VISITA PASTORALE NEGLI STATI UNITI D'AMERICA
SALUTO DI GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DEGLI STATI UNITI D'AMERICA
Chicago
Venerdì, 5 ottobre 1979
Cari Fratelli in Cristo, nostro Signore.
1. Mi sia consentito di dirvi con tutta semplicità quanto io vi sia grato per il vostro invito a venire negli Stati Uniti. È motivo di immensa gioia per me compiere questa visita pastorale e, in particolare, essere oggi qui con voi.
In questa occasione esprimo gratitudine a voi, non solo per il vostro invito, non solo per tutto quanto avete fatto per preparare la mia visita, ma anche per l’essere voi associati con me nell’opera di evangelizzazione, fin dal tempo della mia elezione a Papa. Vi ringrazio per il vostro servizio al Popolo santo di Dio, per la vostra fedeltà a Cristo, nostro Signore, e per la vostra unione con i miei predecessori e con me nella Chiesa e nel Collegio dei Vescovi.
Desidero allo stesso tempo rendere pubblico omaggio a una lunga tradizione di fedeltà alla Sede Apostolica da parte della Gerarchia Americana. Durante il corso di due secoli, questa tradizione ha edificato il vostro popolo, ha reso autentico il vostro apostolato e arricchito la Chiesa universale.
Desidero, inoltre, oggi davanti a voi, dare atto, con profondo apprezzamento, alla fedeltà dei vostri fedeli e alla rinnovata vitalità che essi hanno dimostrato nella vita cristiana. Tale vitalità si è manifestata non solo nella pratica dei sacramenti delle comunità, ma anche in abbondanti frutti dello Spirito Santo. Con grande zelo, il vostro popolo ha cercato di edificare il Regno di Dio mediante la scuola cattolica, e attraverso tutti gli sforzi nel campo della catechesi. Anche l’evidente interessamento per gli altri è stato un impegno fattivo del Cattolicesimo Americano, ed oggi ringrazio i Cattolici Americani per la loro grande generosità. Del loro sostegno hanno beneficiato le diocesi degli Stati Uniti, e una vasta rete di opere caritatevoli e di progetti di auto-promozione, compresi quelli patrocinati dai “Catholic Relief Services” e dalla “Campagna per lo Sviluppo Umano”. Ancora, l’aiuto dato alle missioni dalla Chiesa negli Stati Uniti, rimane un contributo permanente alla causa del Vangelo di Cristo. Per il fatto che i vostri fedeli sono stati molto generosi verso la Sede Apostolica, i miei predecessori hanno potuto ricevere sostegno nell’affrontare gli impegni del loro ufficio; e così, nell’esercizio della loro universale missione di carità sono stati messi in grado di estendere l’aiuto a quanti sono nel bisogno, manifestando con ciò l’interessamento della Chiesa universale per tutta l’umanità. Per me quindi questa è un’ora di solenne gratitudine.
2. Ma, ancor più, questa è un’ora di comunione ecclesiale e di amore fraterno. Sono venuto a voi come un Vescovo fratello: uno che, come voi stessi, ha conosciuto le speranze e gli impegni di una Chiesa locale; che ha lavorato nell’ambito delle strutture di una diocesi, che ha collaborato nell’organismo di una Conferenza Episcopale; che ha conosciuto la stimolante esperienza della Collegialità di un Concilio Ecumenico, in quanto esercitata da Vescovi insieme con colui che presiedeva a tale assemblea collegiale ed al tempo stesso era da essa riconosciuto come “totius Ecclesiae Pastor”, investito di “una potestà piena, suprema e universale su tutta la Chiesa” (cf. Lumen Gentium, 22). Son venuto a voi come uno che è stato personalmente edificato ed arricchito dalla partecipazione al Sinodo dei Vescovi; che fu sostenuto e assistito dal fraterno interessamento e dal dono di sé dei Vescovi Americani che si recavano in Polonia per esprimere solidarietà alla Chiesa nel mio paese; son venuto come uno che ha trovato profonda, spirituale consolazione per la propria attività pastorale mediante l’incoraggiamento dei Romani Pontefici con i quali e sotto i quali ho servito il popolo di Dio, e, in particolare, mediante l’incoraggiamento di Paolo VI, al quale ho guardato non solo come al Capo del Collegio dei Vescovi, ma anche come al mio padre spirituale. E oggi, sotto il segno della collegialità e in virtù di un misterioso disegno della provvidenza divina, io, vostro fratello in Gesù, sono venuto a voi come Successore di Pietro nella Sede di Roma, e perciò come Pastore dell’intera Chiesa.
