VISITA PASTORALE A MESSINA E A REGGIO CALABRIA
CANONIZZAZIONE DELLA BEATA EUSTOCHIA CALAFATO
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Messina - Sabato, 11 giugno 1988
1. “Io sono la vera vite” (Gv 15, 1).
Cristo pronuncia queste parole - l’allegoria della vite e dei tralci - il giorno prima della sua passione. Perciò esse acquistano un significato particolare. Si può dire che, tra le parabole del Vangelo, questa contiene in sé una singolare sintesi dell’opera salvifica di Cristo, il cui culmine è il mistero pasquale.
“Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo”. Qui troviamo come un commento a quelle altre parole: “Il Padre mio opera sempre e anch’io opero” (Gv 5, 17). Il Padre opera mediante il Figlio. E l’operare del Padre rassomiglia al lavoro del vignaiolo. Quando il Figlio chiama se stesso “la vera vite”, lo dice perché il Padre ha deciso di innestare in lui e per lui la vita nuova nell’uomo: nelle anime umane, nella storia umana.
La vigilia della sua morte Gesù ne parlò agli apostoli, e questo ha una sua grande eloquenza. Poiché proprio tale morte, la sua morte, il sacrificio della croce, diventerà fonte di vita per l’uomo. Essa è la “vite” mediante la quale la nuova vita, la vita divina deve essere partecipata ai “tralci”.
2. Ascoltando l’odierno brano del Vangelo, la nostra attenzione si è concentrata in particolare su di un “tralcio”, in cui la vite divina che è Cristo ha portato frutto di vita nuova: un frutto particolarmente abbondante. La Chiesa gioisce di poter oggi qui, a Messina, proclamare solennemente la santità di una delle figlie della vostra terra siciliana: la beata Eustochia Smeralda Calafato. Questa ragazza, stimando Cristo sopra ogni cosa, gli si donò totalmente ed iniziò un cammino di crescita nella carità mediante severi sacrifici e lunghe veglie di adorazione dinanzi a quel trono di misericordia, che è la croce, dinanzi a quel trono di maestà, che è il tabernacolo.
3. Le letture della presente liturgia di canonizzazione ci permettono di penetrare nel modo migliore nella storia dell’anima di questa nuova santa della Chiesa.
Ascoltiamo quindi, dalle parole del salmo, questo fervente grido del cuore, che cerca Dio con tutte le sue forze.
Con slancio e in spirito di pietà eleviamo la voce per dire: “O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia” (Sal 63 [62], 1).
Matura e serena è quell’anima che avverte l’esigenza di Dio con la stessa intensità, con la quale la “terra deserta, arida, senz’acqua” (Sal 63 [62], 2) attende la pioggia che dà refrigerio e vita.
Adulta nella fede e lieta nella grazia è quella persona che, sia nel silenzio della notte e della contemplazione, sia nella preghiera semplice, elevata anche nel lavoro quotidiano, si affida alla paternità divina per avere conforto e pace: Dio concede sempre questi doni a chi si rifugia sotto le sue ali (cf. Sal 63 [62], 9). La contemplazione della misericordiosa bontà divina è cibo e bevanda che “sazia l’anima” (cf. Sal 63 [62], 6), la quale viene ricolmata dalla linfa vitale di Cristo. L’assimilazione a Gesù, che ne deriva, fa vivere la persona in modo sovrumano, perché non si vive più per se stessi, ma per Dio, adempiendo i suoi voleri e partecipando alla sua vita, cercata con anelito incessante (cf. Sal 63 [62], 2).
4. Il grande Pascal mise sulla bocca di Cristo queste parole “Non mi cercheresti, se non mi avessi già trovato” (B. Pascal, “Pensèes”, 553). Non mi cercheresti, se io stesso per primo non ti avessi chiamato.
Le parole del profeta Osea alludono proprio a questa chiamata, all’invito di Dio. E questo è l’invito alle nozze spirituali.
Dio chiamò santa Eustochia, la prese per sé (cf. Os 2, 16) ed ella, nel deserto della sua angusta cella e nelle prolungate veglie, visse l’attesa del suo Signore e sposo, il quale la rese capace di intendere le divine parole che rivolgeva al suo cuore (cf. Os 2, 16).
L’Onnipotente la fece sua sposa per sempre nella carità e nella compassione, e con questa vera, divina giustizia la condusse alla santità ricolmandola di beni (cf. Os 2, 21). Da parte sua, la nuova santa, con umile costanza, perseverò in questo amore e non esitò mai nel sacrificio, per crescere in tale amore e permanervi.
5. Quando, dunque, l’anima umana sente la chiamata del suo Dio, di quel Dio che essa cerca, senza del quale è “come terra deserta, arida, senz’acqua” (cf. Sal 63 [62], 2), allora si compie nell’uomo una conversione sempre più profonda.
