CELEBRAZIONE EUCARISTICA NELLA PARROCCHIA ROMANA
DELLA BEATA VERGINE MARIA DELLA PERSEVERANZA
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Domenica, 17 febbraio 1985
1. “Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattia e di infermità nel popolo” (Mt 4, 23).
Nello spirito di queste parole del Vangelo saluto la parrocchia di Santa Maria della Perseveranza, che mi è stato dato di visitare oggi. La visita del vescovo è sempre un ministero pastorale e apostolico, il cui primo e irraggiungibile modello è Gesù Cristo: colui che predica il Vangelo del regno; colui che guarisce, che cura anima e corpo.
Insieme col cardinale vicario e con il vescovo del settore Ovest saluto i sacerdoti e tutti gli appartenenti a questa comunità parrocchiale: “Pace a voi tutti che siete in Cristo” (1 Pt 5, 14).
2. Il tema principale della liturgia odierna è, si potrebbe dire, la missione di Gesù Cristo verso i lebbrosi.
Come abbiamo sentito nella prima lettura dal libro del Levitico, i lebbrosi erano persone considerate legalmente impure, intoccabili, le quali erano costrette a vivere ai margini della società. Gesù invece li accoglie, li tocca e li guarisce. La Chiesa, depositaria del messaggio portato dal Signore e continuatrice della sua missione salvifica, non ha mai cessato, attraverso i secoli, di prodigare le sue attenzioni e le sue cure in favore dei malati, specialmente di quelli colpiti dalla lebbra.
Sono noti a tutti i grandi apostoli dei lebbrosi, per limitarmi agli ultimi decenni di questo secolo: padre Damiano de Veuster nell’isola di Molokai; il padre gesuita polacco Jan Beyzym, che dedicò la sua vita alla cura dei lebbrosi di Ambahiwuraka, presso Tananarive, nel Madagascar, fino a contrarre egli stesso quel terribile morbo e a morire tra i lebbrosi in quel luogo; il dottor Marcello Candia, defunto qualche anno fa, il quale ha consacrato le sue migliori energie tra i lebbrosi di Marituba, sulla foce del Rio delle Amazzoni: un lebbrosario, questo, che ho visitato durante il mio viaggio pastorale in Brasile rendendomi conto personalmente di quali cure egli circondasse i suoi malati. Tale attenzione della Chiesa per i lebbrosi ho potuto riscontrarla anche nel mio primo viaggio in Africa, presso il lebbrosario di Adzopé, nella Costa d’Avorio, e durante la mia visita in Corea, nel maggio dell’anno scorso, allorché ho potuto portare la mia parola di conforto agli ammalati del lebbrosario di Sorok Do.
3. Il libro del Levitico contiene norme particolari circa la lebbra. Come si vede dal testo, si tratta prima di tutto di assicurare gli altri dal pericolo della contaminazione: “Abiterà fuori dell’accampamento” (Lv 13, 46).
Tuttavia questi severi divieti sono stati superati da Gesù di Nazaret.
Ne abbiamo un esempio nel Vangelo odierno: «Un lebbroso lo supplicava in ginocchio e gli diceva: “Se vuoi, puoi guarirmi”. Gesù, mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, guarisci . . . ma va’, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato”» (Mc 1, 40-44). In questo gesto di Gesù constatiamo il superamento e insieme la fedeltà alla legge di Israele: “Presentati al sacerdote”. È questo lo stile di Gesù che è venuto a portare a compimento, non a distruggere.
4. Gesù che guarisce, che cura dalla lebbra: fa “segni grandi”. Questi “segni” servivano alla manifestazione della potenza di Dio dinanzi alle malattie dell’anima: dinanzi al peccato. Tale riflessione è sviluppata nel salmo responsoriale, che proclama proprio la beatitudine del perdono dei peccati: “Beato l’uomo a cui è rimessa la colpa, / e perdonato il peccato. / Beato l’uomo a cui Dio non imputa alcun male / e nel cui spirito non è inganno” (Sal 32, 1-2).