A causa della mia personale responsabilità pastorale, come pure a causa della nostra comune responsabilità pastorale verso il popolo di Dio negli Stati Uniti, desidero infondervi forza nel vostro ministero di fede in qualità di Pastori locali e sostenervi nelle vostre individuali e congiunte attività pastorali, incoraggiandovi a star saldi nella santità e verità di nostro Signore Gesù Cristo. In voi, desidero onorare Gesù Cristo, il Pastore e Vescovo delle nostre anime (cf. 1Pt 2,25).
A motivo della nostra chiamata ad essere pastori del gregge, sentiamo che dobbiamo presentarci come umili servitori del Vangelo. Le nostre direttive saranno efficaci soltanto nella misura in cui il nostro discepolato sia genuino, nella misura in cui le Beatitudini siano diventate l’ispirazione delle nostre vite, nella misura in cui il nostro popolo trovi realmente in noi benevolenza, semplicità di vita e carità universale da esso attesa.
Noi che, per mandato divino, dobbiamo proclamare gli obblighi della legge cristiana e dobbiamo richiamare il nostro popolo a costante conversione e rinnovamento, sappiamo che si applica soprattutto a noi stessi l’invito di San Paolo: “Dovete rivestire l’uomo nuovo creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera” (Ef 4,24).
3. La santità della conversione personale è effettivamente la condizione per il nostro fruttuoso ministero, come Vescovi della Chiesa. È la nostra unione con Gesù Cristo che determina la credibilità della nostra testimonianza al Vangelo e la soprannaturale efficacia della nostra attività. Noi possiamo proclamare con convinzione “le insondabili ricchezze di Cristo” (Ef 3,8) soltanto se manteniamo fede all’amore e alla amicizia di Gesù, soltanto se continuiamo a vivere nella fede del Figlio di Dio.
Dio ha fatto un grande dono alla Gerarchia Americana in anni recenti: la canonizzazione di Giovanni Neumann. Un Vescovo Americano è stato ufficialmente elevato dalla Chiesa Cattolica per essere esemplare servitore del Vangelo e pastore del popolo di Dio, in considerazione soprattutto del suo grande amore per Cristo. In occasione della canonizzazione, Paolo VI si chiese: “Quale è il significato di questo straordinario evento, il significato di questa canonizzazione?”. E rispose, dicendo: “È la celebrazione della santità”. E questa santità di San Giovanni Neumann si è manifestata nell’amore fraterno, nella carità pastorale e nello zelante servizio da parte di uno che era Vescovo di una diocesi e un autentico discepolo di Cristo.
Durante la canonizzazione, Paolo VI continuò dicendo: “La nostra cerimonia oggi è effettivamente la celebrazione della santità. Nel medesimo tempo, è una profetica anticipazione per la Chiesa, per gli Stati Uniti, per il mondo di un rinnovamento di amore: amore per Dio, amore per il prossimo”. Come Vescovi, siamo chiamati ad esercitare nella Chiesa questo ruolo profetico di amore e, perciò, di santità.
