MESSAGGIO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
AL SIGNOR JAIME DE PINIÈS, PRESIDENTE
DELLA XL ASSEMBLEA GENERALE DELLE NAZIONI UNITE
A sua eccellenza signor Jaime de Piniès,
presidente della XL assemblea generale delle Nazioni Unite,
in occasione del 40° anniversario dell’entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite.
Associandosi alla celebrazione del 40° anniversario dell’entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite firmata a San Francisco, la Santa Sede desidera riaffermare il suo sostegno morale e la sua offerta di collaborazione ai nobili obiettivi che “i popoli delle Nazioni Unite” si sono fissati all’indomani del secondo conflitto mondiale, e incoraggiarli a rilevare, grazie agli insegnamenti dell’esperienza accumulata e a una migliore conoscenza delle difficoltà ancora da superare, i nuovi deficit della cooperazione internazionale.
1. Dopo i miei predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI, ho già avuto l’onore indirizzandomi personalmente, il 2 ottobre 1979, a questa eminente assemblea, di ricordare tutta la stima con la quale la Santa Sede accompagna le attività che la Carta del 26 giugno 1945 assegna alle nazioni che hanno “deciso di unire le loro forze” per promuovere i beni supremi che sono la pace, la giustizia e la solidarietà tra loro.
Senza essere membro della vostra organizzazione, per ragioni ben comprensibili, la Santa Sede è unita ai suoi lavori e agli obiettivi che essa persegue, nella misura in cui questi si accordino con le esigenze della sua missione nel mondo. La sua presenza attraverso la mediazione di un osservatore permanente alla sede di New York e a Ginevra come presso gli organismi speciali di Roma, Parigi e Vienna, attesta il suo interesse per i lavori delle Nazioni Unite e sottolinea la convergenza di fini che mirano, ciascuno sul terreno che gli è proprio, la vostra organizzazione che vuol essere mondiale da una parte e la comunità religiosa a vocazione universale, che è la Chiesa cattolica, dall’altra. Questa è ben cosciente della specificità del suo eventuale contributo, che è essenzialmente fare appello alla coscienza dell’umanità davanti alle forze che dividono gli uomini e le nazioni, per cercare instancabilmente nuove vie di pace, d’intento e di cooperazione fra le persone e le comunità.
Fra la vostra organizzazione e la Chiesa cattolica la collaborazione è d’altronde più favorita e fruttuosa per il fatto che si riferiscono l’una e l’altra al principio fondamentale, solennemente affermato nel preambolo della “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” del 1948, e che la Santa Sede indica con forza, secondo il quale “il riconoscimento della dignità personale e dei diritti uguali e inalienabili di tutti i membri della famiglia umana è fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”.
2. La Santa Sede, voi lo sapete, ha considerato l’Organizzazione delle Nazioni Unite, sin dall’inizio, come un’istituzione insostituibile nella fase attuale della storia dell’umanità. Il mio predecessore Paolo VI non esitava a vedere in essa “il cammino obbligato della civilizzazione moderna e della pace mondiale”, arrivando sino a chiamarla “l’ultima speranza della concordia e della pace” (Paolo VI, Allocutio ad Nationum Unitarum Legatos: AAS 57 [1965] 878-879). Questo sostegno costante da parte della Santa Sede è nato dalla convinzione della Chiesa secondo la quale le nazioni formano un’unità solidale e hanno il dovere, malgrado e anche a causa degli errori ripetuti nel passato e nel presente, di scoprire e di perfezionare sempre di più i meccanismi istituzionali che assicurano i loro pacifici rapporti.
Già nell’agosto 1917, Benedetto XV, nel suo appello rimasto celebre ai belligeranti, proponeva un disarmo generale e la costituzione di un’autorità internazionale capace di giocare un ruolo di arbitro e di imporre delle sanzioni (cf. AAS 31 [1917] 417-420). Sempre in un contesto di guerra, Pio XII auspicava dal 1939 un’organizzazione internazionale veramente adatta a elevarsi contro l’arbitrio degli Stati (Pio XII, Summi Pontificatus: AAS 31 [1939] 498). Nel suo messaggio di Natale, dello stesso anno, indicava le condizioni alle quali il peggio poteva ancora essere evitato e come fosse possibile una pace durevole; una di queste condizioni era la creazione di una nuova organizzazione mondiale, sulla base del diritto internazionale (cf. AAS 32 [1940] 5-15). Giovanni XXIII, nella sua indimenticabile enciclica Pacem in terris, affermava che l’ordine morale naturale esige che sia istituita “un’autorità pubblica di competenza universale” per stimolare “il riconoscimento, il rispetto, la tutela e la promozione dei diritti della persona” in tutto il mondo (Ivi, 55 [1963] 293-294]. Una tale autorità, precisava, non potendo essere imposta con la forza, doveva essere liberamente instaurata e consentita dagli Stati sovrani. La sua finalità è servire il bene comune universale, cioè gli interessi supremi della comunità mondiale in quanto tale, di cui il criterio ultimo resta sempre il rispetto e la promozione dei diritti universali e inalienabili della persona umana. La vostra Organizzazione sembra riunire tutte le condizioni per costituire in modo sempre più efficace questa autorità regolatrice e necessaria. È ciò che il mio predecessore Paolo VI e io abbiamo avuto occasione di sottolineare innanzi alla vostra assemblea (cf. AAS 57 [1965] 888 e AAS 71 [1979] 1160).
