CELEBRAZIONE EUCARISTICA NELLA PARROCCHIA ROMANA
DI SAN TARCISIO AL IV MIGLIO
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Domenica, 3 marzo 1985
“[Dio], che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi . . .” (Rm 8, 32).
1. Il periodo di Quaresima, ancor più che qualsiasi altro, pone dinanzi agli occhi della nostra fede e delle nostre coscienze questa verità, questa immagine di Dio, che dà il proprio Figlio in sacrificio per i peccati dell’uomo. Sulla croce. Nella morte. Non lo risparmia, ma lo dà.
Dio, nel quale in modo mirabile si incontrano e si compenetrano reciprocamente la giustizia e la misericordia. È rigorosamente giusto dinanzi al peccato. È infinitamente misericordioso dinanzi ai peccatori. Perciò “non risparmia” il Figlio. E il Figlio “non risparmia” se stesso. Dona se stesso in sacrificio come “vittima divina” della giustizia e della misericordia.
2. Verso quel Dio, Padre e Figlio, si rivolge la liturgia della Chiesa in Quaresima, in particolare nell’odierna domenica.
Lo dimostra già la prima lettura del libro della Genesi dove - nel sacrificio di Abramo - troviamo una “prefigurazione”, cioè una figura e un preannunzio, in un certo senso un lontano delineamento, di quell’inscrutabile mistero della croce.
Questo sacrificio di Abramo è soltanto una prova di fede per colui che l’apostolo ha chiamato “padre della nostra fede” (cf. Rm 4, 11). Abramo, mediante la fede, arrivò ad avere un discendente ed erede in Isacco. E pure mediante la fede - basandosi sull’obbedienza rigorosa verso Dio - era pronto ad offrire in sacrificio a Dio quel primogenito e unico figlio.
Entro questi limiti, Abramo-padre ha una certa qual somiglianza a Dio-Padre, e Isacco, il figlio, è un’immagine di Cristo-figlio. Tuttavia, soltanto entro questi limiti. Nell’ambito di una prova di obbedienza e di sincerità d’intenzione. Infatti, in definitiva, Dio non permette ad Abramo di sacrificare Isacco. “Non stendere la mano contro il ragazzo - dice - e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio” (temere significa aver fede) “e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio” (Gen 22, 12).
E Abramo offre in sacrificio un agnello al posto di suo figlio.
3. Invece il suo proprio Figlio “Dio non lo ha risparmiato, ma lo ha dato per tutti noi”. Così annunzia San Paolo scrivendo ai Romani. E su questo sfondo egli pone una serie di domande fondamentali. Prima di tutto: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” (Rm 8, 31). E, dando il proprio Figlio, Dio rivela che è con noi. Rivela che è pronto a perdonarci tutto: se ci offre il Figlio in olocausto, “come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?” (Rm 8, 32).
Dio - Padre del Figlio crocifisso - è Dio “ricco di misericordia” (Ef 2, 4). E in pari tempo un Dio giustissimo, che ha preso personalmente su di sé il problema della giustificazione dell’uomo, dell’uomo peccatore.
E perciò l’apostolo domanda: “Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica” (Rm 8,33). Si sa che se egli stesso giustifica, questo vuol dire che non vuole accusare. Vuole salvare. Non vuole condannare. “Chi condannerà?” domanda l’apostolo. “Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi?” (Rm 8, 34).
4. La liturgia di Quaresima contiene in sé una chiamata radicale nei confronti di ciascuno di noi. Meditiamo fino in fondo il problema del peccato! Meditiamo fino in fondo il problema della colpa dell’uomo dinanzi a Dio! Questo problema è stato offuscato e svilito alquanto nella coscienza contemporanea. La Quaresima è tempo di una particolare conversione. Convertirsi vuol dire scoprire la malizia del peccato. Riscoprirla nella propria coscienza. Mettere in moto per questo fine tutti i criteri umani. Ma i criteri umani qui non bastano. Il male del peccato si svela nella sua pienezza solo quando pensiamo ad esso alla luce del mistero del Padre, “che non ha risparmiato il proprio Figlio”. Solo allora comprendiamo la profondità del male, quando diventa palese per noi il bisogno della giustificazione del peccato da parte di Dio stesso. Solo allora ci avviciniamo alla croce di Cristo, affinché si dimostri l’infinità dell’amore misericordioso, che compie ogni misura della giustizia e del giudizio!