Gesù guarisce dalla malattia fisica, ma in pari tempo libera dal peccato. Egli si rivela così il Messia annunziato dai profeti, colui che “si è caricato delle nostre sofferenze”, che “si è addossato i nostri peccati” per liberarci da ogni infermità spirituale e materiale (cf. Is 53, 3.12). In questo senso egli è nella Chiesa il Liberatore per eccellenza, colui che ha fatto del riscatto da ogni male la ragione della sua venuta sulla terra.
5. Non ci deve essere nell’uomo nessun inganno, se i peccati devono essere rimessi. Il perdono richiede un sincero pentimento e una vera conversione.
Lo indicano le ulteriori parole del responsorio: “Ti ho manifestato il mio peccato, / non ho tenuto nascosto il mio errore. / Ho detto: “Confesserò al Signore le mie colpe”, / e tu hai rimesso la malizia del mio peccato” (Sal 32, 5).
Proprio tale sincera e piena contrizione e confessione dei peccati portano la purificazione spirituale, a cui segue l’interiore gioia della coscienza: “Gioite nel Signore ed esultate, giusti, / giubilate voi tutti retti di cuore” (Sal 32, 11).
6. Così dunque un tema centrale della liturgia odierna è la purificazione dal peccato, che è come la lebbra dell’anima.
A questo principale problema nell’intera nostra vita spirituale è stato dedicato l’ultimo Sinodo dei vescovi (1983). Il documento post-sinodale ricorda dettagliatamente l’insegnamento evangelico sulla riconciliazione con Dio e sul sacramento della Penitenza.
In tale esortazione apostolica è stato chiaramente ribadito che “per un cristiano il sacramento della Penitenza è la via ordinaria per ottenere il perdono e la remissione dei suoi peccati gravi commessi dopo il Battesimo”. Vi si afferma pure che il Salvatore nella sua azione salvifica non è così legato ad un segno sacramentale da non poter operare la salvezza al di fuori e al di sopra dei sacramenti, “ma ha voluto e disposto che gli umili e preziosi sacramenti della fede siano ordinariamente i mezzi efficaci, per i quali passa e opera la sua potenza redentrice . . . Sarebbe quindi insensato pretendere di ricevere il perdono facendo a meno del sacramento, istituito da Cristo proprio per il perdono” (cf. Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia, 31).
7. L’invito alla riconciliazione con Dio, alla purificazione dai peccati, si trova alla base del Vangelo del regno, che Gesù di Nazaret predicava.
Solo su questo fondamento si può costruire la nostra vita cristiana, cioè dare compimento a questa chiamata all’imitazione di Cristo, di cui parla San Paolo nella seconda lettura: “Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo” (1 Cor 11, 1). Questo invito, in tempi diversi, ha trovato zelanti realizzatori, come padre Damiano, padre Beyzym, Marcello Candia, che ho già menzionato.
Imitando Cristo, dedichiamo insieme con lui tutta la nostra vita per la gloria di Dio: tutta fino alle attività più semplici, come ancora dice San Paolo: “Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio” (1 Cor 10, 31).
8. Come Vescovo della Chiesa, che è in Roma, e insieme servo delle vostre anime, vengo oggi alla parrocchia della beata Vergine Maria della Perseveranza con questo messaggio evangelico che rileggiamo nella liturgia di questa domenica: la purificazione dal peccato e la vita per la gloria di Dio sull’esempio di Gesù Cristo.
Con questo messaggio, mi rivolgo a tutti, iniziando da me stesso, perché come vescovo e pastore della Chiesa sono soprattutto chiamato a vivere questo messaggio: “perché non succeda che dopo aver predicato agli altri, venga io stesso squalificato” (1 Cor 9, 27).
