CELEBRAZIONE EUCARISTICA IN SUFFRAGIO DI PAOLO VI E GIOVANNI PAOLO I
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Martedì, 28 settembre 1993
“Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla” (Sal 22, 1).
1. Sotto lo sguardo del Buon pastore, che veglia sulla sua Chiesa e la guida con mano sicura attraverso la storia, vogliamo oggi far memoria di due Pontefici, Paolo VI e Giovanni Paolo I, chiamati quindici anni or sono, a distanza di un mese l’uno dall’altro, alla gioia del premio eterno.
Del Papa Paolo VI rimane vivo il ricordo, non solo per il segno profondo da lui lasciato nella Chiesa, che servì nei difficili anni del rinnovamento conciliare, ma anche per la testimonianza di vita santa che ancora rifulge nel comune sentire, e che è stata riproposta all’attenzione universale con l’introduzione della sua Causa di Beatificazione.
2. Non meno vivo è il ricordo di Papa Luciani, che proprio in questa data fu chiamato al definitivo incontro con Dio. Non ebbe il tempo di esprimere compiutamente le sue rare doti di intelligenza e di cuore, ma la semplicità, l’efficacia, il calore, che caratterizzarono l’unico mese nel quale svolse il ministero petrino, restano ben impressi nella nostra memoria.
Mi piace ricordarlo nella veste a lui tanto cara di “catechista”, pensando al modo accattivante con cui seppe spiegare ai fedeli convenuti per le Udienze generali le virtù teologali. Egli aveva il dono di rendere le verità più elevate con parole semplici, che toccavano il cuore. Il tema che trattò il giorno Prima della sua morte fu quello dell’amore. Che cosa significa “amare”? – egli chiedeva. E la semplice, quanto penetrante, risposta fu: “Amare significa viaggiare, correre con il cuore verso l’oggetto amato [...]. Amare Dio è dunque un viaggiare col cuore verso Dio. Viaggio bellissimo” (Insegnamenti di Giovanni Paolo, I, 1979, p. 95). Aggiungeva poi che questo viaggio è misterioso, perché tutto avvolto dall’iniziativa di Dio: non si può nemmeno partire, “se Dio non prende prima l’iniziativa” (Ivi, p. 96).
3. Questa meditazione sul “viaggio”, o meglio sulla vita come “viaggio di amore”, era la più bella preparazione alla sua morte imminente. Non sappiamo quanto egli ne abbia “presentito” l’arrivo, ma, da uomo di fede qual era vi era sicuramente ben disposto, credendo fino in fondo a quanto abbiamo or ora ascoltato nel Vangelo: “Chi vede il Figlio e crede in Lui ha la vita eterna” (Gv 6, 40). Credeva dunque quello che di lì a poche ore avrebbe sperimentato, e che la Liturgia dei defunti così efficacemente ci inculca: “Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata” (Prefazio).
Lo ricordiamo oggi, insieme con il suo grande predecessore. Facciamo memoria di entrambi, ripensandoli non solo come insigni Pastori della Chiesa, ma anche come “testimoni” di risurrezione per questo nostro tempo, che, ad onta delle sue grandi conquiste sperimenta proprio sul senso della vita le sue più inquietanti contraddizioni.
Mentre li affidiamo con animo riconoscente all’amore misericordioso del Signore, ci facciamo volentieri eredi della loro testimonianza e imploriamo per l’intera umanità la grazia di incontrare in Cristo la via della vita.
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