E questa conversione è, nel contempo, una grande “rivalorizzazione”, come lascia intendere san Paolo nella lettera ai Filippesi. La chiamata - conversione, che derivò dall’incontro con Cristo sulla via di Damasco, produsse nell’Apostolo delle genti un completo capovolgimento dei “valori”. Da quel momento il persecutore dei cristiani iniziò a ritenere una perdita quanto in precedenza aveva considerato come un guadagno. E, sebbene il seguire Gesù avesse portato con sé persecuzioni, sofferenze e fatiche non comuni, egli non mutò giudizio, anzi si rafforzò in esso (cf. Fil 3, 8).
Nella luce del Redentore risorto, l’unico suo desiderio fu di conseguire la comunione totale con lui (cf. Fil 3, 9). Paolo, quale ineccepibile fariseo, aveva tentato di darsi una propria giustizia mediante una puntigliosa osservanza della legge, in tutte le sue prescrizioni. Ma con la conversione comprese che la vera giustizia viene unicamente dal Signore Dio. La condizione prima per poter ricevere tale dono di benevolenza è la povertà di spirito, che apre l’anima a Cristo e la porta ad amarlo più di se stessa.
Elargita per fede, la giustizia divina strappa gli uomini dalla bassezza del male e li eleva al vertice della figliolanza soprannaturale. Da tale altezza luminosa è possibile avere uno sguardo vasto, penetrante, che consente di conoscere in profondità il mistero di Cristo (cf. Fil 3, 10). E tale conoscenza di Cristo, nel quale “sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza” (Col 2, 3), è valore supremo per l’uomo “convertito”, trasformato dalla grazia, ed è conoscenza non riducibile ad un mero apprendimento intellettuale. Essa è comunione di mente e di cuore con Cristo-verità, grazie alla quale si diventa pienamente partecipi della sua passione, morte e risurrezione, condividendone pure la forza redentiva.
La conoscenza di Cristo, la consapevolezza di essere afferrati da lui, di “trovarsi in lui mediante tale conoscenza”, ci fa accogliere la “giustizia che deriva da Dio” come grazia sorgiva di impegno e come caparra, che ci rende certi dell’utilità delle energie spese con dedizione per l’edificazione del Regno.
6. Ne è splendido esempio sant’Eustochia. Ella, ponendosi con assiduità alla scuola di Cristo crocifisso, crebbe nella sua conoscenza e, meditandone i misteri splendenti di grazia, concepì un fedele amore per lui.
Per la nostra santa la vita claustrale non fu una mera fuga dal mondo per rifugiarsi in Dio. Ella con la severa ascesi, che si era imposta, voleva certamente unirsi a Cristo, eliminando sempre più ciò che in lei, come in ogni essere umano v’era di caduco, ma sentiva di essere al tempo stesso unita a tutti. Dalla cella del monastero di Montevergine ella estendeva la sua preghiera e il valore delle sue penitenze al mondo intero. In tal modo intendeva essere vicina ad ogni fratello, lenire ogni dolore, chiedere perdono per i peccati di tutti. Oggi sant’Eustochia ci insegna la preziosità della consacrazione totale a Cristo, da amare con affetto sponsale, devoto, completo. Quando si aderisce a lui, si ama col suo stesso cuore, che ha una capacità infinita di carità.
7. In questo giorno di festa, cari fratelli sorelle della comunità ecclesiale di Messina-Lipari-santa Lucia del Mela, mi unisco alla vostra letizia e vi rivolgo con gioia queste parole piene di affetto pastorale. È cosa per me grata porgere, in primo luogo, il mio saluto ai signori Cardinali presenti, all’Arcivescovo della diocesi, monsignor Ignazio Cannavò, che ringrazio per le cordiali parole, con le quali mi ha espresso, a nome proprio e di tutti, sentimenti di devozione, manifestando pure le attese ed i propositi di bene, presenti in ciascuno dei fedeli.
Desidero salutare i confratelli nell’episcopato, i sacerdoti, i religiosi e le religiose. In particolare, saluto cordialmente le suore Clarisse del Secondo Ordine Francescano, di cui faceva parte colei, che ora è stata iscritta nell’albo dei santi.
Porgo un deferente saluto a tutte le autorità civili e militari, che con preziosa collaborazione hanno facilitato questa mia venuta a Messina. Giunga, infine, il mio saluto a voi tutti, cari fratelli e sorelle, che siete intervenuti in così gran numero e con la vostra presenza festosa manifestate in modo semplice, ma autentico, la comunione con la Chiesa, col successore di Pietro, confermando così significativamente quanto ha detto il vostro Arcivescovo.
Carissimi, mentre vi dico il mio compiacimento per il devoto affetto che avete per la vostra santa, vi esorto ad essere come lei testimoni della luce, che illumina ogni uomo. Da secoli la invocate e onorate come protettrice; continuate ad imitarne la pietà eucaristica; come lei amate Maria santissima, la cui devozione è ben radicata nella vostra terra, come egregiamente è attestato dalle numerose Chiese a lei dedicate in città e in diocesi - prima fra tutte la cattedrale, ove è venerata sotto il titolo di "Madonna della Lettera" - e come dimostra anche l’alta colonna, che all’ingresso del porto reca la statua della Madre del Redentore.