5. La liturgia di Quaresima contiene in sé questo invito. A questo invito corrisponde l’enciclica Dives in misericordia, che può essere letta e meditata come commento alla liturgia di Quaresima.
Questo periodo ci introduce gradatamente nel cuore stesso del mistero pasquale. Anche per questo il Vangelo dell’odierna domenica presenta la Trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor.
Il Dio di Abramo non ha accolto il sacrificio della vita di Isacco. Il Dio e Padre di Gesù Cristo accoglie invece il sacrificio della vita del suo Figlio. Il Padre e il Figlio, in questo sacrificio, iniziano a compiere la giustificazione dell’uomo.
Al fine di preparare gli apostoli all’orribile morte di Cristo sulla croce, Dio permette loro di gustare quasi in anticipo la gloria della sua risurrezione nella Trasfigurazione sul monte Tabor. Lì, dal centro della nube luminosa, si sente la voce del Padre (come dopo il Battesimo nel Giordano): “Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo” (Mc 9, 7). La morte sulla croce sarà una prova terribile e una spogliazione del Figlio di Dio. Tuttavia diventerà in pari tempo l’inizio della nuova vita. Cristo ritornerà nella gloria del Padre.
6. Ecco i principali pensieri della liturgia quaresimale, che ho desiderato meditare con voi, cari fratelli e sorelle della parrocchia di San Tarcisio.
A voi tutti qui presenti rivolgo, insieme al cardinale vicario e al vescovo ausiliare del settore, il mio cordiale saluto: al parroco e alla comunità francescana, al consiglio pastorale, ai gruppi parrocchiali, alla rappresentanza delle numerose religiose, ai membri del Pontificio collegio sloveno.
A tutti voi, cari fedeli, il mio pensiero affettuoso e benedicente. Alle vostre famiglie, ai giovani, agli anziani, ai bambini, ai malati, a tutti coloro che con buona volontà operano nel territorio parrocchiale per una convivenza umana e civile più giusta e più serena, per tenere lontana ogni forma di pericolo o di offesa alla dignità delle persone e al bene comune. Possa, nell’ambito di queste imprescindibili esigenze di promozione umana, consolidarsi sempre più un dialogo fecondo di risultati concreti!
7. La comunità parrocchiale è dotata da Dio di forze soprannaturali che le consentono di fare da fermento su tutto l’ambito del suo territorio per un’elevazione continua della vita morale dell’ambiente, nonostante le difficoltà.
So come la vostra comunità punta molto sui valori della liturgia, della catechesi, dell’evangelizzazione. Molto bene! Vi incoraggio a continuare, con rinnovato impegno. E sappiate attendere i frutti con pazienza. Il Vangelo, e in particolare la liturgia di oggi, ci insegnano che occorre in qualche modo “morire” per dare la vita. Sull’esempio di nostro Signore. Dobbiamo imitare il suo sacrificio, nella certezza che i risultati verranno.
Il sacrificio evangelico per i fratelli non ci impoverisce, ma ci fa crescere. Non ci spoglia della nostra dignità o dei nostri autentici interessi; al contrario, ci spoglia dell’“uomo vecchio” e rafforza in noi l’“uomo nuovo”. Non temiamo di seguire in ciò l’esempio di nostro Signore, della Madonna e dei santi, e la nostra azione sarà straordinariamente feconda.
Tra i santi, avete come modello, in modo speciale, San Tarcisio, al quale è dedicata la vostra parrocchia. Egli donò la sua vita per la santissima Eucaristia, perché sapeva che il pane eucaristico è la fonte della vita. L’alimento divino che il Padre in Cristo ci offre possa sostenere anche la vostra azione al servizio del Signore e per il bene dei fratelli.
8. Cari fratelli e sorelle!
Desidero ardentemente che questa visita alla vostra parrocchia e la comune meditazione del mistero della morte salvifica del Figlio di Dio risveglino in voi una vita di profonda fede.
“Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?”.
E Dio è con noi. Infatti “non ha risparmiato il proprio Figlio”. E noi, rispondiamo a ciò? Siamo noi con Dio nel profondo dei nostri pensieri, delle nostre opere e delle nostre coscienze?
Siamo con Dio così come egli lo “chiede”? Egli, “che ha dato il proprio Figlio per tutti noi”?