Valga questo messaggio ad infondere nuovo slancio anche a tutti voi, che appartenete a questa parrocchia di Santa Maria della Perseveranza, retta dai benemeriti missionari dei Servi dei poveri, il cui fondatore, Giacomo Cusmano, chiamato “il padre dei poveri”, ho avuto la gioia di elevare agli onori degli altari, il 30 ottobre 1983. Mi si dice che le circa 4300 famiglie di questa parrocchia, oriunde in maggior parte dalle Marche, dall’Abruzzo e dall’Italia meridionale, sono sensibili ai problemi della fede e partecipano alle iniziative parrocchiali destinate a promuovere la liturgia, la catechesi e l’assistenza ai fratelli malati e bisognosi. Anche le associazioni parrocchiali dell’Azione cattolica, dell’Ordine francescano secolare, del Volontariato vincenziano e degli altri gruppi giovanili fanno sentire la loro presenza, dimostrando grande zelo nei loro rispettivi compiti. Ci sono poi numerose congregazioni religiose, sia maschili che femminili, le quali portano il loro specifico contributo nei vari ambiti dell’assistenza negli ospedali, nelle case di riposo, nel servizio agli handicappati, in cui si distinguono i Figli e le Figlie di don Guanella. Nell’esprimere a tutte queste categorie il mio compiacimento, le esorto a ben continuare in questa loro testimonianza cristiana.
Purtroppo anche in questa comunità parrocchiale non mancano problemi pastorali e sociali, come quelli delle famiglie afflitte dal triste fenomeno del divorzio e della droga, o colpite dagli sfratti e anche dalla carenza di adeguate strutture necessarie alla vita del quartiere. Non mancano poi alcuni cristiani che vivono in una sorta di indifferentismo religioso, trascurando la pratica dei sacramenti e la partecipazione alla liturgia nei giorni festivi. A costoro io dico: la Chiesa conta anche su di voi, la Chiesa vi ama così come siete e aspetta il vostro ritorno e la vostra collaborazione. Quanto vorrei stabilire un colloquio con voi per dirvi tutto il mio affetto e tutta la mia comprensione! Non abbiate timore di aprire il vostro cuore ai sacerdoti della parrocchia, che desiderano arrivare a tutte le anime, soprattutto a quelle più lontane, perché non praticanti o non credenti. Essi si sentono e sono padri di tutti senza preferenza o accettazione di persone.
Tutti esorto a vivere sempre più coerentemente le esigenze del Vangelo e a sentirsi veramente fratelli e sorelle nel Signore.
9. Patrona della vostra comunità è la Madonna della Perseveranza.
A lei dunque desidero affidare questo mio odierno ministero, questo messaggio evangelico. A lei desidero raccomandare ognuna e ognuno di questa parrocchia.
Madre della Perseveranza: ella incessantemente intercede per noi, perché perseveriamo nel bene. Perché non ci lasciamo “vincere dal male” (Rm 12, 21). Quanta grande ispirazione, quanta speranza è lei per me e per la Chiesa! Non cessi ella di essere tale ispirazione, tale speranza per tutta la vostra comunità, per ognuno e per tutti,.
Madre della Perseveranza!
Rispondendo al saluto del parroco
Voglio salutare da questo splendido balcone la vostra parrocchia affidata alla cura pastorale della congregazione religiosa dei Servi dei poveri che da venticinque anni compie in questo ambiente il ministero pastorale. Voglio salutare tutta la comunità parrocchiale, tutti i presenti e tutti gli abitanti di questa zona. Saluto tutte le famiglie e ciascuna famiglia in particolare perché ogni famiglia è già una Chiesa, una “Ekklesia”, una Chiesa domestica, una piccola Chiesa, come ci ha ricordato il Concilio. Voglio poi salutare le diverse generazioni cominciando dagli anziani, dai nonni, per poi passare ai genitori, agli adulti, ai giovani, ai bambini, ai più piccoli e ai neonati. Tutti sono abbracciati dallo stesso amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Tutti voi vi trovate sotto la protezione della vergine Madre, Madre della Perseveranza. Ha un bel titolo la vostra parrocchia. Incontrandovi per la prima volta e parlando per la prima volta alla vostra comunità non posso augurarvi altro che quanto si trova in questo titolo. Auguro la perseveranza a tutti. Perseveranza nel bene, nella vita cristiana, nella fede; perseveranza di ogni giorno, per tutta la vita. La perseveranza è anche una grazia speciale e preziosa per ciascuno di noi. Dobbiamo perseverare fino alla fine, perché la vita è un cammino. Dobbiamo tutti arrivare fino alla meta e per arrivare bisogna essere perseveranti. Questa nostra perseveranza si trova nelle mani della Madre della Perseveranza.