3. Quarant’anni sono senza dubbio pochi, quando si tratta di invertire la tendenza atavica degli uomini e dei popoli a regolare i loro conflitti con la forza e a difendere i loro interessi con la violenza. È poco ancora, purtroppo, rispetto al fine ultimo perseguito: una civiltà della pace. Gli egoismi nazionali, gli indurimenti ideologici, il ripiegamento su se stessi, le esitazioni o anche il rifiuto a ricorrere a istanze internazionali in caso di crisi, la sensazione di strumentalizzare queste stesse istanze a fini di propaganda interessata, sono degli scogli ancora molto difficili da superare. Ma quarant’anni di esperienza hanno mostrato come gli obiettivi che sono comuni alla Santa Sede e alle Nazioni Unite debbano assolutamente essere perseguiti, malgrado le possibili sconfitte e le numerose delusioni. La nostra fede nel Dio della Bibbia, ricordandoci che la perfezione della pace e della giustizia non può essere raggiunta sulla terra col solo sforzo degli uomini, ci assicura che è giusta la permanente tensione verso questa mira ultima, che dà senso e grandezza a tutta l’avventura umana.
Sarebbe ingiusto passare sotto silenzio tutto ciò che le Nazioni unite hanno compiuto in questo primo periodo della loro esistenza. Dobbiamo porci la domanda di ciò che avrebbe potuto essere la storia del mondo senza la vostra organizzazione, durante i quarant’anni che hanno seguito la seconda guerra mondiale: questi esempi così ricchi e tumultuosi, insieme promettenti e pieni di interrogativi, che hanno conosciuto la fine quasi totale del colonialismo e un accrescimento senza pari delle nazioni che hanno raggiunto l’indipendenza, che hanno visto svilupparsi tanti progressi nel mondo della scienza e della tecnica, a fianco di tante tensioni pericolose - in modo particolare la profonda divisione ideologica del pianeta - tensioni e divisioni che non sono certo frutto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, ma di cui quest’ultima ha saputo contenere gli sviluppi più pericolosi. Le disfunzioni, difficilmente evitabili ma sempre superabili, non devono essere motivo di scoraggiamento ma indicazioni della direzione degli sforzi e delle correzioni da intraprendere.
Più i vecchi riflessi del ricorso alla forza restano all’ordine del giorno, più diventa chiaro che si rischia di andare verso la sconfitta totale, non solo della cooperazione internazionale, che ci si sforza pazientemente di ricostruire da quarant’anni, ma della civiltà umana tout court. Già Pio XII, alla vigilia della seconda guerra mondiale, ricordava solennemente che, “con la pace niente è perduto, tutto può esserlo con la guerra” (AAS 31 [1939] 33). Oggi la prospettiva di ciò che sarebbe una guerra nucleare non ci lascia scelta. Essa ci obbliga, alcuni direbbero ci condanna, a creare un avvenire dove le soluzioni di diritto e di giustizia siano basate sulla legge del più forte. Quarant’anni dopo la firma della Carta delle Nazioni Unite, le poste in gioco della pace e dei diritti dell’uomo devono essere trattate con un senso di responsabilità più acuto rispetto a prima. Gli impegni solennemente contratti dai firmatari di tale Carta devono essere rispettati ed eseguiti secondo lo spirito della sua lettera.
Mi piace ricordare a titolo particolare, in questo contesto, il vasto lavoro della vostra organizzazione, da quarant’anni, nell’elaborazione di strumenti giuridici che esplicitino e sviluppino la tutela dei diritti fondamentali della persona umana. Sia in questo campo che in quello della creazione di una vera giurisprudenza dei diritti dell’uomo e della giustizia internazionale, sono stati realizzati importanti progressi. In questo lungo e paziente lavoro di risveglio della coscienza universale e dell’edificazione progressiva di un ordine morale più giusto, la Santa Sede e la Chiesa cattolica, voi lo sapete bene, non hanno mancato di offrire il loro contributo.