Siamo con Dio?
All’inizio della visita pastorale
Io vi saluto di cuore. Saluto di cuore questo quartiere e questa parrocchia che porta il gran nome del giovane martire San Tarcisio. Saluto tutti i presenti, che sono molti; saluto tutti senza alcuna eccezione, anche quelli che non sono in questa assemblea. È per me una grande gioia visitare questa parrocchia romana che ha già una sua età, i suoi meriti, un suo sviluppo e che sempre si mantiene fedele a Cristo, il nostro Pastore buono. È nel suo nome che io vengo; nel nome di Cristo, il Buon Pastore, che cerca di raccogliere nel suo ovile tutti, anche quelli che ne sono restati fuori. Saluto tutti voi e tutti coloro che fanno parte di questa parrocchia, di questo quartiere. Vi saluto come Vescovo di Roma, ed esprimo la mia grande gioia di poter essere oggi tra voi, di poter visitare questa parrocchia, di poter abbracciare i vostri bambini e salutare tutte le generazioni, cominciando dai più anziani, dai nonni, e poi i genitori, i giovani, i bambini. Che il Signore benedica questa visita, che la faccia diventare un’opera di pastore, non del pastore-Papa ma del Buon Pastore Cristo Gesù. Lui sia presente tramite la mia presenza e sia operante tramite il mio umile ministero pastorale. Voglio benedire tutti i presenti e tutti gli appartenenti a questa comunità insieme con il cardinale vicario e con il vescovo ausiliare.
Ai bambini
Vedo un po’ tutte le generazioni riunite in questa chiesa che è il punto centrale della vostra parrocchia e vi ringrazio per la bella e cordiale accoglienza. Mi avete accolto non solamente come un Papa ma come un papà. Anch’io vi incontro nello stesso spirito. Abbracciando voi tutti e abbracciando i più piccoli perché siamo della stessa famiglia. Gesù ci ha costituito in una sola famiglia e ci ha lasciato per pregare come famiglia una preghiera per il nostro Padre, e questa è la preghiera più conosciuta e più recitata in tutto il mondo: “Padre nostro che sei nei cieli . . .”.
Vi auguro una buona vita cristiana e una buona Quaresima. Voi sapete che cos’è la Quaresima? È un periodo di quaranta giorni che ogni anno ci ricorda la Quaresima di Gesù, quei quaranta giorni che lui ha passato digiunando e durante i quali ha permesso di essere tentato per mostrare a noi che dobbiamo vincere le tentazioni. Queste tentazioni si vincono soprattutto con la preghiera, con il digiuno e poi anche con le buone opere di carità. Vi auguro di vivere questa Quaresima in un spirito veramente cristiano, così come Gesù Cristo ha insegnato con la sua Quaresima. Vivete questa Quaresima facendo il bene e vincendo il male per prepararvi alle feste; le feste massime dell’anno liturgico: la Pasqua di risurrezione di Gesù. Un ricordo liturgico che ricorre ogni anno per confermarci la speranza della nostra risurrezione. Io vi auguro di vivere così la vostra Quaresima in questa parrocchia dedicata a San Tarcisio, il giovane martire.
Devo ringraziare i due vostri compagni che mi hanno accolto con tante buone parole e con i fiori e che si sono dimostrati veramente solidali con tutti voi e anche con i vostri pastori, ricordandomi di visitare uno di loro che è gravemente malato, padre Nicolò. Io vi auguro di vivere sempre cristianamente la domenica. Oggi è domenica, una domenica di Quaresima. Ma che cosa si deve fare la domenica? E che cosa non si deve fare? Sì, giusto, non si deve lavorare, bisogna essere liberi, perché siamo figli di Dio e come tali dobbiamo manifestare questa libertà. E che cosa si deve fare la domenica? Sì, ho sentito tante risposte. Dicono che bisogna andare in chiesa. E per fare che cosa in chiesa? Per pregare, è vero. Ma per pregare si potrebbe andare anche fuori, nei campi, sulle montagne. In chiesa si deve andare per partecipare alla santa messa, si deve partecipare all’Eucaristia. È questo che deve riunire tutti i cristiani la domenica perché domenica vuol dire “dies Domini”, giorno del Signore, e noi celebriamo il giorno del Signore partecipando alla risurrezione del Signore che viene rinnovata tramite la santissima Eucaristia, nella santa messa. Questo è un compito, questo è un dovere di tutti i cristiani. E questo è anche un privilegio di tutti i cristiani che possono, devono partecipare alla santa Eucaristia, alla santa messa, ogni domenica. Naturalmente si deve pregare, si deve lasciare spazio per la preghiera, per manifestazioni, incontri, ma al centro deve essere sempre la santa messa. Io dico a voi tutti, ai giovani, agli adulti, ai genitori che la santa messa deve stare al centro della vita nel giorno della festa. Vi benedico tutti.