Ai ragazzi e ragazze
Vi ringrazio prima di tutto per i fiori che mi avete offerto. Il tempo non è ancora caldo e i fiori non si trovano facilmente, ma se c’è il cuore si trovano anche i fiori. Voi siete i parrocchiani più giovani: siete bambini, ragazzi e ragazze e fate parte di questa parrocchia posta sotto la protezione della Madonna della Perseveranza. Perseverate anche voi per tutta la vita, bisogna essere perseveranti ogni giorno. Voi dovete perseverare nello studio ma anche dovete perseverare nel prepararvi ai sacramenti, alla prima Comunione, alla Cresima . . . [Dopo un breve incidente tecnico dei microfoni:] Se il microfono non è perseverante non è colpevole. Invece se non fosse perseverante il Papa o un bambino, una ragazza o un ragazzo sarebbe un’altra cosa, perché noi siamo responsabili della nostra perseveranza. Vi auguro di essere perseveranti, di imparare la perseveranza fin dalla piccola età, fin dalla giovinezza, fin dalle piccole cose. Pregate la Madre di Cristo, patrona della vostra parrocchia, di essere perseveranti nei vostri doveri quotidiani, a scuola e in casa. La perseveranza ci porta ad essere dei buoni cristiani; ci prepara ad essere dei buoni cristiani nella vita futura.
Al consiglio pastorale
Vi ringrazio per questo vostro apostolato centrato sulla parrocchia e messo in atto dalle varie componenti della parrocchia stessa, dai gruppi più qualificati. Penso che si debba sempre scoprire ciò che è essenziale, ed essenziale è che Cristo ci ha salvato, ci ha redento, ci ha offerto il dono della salvezza eterna. Coloro che sono consapevoli del dono di Gesù costituiscono la Chiesa e come Chiesa ci vuole anche la consapevolezza di come far fruttare quel dono con perseveranza, come dice il titolo della patrona della vostra parrocchia. Per perseverare ci vuole sia il consiglio personale che il consiglio comunitario. Ciascuno di noi deve cercare la sua salvezza personale in Cristo, ma deve anche cercare la salvezza della comunità. Ci vuole quindi collaborazione nella forma più intensa. Essa si esprime, appunto, attraverso questi consigli pastorali nati a seguito del Concilio Vaticano II. Consiglio pastorale vuol dire un consiglio che cerca di collaborare con Cristo Buon Pastore ai compiti pastorali del sacerdote. Per questo vostro impegno al compito salvifico io vi ringrazio, e con voi le vostre famiglie, i vostri cari, e vi benedico di cuore.