Guidati dallo Spirito Santo, dobbiamo essere tutti profondamente convinti che la santità occupa il primo posto nella nostra vita e nel nostro ministero. A questo proposito, come Vescovi scorgiamo l’immenso valore della preghiera: la preghiera liturgica della Chiesa, la nostra preghiera comunitaria e la nostra preghiera individuale. In questi ultimi tempi, molti di voi hanno trovato che la pratica di fare ritiri spirituali insieme con i fratelli Vescovi è veramente un aiuto per quella santità, nata dalla verità. Vi sostenga Dio in questa iniziativa: affinché ciascuno di voi, e tutti voi insieme, possiate adempiere il vostro ruolo come segno di santità offerto al popolo di Dio nel suo pellegrinaggio verso il Padre, ed essere anche voi, come San Giovanni Neumann, una profetica anticipazione della santità. Il popolo ha bisogno di Vescovi, a cui guardare come a leaders nella ricerca della santità, Vescovi che cercano di anticipare profeticamente nella propria vita la realizzazione di quel traguardo, a cui essi conducono i fedeli.
4. San Paolo sottolinea le relazioni della giustizia e della santità con la verità (cf. Ef 4,24). Gesù stesso, nella sua preghiera sacerdotale, chiede al Padre di consacrare i suoi discepoli per mezzo della verità; e aggiunge: “La tua parola è verità”, “Sermo tuus veritas est” (Gv 17,17). E continua dicendo che per i discepoli consacra se stesso, perché anch’essi siano consacrati nella verità. Gesù consacrò se stesso perché i discepoli potessero essere consacrati (separati), dalla comunicazione di ciò che egli era: la Verità. Gesù dice al Padre suo: “Ho dato loro la tua parola” e “La tua parola è verità” (Gv 17,14.17).
La santa parola di Dio, che è verità, è comunicata da Gesù ai suoi discepoli. Questa parola è affidata, come sacro deposito, alla sua Chiesa, ma soltanto dopo che egli aveva impiantato nella sua Chiesa, mediante la potenza dello Spirito Santo, uno speciale carisma per conservare e trasmettere intatta la parola di Dio.
Con grande sapienza, Giovanni XXIII convocò il Concilio Vaticano II. Scrutando i segni dei tempi, egli si accorse che quello che occorreva era un Concilio di natura pastorale, un Concilio che avrebbe dovuto far risplendere il grande amore pastorale e la cura di Gesù Cristo, il Buon Pastore, per il suo popolo. Ma egli si accorse anche che un Concilio pastorale, per essere genuinamente efficace, necessitava di una solida base dottrinale. E precisamente per questa ragione, appunto perché la parola di Dio è la sola base di ogni iniziativa pastorale, Giovanni XXIII nel giorno dell’apertura del Concilio – 11 ottobre 1962 – fece la seguente dichiarazione: “Il più grande interesse del Concilio Ecumenico è questo: che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace”.
Questo spiega l’ispirazione di Papa Giovanni; questo è ciò che doveva essere la nuova Pentecoste: questa è la ragione per cui i Vescovi della Chiesa – nella più grande manifestazione di collegialità data nella storia del mondo – furono chiamati a raccolta: “affinché il sacro deposito della dottrina cristiana fosse salvaguardato ed insegnato più efficacemente”.
Nel nostro tempo Gesù ha continuato a consacrare di nuovo i suoi discepoli nella verità, e lo ha fatto mediante un Concilio Ecumenico; egli ha continuato a trasmettere, con la potenza dello Spirito Santo, la parola del Padre alle nuove generazioni. E ciò che Giovanni XXIII ritenne essere il motivo del Concilio, anch’io lo considero il motivo di questo periodo post-conciliare.
Per questa ragione, nel mio primo incontro nello scorso novembre con i Vescovi Americani, in occasione della loro visita “ad limina”, io dissi: “Questa poi è la mia più profonda speranza oggi per i pastori della Chiesa in America, come anche per tutti i pastori della Chiesa universale: che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in modo più efficace”. Nella parola di Dio è la salvezza del mondo. In virtù della proclamazione della parola di Dio, il Signore continua nella sua Chiesa, e mediante la Chiesa, a consacrare i suoi discepoli, comunicando loro la verità, che è lui stesso.
