LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
AL CARDINALE JOSÉ T. SANCHEZ IN OCCASIONE
DELLA IX SESSIONE PLENARIA DEL CONSIGLIO
INTERNAZIONALE PER LA CATECHESI
Al Venerato Fratello
Cardinale José T. Sanchez
Prefetto della Congregazione per il Clero
1. Ho appreso con piacere che il Consiglio Internazionale per la Catechesi s’è raccolto in sessione plenaria per provvedere all’aggiornamento del Direttorio Catechistico Generale, aggiornamento resosi particolarmente urgente dopo la pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Affido a Lei, Signor Cardinale, il compito di recare il mio saluto cordiale ai partecipanti alla sessione ed a quanti, in codesta Congregazione, hanno contribuito alla sua realizzazione.
Il tema dei lavori è senza dubbio di grande portata. Il Concilio Vaticano II, che più volte parlò della catechesi sottolineandone l’importanza, nel Decreto Christus Dominus propose la redazione di “un direttorio per l’istruzione catechistica del popolo” (Christus Dominus, n. 44). In adempimento del mandato conciliare, tale direttorio fu preparato da una commissione internazionale di esperti sulla base di un’ampia consultazione e venne pubblicato l’11 aprile 1971.
A distanza di oltre un ventennio si può dire che esso ha esercitato un influsso molto positivo sul rinnovamento della catechesi, ponendosi come valido punto di riferimento sia quanto ai contenuti che quanto alla metodologia.
2. In questo arco di tempo, tuttavia, a causa della rapida evoluzione del contesto culturale mondiale, sono emerse nuove sfide che toccano la vita della Chiesa anche sul piano dell’evangelizzazione e della catechesi.
Ad esse il Magistero della Chiesa non ha mancato di volgere la sua attenzione, come mostrano le due Esortazioni Apostoliche Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975) e Catechesi tradendae (16 ottobre 1979) e, in special modo, il Catechismo della Chiesa Cattolica, presentato ai Vescovi con la Costituzione Apostolica Fidei depositum (11 ottobre 1992).
Su questa base si imponeva per il Direttorio Catechistico Generale una revisione che ne adeguasse le indicazioni alla nuova situazione. Opportunamente, pertanto, il Consiglio Internazionale per la Catechesi ha dedicato interamente la presente sessione plenaria a questo importante compito.
Il lavoro, svolto in questi giorni sulla base di precedenti studi, osservazioni e suggerimenti di esperti, si è concluso portando alla luce sia le sezioni del Direttorio che vanno conservate, sia quelle da riscrivere, in riferimento ai problemi più scottanti che la catechesi dei prossimi anni dovrà necessariamente affrontare. Tra questi, particolare rilievo nel contesto del mondo d’oggi ha sicuramente l’inculturazione. La pluralità delle culture è infatti sempre più marcata anche nelle regioni di antica tradizione cristiana. A maggior ragione essa costituisce una sfida nei continenti in cui più recente è l’annuncio del cristianesimo, come ha sottolineato la recente assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa.
3. Il compito della Chiesa di annunciare la Parola di Dio “a tutte le genti” (cf. Mt 28, 19) esige per sua natura uno sforzo continuo di “traduzione” di tale Parola, per renderla accessibile a tutti i suoi destinatari così che, accolta nel pensiero e nella vita, possa diventare lievito di tutte le culture, dando vita a prassi, costumi, istituzioni cristianamente ispirati.
L’inculturazione si configura così come uno dei compiti più necessari e vitali dell’evangelizzazione e della catechesi, ma anche come uno dei più difficili e delicati. Essa impegna la Chiesa a un continuo sforzo di discernimento da compiere in obbedienza alla Parola di Dio, in cordiale attenzione all’uomo, sotto la guida dello Spirito Santo.
Il paradigma di tale compito è la stessa Incarnazione del Verbo di Dio, evento storico-salvifico su cui poggia la fede cristiana. In Cristo, il Verbo si è fatto carne (cf. Gv 1, 14), assumendo tutto ciò che è proprio dell’uomo, eccetto il peccato (cf. Eb 4, 15). Anche l’annuncio di Cristo agli uomini non può non seguire la stessa dinamica, proponendo il messaggio rivelato in modo che ogni cultura lo possa veramente sentire qual esso è, valido e arricchente, contemporaneo di ogni tempo e di tutte le generazioni.
4. Spetta dunque a un’autentica teologia dell’incarnazione indicare le coordinate dell’inculturazione, segnandone i limiti, oltre i quali l’illusione di “tradurre” sarebbe un “tradire”.
Pietra angolare di ogni processo di inculturazione della fede è l’annuncio dell’Incarnazione come fatto storico unico e irripetibile. Il Figlio di Dio si è incarnato una volta per sempre in un determinato luogo e in un determinato tempo. Ogni cultura che si apre a Cristo non può non stabilire un vincolo permanente con la storia concreta dell’Incarnazione, con la parola biblica che ce la svela, con la tradizione ecclesiale che ce la consegna, con i segni sacramentali in cui essa continua ad operare.
L’Incarnazione è poi in intima connessione col mistero pasquale di morte e risurrezione. L’accoglienza di questo evento suppone la presa di coscienza del peccato che segna la storia umana e la rende radicalmente bisognosa di redenzione. Quando si annuncia il Cristo, non si può mai, per un equivoco irenismo, dimenticare che esiste il “mysterium iniquitatis”, che ha profondamente turbato l’originaria bontà della creazione. “Grano” e “zizzania” crescono insieme (cf. Mt 13, 39) nel cuore dell’uomo come nelle culture e nella società. Non tutto dunque è conciliabile col messaggio cristiano. Molto può essere valorizzato, altro deve essere rigettato, tutto deve essere purificato e migliorato.
5. L’Incarnazione ha la sua pienezza nella glorificazione di Cristo. Dal Risorto sgorga perennemente per l’intera umanità il dono dello Spirito, principio di vita nuova che si realizzerà compiutamente nell’escatologia, ma che ha già storicamente una concreta anticipazione nella vita della Chiesa, corpo e sposa di Cristo. L’incontro delle culture con Cristo implica un cammino di elevazione, fino alla “piena maturità di Cristo” (Ef 4, 13). Nel Corpo mistico di Cristo le autentiche ricchezze umane sono purificate, consolidate, unificate. Non può esserci dunque vero annuncio di Cristo che non sia anche una proposta di comunione ecclesiale: “Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo” (1 Gv 1, 3).
In questa linea si muove il vostro lavoro, per il quale formulo l’auspicio di un felice esito, sotto lo sguardo materno di Maria, che ci precede nella “peregrinazione” della fede e sta davanti a noi quale modello di adesione incondizionata al progetto di Dio.
Con questi sentimenti imparto a Lei, Signor Cardinale, ai suoi collaboratori ed a tutti i partecipanti alla Sessione del Consiglio Internazionale per la Catechesi l’apostolica benedizione.
Dal Vaticano, 21 Settembre 1994.
IOANNES PAULUS PP. II
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