Alle religiose
Voi avete già scelto quello che significa il regno dei cieli; avete scelto la strada che conduce verso questo regno. Il vostro cammino, la vostra scelta, la testimonianza che offrite sono importantissimi, necessari per la Chiesa. È un elemento costitutivo della Chiesa nella sua universalità. Quando leggo i rapporti della diocesi leggo il numero degli abitanti, dei cattolici, delle parrocchie e poi leggo il numero delle suore, delle religiose. Si deve dire che normalmente sono tanto numerose. Sono più numerose le suore che i sacerdoti. È questa anche una prova della Provvidenza. Conservate questo vostro ruolo nella parrocchia, nel quartiere, continuando a prestare la vostra testimonianza e il vostro ministero. Ai membri del consiglio pastorale Lei ha definito molto bene quella che è la natura stessa del consiglio pastorale. Vi auguro di lavorare qui nel vostro ambiente con il parroco per cercare di aiutare la comunità della vostra parrocchia a trovare sempre più la sua identità cristiana e romana. Oggi si cerca molto l’identità. Ci sono molti che dicono di non poterla trovare, di averla perduta. È una cosa importante anche dal punto di vista psicologico, per una persona, trovare la propria identità. Ma ora noi parliamo di una comunità. E anche questa deve avere una sua identità. Specialmente dopo cinquant’anni, questa identità è importante per poter proseguire un cammino normale, per poter avere una vita pienamente rispondente a quella di una parrocchia, di una comunità cristiana. Vi ringrazio di aver accettato di svolgere questo compito nel consiglio pastorale. Vi auguro anche di poter sviluppare sempre più la vostra formazione personale, la vostra personalità che deve essere rafforzata dall’adempimento dei compiti che avete scelto di assolvere.
Agli insegnanti
Vi incontro con grande piacere e vi sono riconoscente per la vostra visita. Io faccio visita alla parrocchia e voi fate visita a me. Capisco bene qual è la responsabilità che voi portate nella vostra professione, in quello che costituisce il lavoro di ogni giorno della vostra vita, e voglio dirvi che come insegnanti siete anche maestri. Voi sapete bene che Cristo era chiamato Maestro, insegnante. Era veramente un Maestro. Voi insegnate diverse materie; Cristo insegnava il regno di Dio, insegnava la buona novella, ma soprattutto insegnava la verità. Anzi, diceva: “Io sono la verità”. Insegnando qualsiasi materia si deve sempre pensare a questa verità a cui noi avviciniamo le menti, le intelligenze dei nostri allievi, di quelli che ci ascoltano, di tutti coloro dei quali noi siamo insegnanti e maestri. Io vi auguro di vedere sempre Cristo davanti a voi come Maestro di verità. Così che anche voi possiate sempre guidare i giovani nel cammino della verità, della giustizia, dell’amore, delle virtù. Ecco questa è la vostra vocazione. In questa vocazione voi siete molto vicini alla Chiesa. Siete naturalmente rappresentanti soprattutto della società, del popolo italiano che tramite voi compie questo grande compito di educare le nuove generazioni, di farle crescere spiritualmente. Ripeto però che siete molto vicini alla Chiesa perché anche la Chiesa è “mater et magistra”. Voglio augurare a tutti i presenti tutta la grazia dello stato della vostra vocazione. Benedico voi, le vostre famiglie e le scuole, gli ambienti dove lavorate.