4. La vostra organizzazione non è un governo mondiale; non dispone di una vera sovranità. Ella vuole essere un’associazione di Stati sovrani. Se non ha potere di costrizione, ella è tuttavia rivestita di un’autorità appoggiata ai più alti valori morali dell’umanità e al diritto. Gli avvenimenti degli ultimi quarant’anni sembrano confermare la necessità che una tale autorità sia dotata di mezzi giuridici e politici che le permettano di promuovere sempre più effettivamente il bene comune e universale e di far trionfare le soluzioni del diritto e della giustizia quando conflitti minacciano di scoppiare tra le nazioni. La Santa Sede non potrebbe che incoraggiare le Nazioni Unite a intensificare questo ruolo di servizio alla pace che è la loro ragion d’essere e a ricercare, di comune accordo, mezzi appropriati di dissuasione e di intervento quando degli Stati membri sono tentati di ricorrere, o, purtroppo, ricorrono alla forza delle armi per regolare i loro conflitti. La vostra organizzazione è, per natura e per vocazione, il foro mondiale in cui i problemi devono essere esaminati alla luce della verità e della giustizia, rinunciando agli egoismi stretti e alle minacce di ricorso alla forza.
5. È un problema di attualità internazionale sul quale la Santa Sede condivide le preoccupazioni dei membri della vostra organizzazione, poiché esso presenta un aspetto etico e umanitario: è la questione del debito verso l’estero del Terzo mondo, in particolare dell’America Latina. Esiste oggi un consenso sul fatto che l’indebitamento globale del Terzo mondo, e i nuovi rapporti di indipendenza che esso crea, non può porsi soltanto in termini monetari ed economici. È divenuto più ampiamente un problema di cooperazione politica e di etica economica.
Il costo economico, politico, sociale e umano di questa situazione è sovente tale che pone interi Paesi sull’orlo della rottura. Del resto, né i Paesi creditori né quelli debitori hanno niente da guadagnare di fronte al fatto che si sviluppino delle situazioni di disperazione che sfuggirebbero ad ogni controllo. La giustizia e l’interesse di tutti esigono che a livello mondiale la situazione sia vista nella sua globalità, in tutte le sue dimensioni non soltanto economiche e monetarie, ma anche sociali, politiche e umane. La vostra organizzazione ha certamente un ruolo di primo piano da giocare nel coordinamento e nell’animazione dello sforzo internazionale che la situazione richiede, in uno spirito di equità ben compreso che si accordi con l’apprezzamento realistico delle cose.
6. Concludendo sottolineerei che la Santa Sede divide con la vostra organizzazione il sentimento che gli obiettivi prioritari dell’azione comune debbano essere: nell’immediato, l’intensificazione del processo di disarmo generale equilibrato e controllato; il rafforzamento dell’autorità giuridica delle Nazioni Unite per la salvaguardia della pace e la cooperazione internazionale, in favore dello sviluppo di tutti i popoli; l’esecuzione degli accordi firmati e la difesa dei diritti fondamentali della persona umana; il riconoscimento effettivo da parte di tutti gli Stati membri dei principi di diritto e delle regole del gioco contenute nella Carta del 1945, la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” del 1948 e gli altri strumenti giuridici internazionali.
La comunità internazionale non può tollerare che gli Stati membri di questa organizzazione violino sistematicamente e apertamente i diritti fondamentali dell’uomo, praticando la discriminazione razziale, la tortura, la repressione politica e ideologica, il soffocamento delle libertà d’opinione e di coscienza. Ne va non solo dell’interesse degli individui e dei popoli, ma, anche della causa della pace nelle differenti parti del mondo.
Per raggiungere questi risultati è indispensabile che si instauri una maggior confidenza tra le nazioni dei differenti sistemi sociali e politici, e innanzitutto tra le grandi potenze che hanno, a questo riguardo, una responsabilità particolare.
Le Nazioni Unite compiranno allora più efficacemente la loro alta missione nella misura in cui, negli Stati membri e presso i loro dirigenti, si svilupperà la convinzione che governare gli uomini è servire un disegno che li oltrepassa. La piena visione di speranza e di coraggio dei redattori della Carta del 1945 non è stata sminuita dalle difficoltà e dagli ostacoli e non può esserlo fino a che tutti i popoli del mondo saranno decisi a superarli insieme. È l’incoraggiamento che vi rivolgo; è il voto ardente che formulo di tutto cuore e che affido alla protezione di Dio.
Dal Vaticano, 14 ottobre 1985.
GIOVANNI PAOLO II
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