CELEBRAZIONE DEI VESPRI CON LA PARTECIPAZIONE
DEL PATRIARCA ECUMENICO DIMITRIOS I
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Basilica di Santa Maria Maggiore - Sabato, 5 dicembre 1987
1. Questo tempo liturgico dell’Avvento rafforza la nostra fede nella seconda venuta di Cristo. Siamo così chiamati a volgere il nostro pensiero verso l’avvenire, nell’attesa del suo ritorno glorioso. È un’attesa in cui, in qualche modo, si prolunga l’antica speranza messianica, proclamata dai profeti per dare gioia e forza ai poveri del Signore, i quali, durante secoli, hanno avuto fiducia nella sua potenza e da lui hanno aspettato la loro liberazione. Fra questi poveri è stata scelta colei che era predestinata a concepire nel suo verginale seno e a mettere al mondo il Messia, il Figlio consustanziale al Padre, fatto uomo per noi.
Noi celebriamo le lodi di Colei che si è presentata come “l’ancella del Signore” (Lc 1, 38) e realizziamo ciò che ella profeticamente annunciava nel suo cantico di gratitudine: “Tutte le generazioni mi chiameranno beata” (Lc 1, 48). La Vergine Maria, che ha accolto con fede il Messia, che l’ha dato al mondo, che l’ha accompagnato fedelmente fino ai piedi della croce; Maria, che ha pregato con gli apostoli preparandosi alla discesa dello Spirito per la nascita della Chiesa, ha compreso quanto grande sia la speranza a cui Dio ci chiama (cf. Ef 1, 18).
2. L’attesa piena di speranza ha condotto Maria alla liberante scoperta della povertà quale atteggiamento dello spirito, proprio di chi vuole disporsi ad accogliere colui che, “da ricco che era, si è fatto povero perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà” (cf. 2 Cor 8, 9). Apprestandoci a celebrare le feste della Natività e dell’Epifania del nostro Salvatore e attendendo nella fede “la manifestazione del nostro Signore Gesù Cristo” (1 Cor 1, 7), noi abbiamo la certezza che la nostra povertà sarà colmata dalla “ricchezza della gloria di Dio” (cf. Ef 3, 16) e che “le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura, che dovrà essere rivelata in noi” (Rm 8, 18).
La Chiesa, serva di Dio per la sua gloria e serva degli uomini per la loro salvezza, riceve e annuncia questa grande speranza, offrendo instancabilmente le proprie sofferenze e la propria povertà al suo Signore, la cui “potenza si mostra pienamente nella debolezza” (2 Cor 12, 9). Così se nel corso dei secoli delle divergenze, a volte molto gravi, tra i cristiani d’Oriente e d’Occidente, hanno indebolito la testimonianza dell’unica Chiesa di Cristo, oggi il pentimento e il desiderio dell’unione abitano i loro cuori. Oggi abbiamo una nuova prova che Dio ha pietà di noi e ascolta le preghiere di quanti continuamente intercedono per l’unità di tutti i cristiani nella sua Chiesa. Alla Chiesa cattolica e alla Chiesa ortodossa è stata concessa la grazia di riconoscersi di nuovo Chiese sorelle e di camminare verso la piena comunione. Su questo cammino ho la gioia di incontrare, in questi giorni, a Roma, il mio carissimo fratello, il patriarca ecumenico Dimitrios I di Costantinopoli, il quale continuerà ora a guidare la nostra meditazione.
3. Santità, nell’accoglierla con carità profonda e viva stima, saluto, nella sua persona, tutta la Chiesa ortodossa.
Quanto a voi, cari fratelli e care sorelle, so che condividete questa gioia, scorgendo nell’incontro di questa sera un segno che il Signore ci dà, per rispondere alla speranza della sua Chiesa.
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