Ai catechisti
Vi ringrazio, carissimi, perché mi siete di valido aiuto. Il Papa, infatti, se così si può dire, è il primo catechista della Chiesa di Roma, oltre, naturalmente, di quella universale. Lo è come successore di Pietro che primo catechista lo fu storicamente giacché prima catechesi fu quella del giorno di Pentecoste. Pietro a sua volta succedeva a Gesù il quale, dice Paolo VI nella Evangelii nuntiandi, fu il primo evangelizzatore. Potremmo dire, però, che Gesù fu anche veramente il primo dei catechisti giacché la catechesi è insita nell’evangelizzazione. Non vi è evangelizzazione, infatti, se non tramite la catechesi. Questo è il metodo che la Chiesa sperimenta da secoli, tanto per i giovani quanto per il resto dell’umanità. La Chiesa, come si dice nel documento Catechesi tradendae, deve catechizzare ed essere a sua volta catechizzata. Vi auguro, perciò, di impegnarvi con grande amore per Gesù Cristo in questo lavoro. Dico con grande amore perché è soprattutto questo che serve. E spero anche che il vostro amore per Gesù Cristo possa crescere di giorno in giorno. Vi auguro inoltre di raccogliere i frutti pratici della catechesi: che i vostri catecumeni possano trovare tanta luce, possano capire meglio i misteri e le verità della fede e i principi della vita cristiana. Questo è il frutto di questa educazione. Vi ringrazio e vi auguro tutto questo che è abbastanza, e vi benedico di cuore.
All’Azione cattolica e all’Ordine secolare francescano
Ho avuto una grande gioia nell’incontrare una parrocchia intitolata Santa Maria della Perseveranza. Questo titolo mi sembra molto eloquente e significativo: esso parla dei destini della vita umana e cristiana. Sono contento di incontrare questi due gruppi così qualificati: essi hanno una storia e una tradizione nella Chiesa. Vi auguro di perseverare in queste strade già ben sperimentate nella vita della Chiesa e vi auguro di rimanere sempre giovani. Con ciò vi benedico. A un gruppo di commercianti Il commercio ha il suo momento importante nella vita della società come anche nella vita internazionale. Esso è uno dei momenti costitutivi dell’economia, cominciando da quella locale fino a quella nazionale e mondiale. Questo è un compito molto positivo, che serve al bene degli altri, quindi sono molto contento di incontrarvi e sono molto contento che coloro che in questa parrocchia si occupano del commercio abbiano voluto incontrare il Vescovo di Roma, il Papa, durante la sua visita. Ciò prova che siete vicini alla Chiesa e a questa parrocchia. Anche la Chiesa è vicina a voi e alla vostra professione, e soprattutto alla vostra vita, personale e familiare. Approfitto di questa circostanza per dare una benedizione a tutti voi e a tutti i vostri cari e vi ringrazio per questa iniziativa caritativa che avete preparato con una sensibilità abbastanza significativa per le sofferenze e le necessità del mondo.
Alle religiose
Aumentare le virtù è lo scopo e la finalità di ogni congregazione religiosa, e io vi auguro di progredire nelle virtù cristiane, in quelle morali, in quelle soprannaturali, in quelle teologali che, tutte insieme, costituiscono la struttura spirituale della persona interiore. Ognuna di voi ha la sua interiorità, il suo spirito, la sua anima. Questa interiorità viene, in senso speciale, coltivata dallo Spirito Santo. Infatti lo Spirito Santo è coltivatore delle anime, delle virtù, di tutto quello che è spirituale nell’uomo e che infine costituisce l’uomo in quella che è la sua perfezione, la sua santità. Voi siete chiamate alla santità, come tutti i cristiani, ma si può dire che, se tutti gli uomini sono chiamati alla santità in Gesù Cristo, molti non lo sanno. Invece voi siete chiamate alla santità consapevolmente. Sapete che dovete rispondere a questa chiamata. Allora il mio augurio è che siate molto sensibili al lavoro dello Spirito Santo che nell’anima di ciascuna di voi vuol modellare una persona matura spiritualmente. Egli vuol modellare in ciascuna di voi una speciale somiglianza in Gesù Cristo che è quella della sua madre, giacché a Gesù Cristo, a questo Dio uomo, uomo perfetto, nuovo Adamo, corrisponde nella parte femminile del genere umano Maria, sua madre, sua figlia e sua sposa. Tutto ciò lo troviamo nella tradizione spirituale dei padri della Chiesa e nei teologi di tutte le epoche. Ciò serve a voi per sensibilizzare le vostre anime, la vostra interiorità, la vostra sensibilità al lavoro dello Spirito Santo che porta alla santità ciascuno in Gesù Cristo, grazie alla sua opera redentrice. Vi auguro di camminare bene su questa strada dove avete trovato la vostra vocazione. Di camminare bene ciascuna e tutte insieme, perché la vita religiosa comporta tutti e due questi aspetti: quello personale, interiore, e quello comunitario, di vita fraterna. Sia l’uno che l’altro sono doni dello Spirito Santo per avvicinarci alla realizzazione del regno di Dio.