Per questa ragione, il Concilio Vaticano II sottolinea il compito che ha il Vescovo di annunciare la piena verità del Vangelo e di proclamare “l’intero mistero di Cristo” (Christus Dominus, 12). Questo insegnamento fu costantemente ripetuto da Paolo VI per l’edificazione della Chiesa universale. Fu esplicitamente proclamato da Giovanni Paolo I nello stesso giorno in cui morì, e anch’io l’ho frequentemente riaffermato durante il mio pontificato. E sono sicuro che i miei successori e i vostri successori manterranno questo insegnamento, finché Cristo ritorni nella gloria.
5. Tra le carte, che furono lasciate a me da Paolo VI, c’è una lettera scritta a lui da un Vescovo, in occasione della nomina di questo ultimo all’episcopato. È una lettera molto bella. In forma di proposito risolutivo, essa contiene una chiara affermazione del compito del Vescovo di salvaguardare e insegnare il deposito della dottrina cristiana, di proclamare l’intero mistero di Cristo. A motivo delle splendide intuizioni che essa presenta, mi piace comunicarvene uno stralcio.
Nel manifestare il suo impegno ad essere leale nell’obbedienza a Paolo VI e ai suoi successori, il Vescovo scriveva: “Sono deciso: ad essere fedele e costante nel proclamare il Vangelo di Cristo; a mantenere il contenuto della fede intero e incorrotto, come trasmesso dagli apostoli e professato dalla Chiesa in ogni tempo e luogo”.
E poi con uguale perspicacia, il Vescovo continuava a dire a Paolo VI che, con l’aiuto di Dio onnipotente, egli era determinato: “a edificare la Chiesa, come Corpo di Cristo, e a rimanere unito ad essa col vostro vincolo, con l’ordine dei Vescovi, sotto l’autorità del Successore di San Pietro Apostolo; a mostrare benevolenza e compassione nel nome del Signore per i poveri e per i forestieri e per quanti sono nel bisogno; a cercare le pecore smarrite e raccoglierle nell’ovile del Signore; a pregare incessantemente per il popolo di Dio, e ad adempiere i gravissimi obblighi del sacerdozio in maniera da non offrire alcun motivo di biasimo”.
Ecco l’edificante testimonianza di un Vescovo, di un Vescovo Americano, al ministero episcopale di santità e verità. Queste parole danno credito a lui e anche a tutti voi.
Un impegno per la nostra epoca – come per tutte le epoche nella Chiesa – è quello di portare il messaggio del Vangelo al centro della vita del nostro popolo, affinché esse possano vivere la piena verità della loro umanità, della loro Redenzione e della loro adozione in Gesù Cristo, affinché siano arricchite della “giustizia e santità di verità”.
6. Nell’esercizio del vostro ministero di verità, come Vescovi degli Stati Uniti, voi avete offerto collegialmente, mediante dichiarazioni e lettere pastorali, la parola di Dio al vostro popolo, mostrando la sua importanza per la vita quotidiana, mettendo in evidenza il potere che essa ha di elevare e sanare e al tempo stesso di sostenere le sue intrinseche esigenze. Tre anni fa voi avete fatto ciò in modo veramente speciale mediante una vostra Lettera Pastorale, che aveva un titolo tanto bello: “Vivere in Gesù Cristo”. Questa Lettera, nella quale avete offerto al vostro popolo il servizio della verità, contiene numerosi punti, ai quali desidero oggi far allusione. Con pietà, con comprensione e con amore, voi avete trasmesso un messaggio collegato con la Rivelazione e col mistero della fede. E così con grande carità pastorale voi avete parlato dell’amore di Dio, dell’umanità e del peccato, e del significato della redenzione e della vita in Cristo.