Miei cari, ricorrete sempre alla Vergine santa ed ella, oltre a favorire la vostra assimilazione a Gesù, vi insegnerà a compiere quanto è gradito a Dio, il quale consacra ciò che gli viene offerto, come questa celebrazione eucaristica ricorda e compie.
8. “Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me” (Gv 15, 4).
Ecco, oggi la Chiesa torna alla storia di uno di questi tralci, la cui vita si sintetizza pienamente in questo “rimanere” in Cristo. “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla” (Gv 15, 5).
Ecco, la vostra nuova santa “messinese”, figlia della Sicilia, sembra ripetere attraverso i secoli e le generazioni questo invito di Cristo: “Rimanete in me e io in voi” (Gv 15, 4).
Questo invito di Cristo è stato riconfermato dalla testimonianza di santa Eustochia, come, in antecedenza, lo fu dalla testimonianza della vita di tanti santi di quest’isola, fin dai primi secoli del cristianesimo.
Oggi, questo invito è rivolto dalla nuova santa in particolare a voi sacerdoti, a voi religiosi e religiose, che avete scelto la vita della piena consacrazione per servire con ogni energia all’edificazione del Corpo mistico della Chiesa. Lo rivolge a voi sposi, perché la vostra famiglia sia nel mondo testimonianza della fedeltà amorosa del Creatore; a voi lavoratori, che contribuite a portare elementi nuovi per una comune costruzione, ove il Signore possa a tutti dare pace e serenità. Invita anche voi, cari giovani, perché vi dedichiate alla conoscenza di Cristo, risposta vera ad ogni domanda e ad ogni attesa.
9. “Rimanete in me e io in voi”.
“In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli” (Gv 15, 8).
La Chiesa, elevando alla gloria degli altari a nuova santa, glorifica Dio.
“La gloria di Dio è che l’uomo viva” (cf. S. Irenaei “Adv. Haer”, IV, 20, 7: PG 7, 1037) che viva di quella pienezza di vita che è in Cristo: la vite.
Sì. L’uomo è chiamato alla gloria in Cristo crocifisso e risorto.
E, in questa esaltazione dell’uomo, riceve gloria il Padre.
Poiché il Padre è “il vignaiolo” . . .
La santità dell’uomo - il frutto della coltura di Dio, la messe del mistero pasquale grazie al quale ogni cosa è instaurata in Cristo è la gloria di Dio stesso.
Umile serva del tuo Maestro e sposo, santa Eustochia!
I tuoi concittadini e tutta la Chiesa gioiscono oggi della gloria, che riceve Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, dal frutto maturo della tua santità.
Al termine della liturgia per la Canonizzazione della Santa Eustochia Smeralda, nei padiglioni della Fiera di Messina il Santo Padre rivolge ai presenti queste parole.
Carissimi fratelli e sorelle voglio, insieme a voi, ringraziare il Signore di questa celebrazione eucaristica e per questa canonizzazione della vostra concittadina, della vostra patrona, santa Eustochia Smeralda. Ringrazio il Signore, ringraziando nello stesso tempo tutti i miei fratelli e sorelle, a cominciare dai fratelli nell’episcopato, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, e tutti coloro che hanno contribuito alla preparazione di questa splendida celebrazione. Specialmente ringrazio il coro.
Ma vorrei dire di più: ringrazio tutta la Sicilia che ci ha dato questa nuova santa, ringrazio tutte le Chiese che sono in Sicilia, da questo punto che si situa nella parte orientale dell’isola, vicino a Reggio Calabria, dove, domani, dobbiamo concludere il XXI Congresso eucaristico nazionale italiano. Non si sarebbe potuta immaginare una introduzione, una vigilia migliore per la conclusione del Congresso eucaristico, di ciò che abbiamo vissuto insieme qui in Messina, con questa celebrazione e questa canonizzazione.
Oserei inserire in questa stupenda liturgia eucaristica anche l’insieme della bellezza naturale che ci circonda, qui vicino e lontano. Possiamo dire che la natura stessa entra nella nostra preghiera e si fa anch’essa liturgia, una liturgia cosmica, penetrata dalla presenza di Dio, penetrata dall’opera continua dello Spirito Santo che prepara i nostri spiriti umani ad entrare nella realtà di Dio uno e trino, Padre, Figlio e Spirito Santo.
Così carissimi fratelli e sorelle vorrei che questa celebrazione sia per tutti noi un grande incoraggiamento spirituale, per tutta la popolazione messinese e siciliana. Il vostro Arcivescovo ha citato all’inizio il mondo universitario. Non potendo incontrare questa comunità accademica, vorrei, a conclusione della nostra celebrazione dire a tutti i suoi componenti, professori e studenti, che erano presenti nel nostro cuore e nella nostra memoria, presenti con il loro lavoro, con il loro compito culturale che riveste tanta importanza per la formazione del futuro di ogni uomo e di ogni nazione.
Così anche la cultura entra nella preghiera, entra nella liturgia insieme con la natura, in quanto la cultura vuol dire: uomo canta la gloria di Dio, poiché la vocazione dell’uomo è di essere gloria di Dio. Sia lodato Gesù Cristo.
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