Risposta alle domande dei giovani
Si vede che i giovani sono abbastanza curiosi! Vogliono sapere tutto, e vogliono sapere tutto insieme! Le domande che vertono sulla mia vita e specialmente quella sulla mia giovinezza sono di grandissima importanza, ma non è facile dare una risposta breve e semplice specialmente per quanto riguarda la vocazione. Essa è sempre una grazia del Signore e il Signore sa trovare le strade per ciascuno di noi quando ci vuole chiamare. Ho parlato di alcune di queste cose nel libro scritto da André Frossard: Dialogo con Giovanni Paolo II, che è stato tradotto anche in italiano: se siete tanto curiosi potete leggerlo: sarà utile non solo per conoscere i particolari della vocazione e della vita personale del Papa quand’era giovane . . . Secondo me i giovani sono sempre gli stessi eppure esiste una grande differenza tra i giovani della mia epoca e quelli di oggi. Parlo secondo la mia esperienza, secondo ciò che ho conosciuto nella mia visuale e nel mio Paese: ai miei tempi la vita era più uniforme, marcata da una certa tradizione, e poi anche più sostenuta dalle istituzioni, come scuole, associazioni, eccetera. Forse oggi c’è più individualismo. D’altra parte non è facile nemmeno dare un giudizio giacché tutto va cambiando rapidamente. Basta pensare come sembrano già tanti gli anni che ci separano dal Concilio Vaticano II, quanti cambiamenti ci sono stati fra il 1968 e gli anni Settanta, gli anni Ottanta: un’epoca. Quanta differenza, soprattutto nel campo giovanile! Si può dire che i giovani di questi ultimi anni sono più alla ricerca di valori, di una vera gerarchia di valori; valori morali, spirituali. Naturalmente tutto ciò è in evoluzione e poi è difficile limitarsi a un ambiente, per esempio quello italiano, di fronte a tante situazioni diverse anche solo negli altri Paesi europei. La mia esperienza oggi proviene dagli incontri con i giovani; non si tratta di esperienza diretta di pastorale giovanile. Per molti anni, nella mia vita sacerdotale e anche di vescovo, ho avuto esperienza diretta della pastorale giovanile, e tutto ciò che conosco proviene da lì. Oggi la mia esperienza è più indiretta ma credo sufficiente per incontrare i giovani e nelle più diverse parti del mondo.