Voi avete parlato della parola di Cristo in quanto essa tocca gli individui, la famiglia, la comunità e le nazioni. Voi avete parlato di giustizia e di pace, di carità, di verità e di amicizia. E voi avete parlato di alcune speciali questioni, riguardanti la vita morale dei cristiani: nei suoi aspetti sia individuali sia sociali. Voi avete esplicitamente parlato del dovere della Chiesa di essere fedele alla missione affidatale. È proprio per questo motivo avete parlato di certi punti, che dovrebbero essere chiaramente riaffermati, dato che l’insegnamento cattolico nei loro riguardi è stato messo in dubbio, negato, o in pratica violato. Voi avete ripetutamente proclamato i diritti umani, la dignità umana e l’incomparabile valore della gente di qualunque origine razziale ed etnica, dichiarando che “l’antagonismo e la discriminazione razziale sono tra i mali più persistenti e dannosi del nostro Paese”. Voi avete rigettato con forza l’oppressione del debole, la manipolazione dell’indifeso, lo spreco dei beni e delle risorse, gli incessanti preparativi bellici, le strutture e la politica sociale ingiusta, ed ogni crimine compiuto e rivolto contro gli individui e contro la creazione.
Con la schiettezza dei Vangeli, la compassione di Pastori e la carità di Cristo, voi avete affrontato la questione dell’indissolubilità del matrimonio, affermando giustamente: “il patto tra un uomo e una donna uniti in matrimonio cristiano è tanto indissolubile e irrevocabile quanto l’amore di Dio per il suo popolo e l’amore di Cristo per la sua Chiesa”.
Esaltando la bellezza del matrimonio voi avete giustamente preso posizione sia contro la teoria della contraccezione sia contro gli atti contraccettivi, come fece l’Enciclica Humanae Vitae. E io stesso oggi con la stessa convinzione di Paolo VI ratifico l’insegnamento di questa Enciclica, emesso dal mio Predecessore “in virtù del mandato affidatoci da Cristo” (Paolo VI, Humanae Vitae: AAS 60 [1968] 485).
Descrivendo l’unione sessuale tra marito e moglie come una speciale espressione del loro patto di amore, voi avete giustamente affermato: “Il rapporto sessuale è un bene umano e morale soltanto nell’ambito del matrimonio: fuori del matrimonio esso è immorale”.
Come uomini che hanno “parole di verità e la potenza di Dio” (2Cor 6,7), come autentici maestri della legge di Dio e pastori compassionevoli, voi avete anche giustamente affermato: “Il comportamento omosessuale... in quanto distinto dall’orientamento omosessuale, è moralmente disonesto”. Nella chiarezza di questa verità, voi avete esemplificato l’effettiva carità di Cristo; voi non avete tradito coloro i quali, a motivo dell’omosessualità, si trovano di fronte a difficili problemi morali, come invece sarebbe successo se, in nome della comprensione e della compassione, o per qualunque altra ragione, aveste suscitato una falsa speranza per qualunque fratello o sorella. Piuttosto, con la vostra testimonianza alla verità dell’umanità secondo il piano di Dio, voi avete realmente manifestato amore fraterno, incoraggiando la vera dignità, la vera dignità umana di coloro che guardano alla Chiesa di Cristo per la norma che viene dalla parola di Dio.
Voi avete anche dato testimonianza alla verità, servendo così tutta l’umanità, quando, facendo eco all’insegnamento del Concilio (“a partire dal concepimento la vita dev’essere garantita con la massima cura” (Gaudium et Spes, 51)), avete anche riaffermato il diritto alla vita e la inviolabilità di ogni vita umana, inclusa la vita dei bambini non ancora nati. Voi avete chiaramente detto: “Uccidere questi bambini innocenti non ancora nati è un crimine indicibile... Il loro diritto alla vita deve essere riconosciuto e pienamente protetto dalla legge”.
E come avete difeso i bambini non ancora nati secondo la verità del loro essere, così avete anche chiaramente parlato in favore degli anziani, asserendo che “l’eutanasia o l’uccisione per pietà... è un grave male morale... Tale uccisione è incompatibile col rispetto per la dignità umana e la venerazione per la vita”.
