveri che l’invocano, perché comunica con l’amore del Signore che ha animato tutto il suo servizio sacerdotale.
5. Quasi contemporanea di Teresa del Bambin Gesù, Elisabetta della Trinità fece una profonda esperienza della presenza di Dio, che ella maturò, in modo impressionante, negli anni di vita al Carmelo. Noi salutiamo in lei un essere ricco di doni naturali; ella era intelligente e sensibile, pianista perfetta, apprezzata dai suoi amici, delicata nell’affezione ai suoi. Ecco che ella s’illumina nel silenzio della contemplazione, raggio della felicità di un totale oblio di sé; senza riserva, accoglie il dono di Dio, la grazia del Battesimo e della Riconciliazione; riceve ammirevolmente la presenza eucaristica di Cristo. In grado eccezionale, ella prende coscienza della comunione offerta ad ogni creatura dal Signore.
Noi osiamo oggi presentare al mondo questa religiosa claustrale che condusse una “vita nascosta con Cristo in Dio” (Col 3, 3) perché è una testimone luminosa della gioia d’essere radicati e fondati nell’amore (cf. Ef 3, 17). Ella celebra lo splendore di Dio, perché si sa abitata nell’intimo dalla presenza del Padre, del Figlio e dello Spirito nella quale ella riconosce la realtà dell’amore infinitamente vivo.
Anche Elisabetta ha conosciuto la sofferenza fisica e morale. Unita a Cristo crocifisso, ella s’è totalmente offerta, compiendo nella sua carne la passione del Signore (cf. Col 1, 24), sempre certa d’essere amata e di poter amare. Ella compie nella pace il dono della sua vita beata.
Alla nostra umanità disorientata che non sa più trovare Dio o che lo sfigura, che cerca una parola sulla quale fondare la sua speranza, Elisabetta dà la testimonianza di una disponibilità perfetta alla parola di Dio che ella ha assimilato al punto da nutrire realmente di essa la sua riflessione e la sua preghiera, al punto da trovare in essa tutte le ragioni per vivere e consacrarsi alla lode della sua gloria.
Questa contemplativa, lungi dall’isolarsi, ha saputo comunicare alle sue sorelle e al suo prossimo la ricchezza della sua esperienza mistica. Il suo messaggio si diffonde oggi con una forza profetica. Noi la invochiamo: discepola di Teresa di Gesù e di Giovanni della Croce, che ella ispiri e sostenga tutta la famiglia del Carmelo; che aiuti molti uomini e donne, nella vita laicale o nella vita consacrata, a ricevere e ad essere partecipi dei “fiotti di carità infinita” che ella raccoglieva “alla fonte della vita”.
6. Rivolgendo il suo sguardo su queste tre alte figure, la Chiesa desidera oggi professare la fede apostolica nel regno di Cristo, desidera affermare di credere che egli regna realmente.
Car le Christ “est ressuscité d’entre les morts, pour être parmi les morts le premier ressuscité” (1 Cor. 15, 20).
Dans l’histoire des hommes vaincus par la mort, Il a, le premier, remporté la victoire sur la mort.
C’est une victoire pour lui - et, en même temps, c’est une victoire pour nous.
“C’est en Adam que meurent tous les hommes; c’est dans le Christ que tous revivront” (Ibid. 15, 22).
Tous ceux qui lui appartiennent par la grâce et l’amour ont en eux la Vie nouvelle: la Vie du Royaume que le Père a préparé “depuis la création du monde”.
Dans cette Vie nouvelle s’épanouira la victoire du Christ sur tout ce qui est contraire au règne de Dieu dans la création visible et invisible. “C’est lui, en effet, qui doit régner jusqu’au jour où "il aura mis sous ses pieds tous ses ennemis". Et le dernier ennemi qu’il détruira, c’est la mort” (Ibid. 15, 25-26).
7. El Padre eterno no solamente ha preparado desde la creación del mundo el Reino de gracia y amor, el Reino de vida nueva y de vida eterna.
A la vez el Padre celestial “ha asignado como tarea” este Reino a su Hijo Eterno, cuando se hizo hombre.
Todos los que de cualquier nación, generación, raza, siglo e Iglesia en la tierra, han aceptado participar en esta tarea salvífica y redentora, pertenecen a Cristo. Ellos esperan asimismo el testimonio definitivo, cuando Cristo, con su llegada al fin del mundo, “entregue a Dios Padre el Reino” (Ibid. 15, 24).
El Reino de Dios se completará más allá del término de la historia humana. Se realizará donde tuvo su inicio: en el amor del Padre correspondido hasta el final por el amor del Hijo.
“Cuando le queden sometidas todas las cosas, entonces el mismo Hijo se sujetará a quien a El todo se lo sometió, para que sea Dios en todas las cosas” (1 Cor. 15, 28).
Este es el sentido definitivo del Reino de Dios: Dios que es todo en todos. Los que han aceptado este sentido, abriendo al mismo sus corazones y sus obras, son bienaventurados.
“Venid, benditos de mi Padre, tomad posesión del Reino . . .”.
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