Ai gruppi di apostolato
In tutti questi vostri gruppi, impegnati in vario modo e con differenti carismi nella comunità parrocchiale, deve sempre essere presente l’apostolato; l’apostolato che deve essere radicato nella spiritualità, nella preghiera. L’apostolato nella Chiesa è infatti attuato da quanti sono impegnati nella pastorale, nell’azione evangelizzatrice, ma anche e forse soprattutto dalle anime dedicate completamente alla preghiera. Voglio esprimere la mia soddisfazione per il fatto che voi siete presenti in questa comunità cristiana, in questa parrocchia, perché qui siete un po’ come il lievito che deve trasformare la massa. Voi dovete trasformare, dovete far vivere la massa della parrocchia. Dovete in un certo senso evangelizzare, cristianizzare, dovete far diventare i cristiani più cristiani. Vi ringrazio di aver risposto a questa vocazione, alla chiamata del Signore. Vi auguro di proseguire nella strada dell’apostolato. E vi auguro di portare avanti anche voi stessi, di crescere interiormente, spiritualmente, per poter far crescere la Chiesa intorno a voi, in mezzo ai vostri fratelli. Vi auguro di trovare in queste forme di vita comunitaria che svolgete all’interno della parrocchia la vostra pace e il vostro bene. Pace e bene sono i frutti della carità, vi auguro questi frutti; che crescano in voi stessi e, tramite voi, in tutti gli altri.
Ai soci del circolo bocciofilo
La vostra accoglienza, la presenza vostra e delle vostre famiglie, qui, nel circolo bocciofilo “San Tarcisio”, mi ha fatto pensare se Gesù aveva mai pensato a una forma di apostolato da svolgersi attraverso un circolo di bocciofili. Sicuramente lui non avrà mai pensato a ciò, ma Gesù è venuto a santificare tutto e certamente ha pensato anche a ogni forma di santificazione del riposo. Anche questa vostra attività, nella quale vi impegnate nel tempo libero, serve a fare apostolato, perché l’apostolato è tutto ciò che ci fa essere cristiani più convinti, più maturi: direi, cristiani più cristiani. Vi auguro, carissimi, di trovare in questa vostra associazione, in questo circolo, il perfezionamento della vostra vita cristiana: di essere più cristiani e più umani insieme.
Alle comunità neocatecumenali
Io vi conosco. Vi incontro in diverse parrocchie di Roma, vi incontro anche in diversi Paesi del mondo. È molto facile identificarvi, perché quando cominciano a suonare le chitarre e quando si ripete quel canto caratteristico dei neocatecumenali, in qualsiasi angolo del mondo il Papa sa subito chi sono e si rallegra. Si rallegra dappertutto e si rallegra anche in questa parrocchia. Io ho parlato più volte alle diverse comunità neocatecumenali, in diverse parti di Roma, e ormai so benissimo che sono due gli elementi caratterizzanti il vostro carisma. Il primo è un entusiasmo della fede. Entusiasmo della fede ritrovata. Della fede ritrovata anche in quelli che l’avevano da sempre, forse anche la fede vissuta, la fede praticata; in quelli che erano onesti e bravi cristiani, più o meno. Una volta ritrovata - ritrovata nel suo significato pieno, nel suo mistero, nella sua soprannaturale grandezza - la fede crea l’entusiasmo. Questo entusiasmo della fede è tanto necessario per la nostra epoca. La nostra epoca fredda, indifferente, la nostra epoca che non vuole impegnarsi, che dice delle verità della fede, di Dio, di Cristo: “chissà, può essere”. Ci vuole questo entusiasmo, questa convinzione personale che solamente è capace di convincere anche gli altri.
Poi, la seconda cosa che penso appartenga al vostro carisma è la conversione radicale. Io ho sentito le vostre due testimonianze, specialmente la prima, con una profonda commozione e ho pensato subito: abbiamo un’altra testimonianza di Paolo di Tarso.
Uno che era andato contro, che voleva addirittura uccidere Gesù, distruggere il cristianesimo. Poi, in un momento, ha ritrovato Gesù risorto, è diventato suo discepolo, il suo apostolo più zelante, più efficace. Allora io penso che la nostra epoca - in cui tante persone hanno perduto la fede e hanno intrapreso un’altra via seguendo ideologie e sistemi filosofici, trovando anche associazioni e organizzazioni che offrono un programma antireligioso - la nostra epoca ha bisogno di conversioni radicali del tipo di quella di Paolo di Tarso. Io vi vedo con grande piacere e penso che siete tanto necessari nella Chiesa di oggi, nel mondo di oggi. Dovete solamente continuare a coltivare i vostri carismi e approfondire la vostra identità mantenendovi sempre molto vicini ai pastori della Chiesa e sempre seguendo quella grazia specifica che appartiene all’identità delle comunità neocatecumenali.