Nel nostro pastorale interessamento per il vostro popolo in tutti i suoi bisogni (inclusi la casa, l’educazione, la salute, l’impiego e l’amministrazione della giustizia) voi avete dato ulteriore testimonianza al fatto che tutti gli aspetti della vita umana sono sacri. Voi avete proclamato, infatti, che la Chiesa non abbandonerà mai l’uomo né le sue necessità temporali, in quanto essa guida l’umanità alla salvezza e alla vita eterna. E poiché il più grande atto di fedeltà della Chiesa all’umanità e il suo “compito fondamentale di tutte le epoche e, in modo particolare, della nostra, è di dirigere lo sguardo dell’uomo, di indirizzare la coscienza e l’esperienza di tutta l’umanità verso il mistero di Cristo” (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 10), perciò voi avete giustamente fatto allusione alla vita eterna. In effetti, è in questa proclamazione della vita eterna che noi suscitiamo un grande motivo di speranza per il nostro popolo. Contro gli attacchi del materialismo, contro il dilagante secolarismo, contro il permissivismo morale.
7. Un senso di pastorale responsabilità è stato pure espresso da singoli Vescovi nel loro ministero come pastori locali. A tutto credito dei loro Autori, io vorrei citare solo due esempi recenti di Lettere Pastorali pubblicate negli Stati Uniti. Ambedue sono esempi di responsabili iniziative pastorali. Una di esse tratta della questione del razzismo, denunciandolo vigorosamente. L’altra si riferisce alla omosessualità e tratta la questione, come dovrebbe essere fatto, con chiarezza e grande carità pastorale, rendendo così un reale servizio alla verità e a coloro che sono in cerca di questa verità liberante.
Fratelli in Cristo: se proclamiamo la verità nell’amore, non è possibile per noi evitare ogni critica; né è possibile piacere a tutti. Ma è possibile lavorare realmente per il bene di ciascuno. Perciò siamo umilmente convinti che Dio è con noi nel nostro ministero di verità e che egli “non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore, di saggezza”) (2Tm 1,7).
Uno dei più grandi diritti dei fedeli è di ricevere la Parola di Dio nella sua purezza e integrità, qual è garantita dal Magistero della Chiesa universale; il Magistero autentico dei Vescovi della Chiesa cattolica, i quali insegnano in unione col Papa. Cari Fratelli: possiamo essere sicuri che lo Spirito Santo ci assiste nel nostro insegnamento, se restiamo assolutamente fedeli al Magistero universale.
A questo riguardo vorrei aggiungere un punto estremamente importante, che ho recentemente sottolineato parlando ad un gruppo di Vescovi nella loro visita “ad limina”: “Nella comunità dei fedeli, che deve sempre mantenere l’unità cattolica con i Vescovi e la Sede Apostolica, ci sono molte intuizioni di fede. Lo Spirito Santo è attivo nell’illuminare le menti dei fedeli con la sua verità, e nell’infiammare i loro cuori col suo amore.
Ma queste intuizioni di fede e questo “sensus fidelium” non sono indipendenti dal magistero della Chiesa, che è uno strumento dello stesso Spirito Santo ed è assistito da lui. Solo quando i fedeli sono stati nutriti dalla Parola di Dio, fedelmente trasmessa nella sua purezza e integrità, i loro carismi propri diventano pienamente operativi e fecondi.
Quando la Parola di Dio è fedelmente proclamata alla Comunità ed è accolta, essa produce in abbondanza frutti di giustizia e santità di vita. Ma il dinamismo della Comunità nel comprendere e nel vivere la Parola di Dio dipende dal ricevere intatto il “depositum fidei”, a questo scopo preciso è stato dato alla Chiesa uno speciale carisma apostolico e pastorale. È l’unico e medesimo Spirito di verità che dirige i cuori dei fedeli e garantisce il magistero dei pastori del gregge”.