Nei miei viaggi, anche ultimamente in America Latina, in Venezuela, in Ecuador, in Perù, a Trinidad e Tobago ho incontrato dappertutto grandi gruppi di giovani, centinaia di migliaia: la più grande adunanza è stata certamente quella all’ippodromo di Lima dove, ad esempio, ho parlato delle beatitudini. Anche lì mi è sembrato che ciò che dicevo veniva recepito, accettato. Quindi mi sembra che i giovani aspettino il messaggio evangelico. Se lo aspettano è buon segno! E se devo paragonare questi grandi incontri a quelli nelle parrocchie romane, ecco che li vedo simili. Perché io penso - e questo mi proviene dal passato, da quando avevo un’esperienza più diretta - che i giovani crescano, nella stessa generazione, un po’ con gli stessi problemi, con gli stessi ideali, con le stesse ansie, con le stesse preoccupazioni. Per quanto riguarda i giovani italiani, per esempio, mi dice il presidente Pertini che li incontra spesso durante le visite al Quirinale, hanno soprattutto due domande: “Presidente, quale sarà il nostro futuro? Noi siamo, sì, il futuro, ma cosa ci aspetta?”. E soprattutto due cose: Il nostro futuro sarà libero dalla guerra nucleare?”. Questa è una domanda che fanno i giovani italiani. La seconda è: “Quando avremo finito la scuola, avremo lavoro?”. Sono due domande tipiche, dice il presidente, che i giovani gli rivolgono quando si incontrano con lui. Questo tanto per dire qualcosa dell’esperienza mia che è anche quella del presidente Pertini, ma è anche l’esperienza di molti vescovi e sacerdoti che fanno esperienza diretta incontrando i giovani.
Ci sono poi due domande molto importanti da parte vostra: “È fiducioso che sulla terra possa regnare la pace?”. Devo riconoscere che questo è certamente il problema centrale della vostra generazione, della generazione che chiude il secondo millennio. Io sono convinto che possiamo vincere, che possiamo vincere e ottenere la pace. Naturalmente ci vuole un grande sforzo, molta fermezza, un grande impegno e, secondo me, preghiera intensa perché il Signore allontani i pericoli che si addensano su di noi. A proposito delle ideologie, di fronte a quelle che perseguono mete di giustizia attraverso la violenza, qual è l’alternativa concreta che può soccorrere i cristiani? Il cristiano cerca sempre di realizzare la giustizia, anzi, più che la giustizia: una civiltà di amore. Ma non la cerca con i mezzi violenti. E qui siamo nella nostra posizione più esplicita: non si può creare la pace con la violenza, la pace con la guerra. Non si può creare la giustizia con la violenza: ciò è ingiustizia. Tutti coloro che hanno intrapreso la via della violenza hanno visto che essa non conduce alla giustizia. Ammazzare un uomo, privare della vita persone innocenti - e quanti innocenti sono stati privati della vita -, perché l’ideologia dice che bisogna distruggere il sistema, non importa se alcuni sono innocenti, perché il sistema è cattivo e quindi bisogna distruggere questa società. È certamente un modo di pensare sbagliato: non si può creare il bene con il male. Noi speriamo che questi falsi programmi cedano a un programma più giusto, rispettoso della persona e dei valori fondamentali dell’umanità, e fra questi, naturalmente, la vita. Ecco, mi limito a questa risposta che non è sufficiente ma è solo circoscritta al momento.
Penso che durante quest’anno avremo più possibilità e più occasioni per parlare di questi problemi. Il 1985, come avete ricordato voi, è stato proclamato dall’ONU “Anno internazionale dei giovani”; la Chiesa vuol prendere parte, naturalmente con i sui criteri e i suoi metodi, a quest’iniziativa: un primo passo è stato fatto con il messaggio del primo dell’anno, ma ancora si faranno altri passi qui a Roma e altrove. Dobbiamo consacrare più attenzione, più riflessione, più preghiera ai giovani, a quei giovani che si preparano già al terzo millennio.
Termino qui queste mie risposte, ma spero che anche se improvvisate, esse possano contenere un po’ di luce. Per finire auguro a questa parrocchia di rispondere in pieno al titolo di cui si fregia, quello della perseveranza. A volte si accusano i giovani di non essere abbastanza perseveranti, di nutrire grandi entusiasmi per gli ideali ma di non portarli a compimento. La perseveranza è una grande virtù. Nella gioventù si costruisce tutto ciò che è decisivo nella vita ma ci vuole perseveranza per continuare bene perché vita è una costruzione completa, una casa che deve svilupparsi piano per piano. Voi giovani siete al secondo piano, io ormai al sesto o al settimo: vi auguro di salire sempre più in alto. E vi benedico di cuore”.
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