Ai giovani che avevano proposto una rappresentazione del Cantico delle creature
Vi ringrazio per l’accoglienza e per il programma che avete preparato per questo incontro. Un programma significativo perché la parrocchia è affidata ai figli di San Francesco; ci voleva quindi un programma francescano e voi lo avete rappresentato artisticamente: il Cantico delle creature. Voglio perciò augurarvi, nello spirito di San Francesco, di essere amanti della creazione, di saper vivere tutte le ricchezze enormi della creazione, di saper lodare Dio creatore tramite le sue creature, come sapeva fare San Francesco. Questa, si può dire, è la vocazione principale dell’uomo, perché è prerogativa dell’uomo saper esprimere la gratitudine al Creatore guardando le sue opere, guardando la creazione, le creature. L’uomo è chiamato ad essere la voce di tutta la creazione che non ha voce; ogni cosa ha la sua natura, la sua consistenza, la sua caratteristica, la sua ricchezza naturale, ma la voce ce l’ha solamente l’uomo. Naturalmente una voce intelligente capace di esprimere la gratitudine, e di esprimere la gloria di Dio che si manifesta nella grazia. Io vi auguro di vivere in questo spirito che è un elemento centrale nella spiritualità francescana.
Voi avete anche presentato, insieme con questo Cantico delle creature di San Francesco, un’ottima analisi di quello che sono i giovani e di qual è la loro situazione nel mondo contemporaneo. Avete spiegato come voi siate ricercati. Io penso che questa analisi sia molto perspicace, sia molto profonda e giusta. È così: veramente, siete molto ricercati. Tutti vi cercano, e tutti vi presentano una proposta ideologica o una proposta esistenziale: di vivere così, di lottare così, di pensare così. Ci sono diverse proposte. Sappiamo bene quanti giovani hanno già perduto molto ascoltando alcune proposte. Sono cose che mi commuovono profondamente, come quando la voce della coscienza muove certi giovani ad accusarsi di aver ucciso, di aver ucciso pensando di fare bene, pensando che quella era la strada giusta. È una cosa tremenda. Ma questo è solo un aspetto della realtà giovanile nel mondo d’oggi. Anche la Chiesa vi cerca, naturalmente. Cristo vi ha cercato, e sapete bene in che modo lo ha fatto. Ma la Chiesa vi presenta naturalmente un cammino, un cammino evangelico, che ha così affascinato San Francesco e tanti altri, cominciando dal patrono della vostra parrocchia, San Tarcisio, il giovane martire che è un simbolo del legame esistenziale fra i giovani e l’Eucaristia.
Ecco, la Chiesa vi cerca per offrirvi il Vangelo, la parola della vita eterna. Pietro una volta disse a Gesù: tu hai parole di vita eterna, dove possiamo andare, tu solo hai parole di vita eterna. Questa è la proposta della Chiesa. La Chiesa vi cerca presentandovi anche le esigenze e le difficoltà di seguire la sua proposta. Rivedete ancora una volta il Vangelo, rivedete questo dialogo stupendo di Gesù con un giovane, che gli aveva chiesto: cosa devo fare io per entrare nel regno di Dio? Cristo gli ha detto: conosci i comandamenti? Se hai fatto questo seguimi. Cristo rappresenta una grande proposta, una proposta completa e non parziale. È una proposta che abbraccia la vita umana fin dalla nascita, in ogni momento, in ogni situazione. È una proposta concreta che pone delle esigenze chiare. Questa è la ricerca della Chiesa ed è anche la ricerca dei giovani. Una ricerca che è propria dei pastori della Chiesa.
Vi auguro, cari giovani, di abbracciare questa proposta di Gesù Cristo con sincerità, con coraggio. Per abbracciare questa proposta ci vuole un grande coraggio che forse non hanno avuto quei giovani che sono andati per altre strade, che si sono scoraggiati. Vi auguro di avere coraggio. È stata là prima parola del mio pontificato: non abbiate paura. Dovete continuare qui in questa parrocchia e dappertutto nel cammino che avete intrapreso e vi auguro di trovare su questa strada Cristo”.
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