8. Una delle più grandi verità, di cui noi siamo umili custodi, è la dottrina dell’unità della Chiesa, quella unità che è offuscata sul volto umano della Chiesa da ogni forma di peccato, ma che sussiste indistruttibile nella Chiesa Cattolica (cf. Lumen Gentium, 8; Unitatis Redintegratio, 2-3). La coscienza del peccato ci chiama incessantemente alla conversione. La volontà di Cristo ci stimola a lavorare seriamente e costantemente per l’unità con tutti i nostri fratelli cristiani, essendo consapevoli che l’unità da noi cercata è quella della perfetta fede, una unità nella verità e nell’amore. Dobbiamo pregare e studiare insieme, sapendo tuttavia che l’intercomunione tra cristiani divisi non è la risposta alla chiamata di Cristo per la perfetta unità. Con l’aiuto di Dio noi vogliamo continuare a lavorare umilmente e risolutamente per rimuovere le effettive divisioni, che ancora esistono, e restaurare così quella piena unità nella fede che è la condizione per partecipare all’Eucaristia (cf. Giovanni Paolo II, Allocutio, 4 maggio 1979). La consegna del Concilio Ecumenico appartiene a ciascuno di noi; così anche il Testamento di Paolo VI afferma circa l’ecumenismo: “Si prosegua l’opera di avvicinamento con i fratelli separati, con molta comprensione, con molta pazienza, con grande amore; ma senza deflettere dalla vera dottrina cattolica”.
9. In quanto Vescovi, che sono servitori della verità, noi siamo anche chiamati ad essere servitori dell’unità, nella comunione con la Chiesa.
Nella comunione della santità, noi stessi siamo chiamati, come ho ricordato sopra, alla conversione, così da poter predicare con forza convincente il messaggio di Gesù: “Riformate le vostre vite e credete nel Vangelo”. Noi abbiamo uno speciale compito da svolgere nel salvaguardare il Sacramento della Riconciliazione, così che, nella fedeltà ad un precetto divino, noi e il nostro popolo possiamo sperimentare nel nostro intimo più profondo che la grazia ha sovrabbondato più del peccato (cf. Rm 5,20). Da parte mia, ratifico l’invito profetico di Paolo VI, che stimolava con urgenza i Vescovi ad aiutare i loro Presbiteri a “comprendere in profondità quanto essi collaborano da vicino, mediante il Sacramento della Penitenza, col Salvatore nell’opera della conversione” (Paolo VI, Allocutio, 20 aprile 1978). A questo proposito, confermo di nuovo le norme della “Sacramentum paenitentiae”, che così saggiamente sottolineano la dimensione ecclesiale del Sacramento della Penitenza e indicano i limiti precisi dell’Assoluzione Generale, come fece Paolo VI nella sua Allocuzione ai Vescovi americani in visita “ad limina”.
La conversione nella sua vera natura è la condizione per quella unione con Dio, che raggiunge la sua massima espressione nell’Eucaristia. La nostra unione con Cristo nell’Eucaristia presuppone, a sua volta, che i nostri cuori siano tesi alla conversione, che essi siano puri. Questa, in verità, è parte importante della nostra predicazione al popolo. Nella mia Enciclica ho cercato di esprimere queste cose con le seguenti parole: “Cristo, che invita al banchetto eucaristico, è sempre lo stesso Cristo che esorta alla penitenza, che ripete il “Convertitevi”. Senza questo costante e sempre rinnovato sforzo per la conversione, la partecipazione all’Eucaristia sarebbe priva della sua piena efficacia redentrice” (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 20). Di fronte ad un diffuso fenomeno del nostro tempo, secondo cui molti tra il nostro popolo che ricevono la Comunione fanno scarso uso della Confessione, dobbiamo sottolineare l’invito fondamentale di Cristo alla conversione. Dobbiamo anche ribadire che l’incontro personale con Gesù che perdona nel Sacramento della Riconciliazione è un mezzo divino, che tiene desta nei nostri cuori e nelle nostre comunità una coscienza del peccato nella sua perenne e tragica realtà, e che effettivamente produce, con l’azione di Gesù e il potere del suo Spirito, frutti di conversione nella giustizia e nella santità della vita. Con questo Sacramento noi veniamo rinnovati nel fervore, rafforzati nelle nostre risoluzioni e sostenuti dal divino incoraggiamento.
10. Come guide scelte in una comunità di lode e di preghiera, è nostro gaudio particolare offrire l’Eucaristia e dare al nostro popolo il senso della sua vocazione in quanto popolo pasquale, che ha l’“alleluia” come canto proprio. Dobbiamo sempre ricordare che il valore di ogni evento liturgico e l’efficacia di ogni segno liturgico presuppone il grande principio, secondo cui la liturgia cattolica è teocentrica e che è soprattutto “l’adorazione della maestà divina” (cf. Sacrosanctum Concilium, 33) in unione a Gesù Cristo. Il nostro popolo ha un senso soprannaturale, per il quale guarda con venerazione ad ogni liturgia, specialmente a ciò che riguarda il mistero dell’Eucaristia. Con fede profonda il nostro popolo comprende che l’Eucaristia, nella Messa e al di fuori della Messa, è il Corpo e il Sangue di Cristo, e perciò è degna dell’adorazione data al Dio vivente e a lui solo.
Come ministri di una comunità di servizio, è nostro privilegio proclamare la verità dell’unione di Cristo con i suoi membri nel suo Corpo che è la Chiesa. Quindi raccomandiamo ogni servizio reso nel suo nome e ai suoi fratelli (cf. Mt 25,45).
In una comunità di testimonianza e di evangelizzazione possa questa essere limpida e senza biasimo. A questo riguardo la stampa cattolica e gli altri mezzi di comunicazione sociale sono chiamati a compiere una speciale funzione di grande dignità al servizio della verità e della carità. Lo scopo della Chiesa nell’usare e nel patrocinare questi mezzi è collegato con la sua missione di evangelizzazione e di servizio all’umanità; attraverso tali mezzi la Chiesa spera di promuovere sempre più efficacemente l’edificante messaggio del Vangelo.
11. Ogni Chiesa locale, alla quale voi presiedete e che voi servite, è una comunità fondata sulla Parola di Dio e agente nella verità di questa Parola. È nella fedeltà alla comunione con la Chiesa universale che è autentica e resa stabile l’unità locale. Nella comunione con la Chiesa universale le Chiese locali trovano sempre più chiaramente la loro propria identità e il loro arricchimento. Ma tutto ciò richiede che le Chiese singole conservino una totale apertura alla Chiesa universale.
Questo è il mistero che noi oggi celebriamo, proclamando la santità e la verità e l’unità del ministero episcopale. Fratelli: questo nostro ministero ci rende responsabili di fronte a Cristo e alla sua Chiesa. Gesù Cristo, il grande Pastore (1Pt 5,4), ci ama e ci sostiene. È lui che trasmette la parola del Padre suo e ci consacra nella verità, così che ciascuno di noi possa dire a sua volta del nostro popolo: “Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità” (Gv 17,19).
Preghiamo e dedichiamo una speciale energia a promuovere e a mantenere le vocazioni al sacro Presbiterato, così che la cura pastorale del ministero sacerdotale possa essere assicurata per le generazioni future. Vi chiedo di fare appello ai genitori e alle famiglie, ai Preti, ai Religiosi e ai Laici per unirsi nell’adempiere questa vitale responsabilità dell’intera Comunità. E ai giovani stessi teniamo desta la sfida della sequela di Cristo e dell’abbracciare il suo invito con piena generosità.
E poiché noi stessi perseguiamo ogni giorno la giustizia e la santità nate dalla verità, guardiamo a i Maria, Madre di Gesù, Regina degli Apostoli e Causa della nostra letizia. Santa Francesca Saveria Cabrini, Santa Elisabetta Ann Seton e San Giovanni Neumann preghino per noi e per tutto il popolo che siete chiamati a servire in santità e nell’unità di Cristo e della sua Chiesa.
Cari Fratelli: “La grazia sia con tutti quelli che amano il Signore nostro Gesù Cristo, con amore incorruttibile” (Ef 6,24).
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