PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO IN BRASILE
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL CONSIGLIO EPISCOPALE LATINO-AMERICANO
Rio de Janeiro, 2 luglio 1980
Venerabili e amati fratelli nell’episcopato.
Nel contesto della mia visita pastorale in Brasile vengo con vera gioia a questo incontro con voi, Vescovi dell’America latina, che siete riuniti in questa bella e accogliente città di Rio de Janeiro, dove nacque il Celam.
Nascita del Celam: le sue tappe
1. Sono passati 25 anni da quella conferenza del 1955, durante la quale è maturata l’idea di chiedere alla santa Sede la creazione di un consiglio episcopale latino-americano, che raccogliesse e incanalasse i nuovi bisogni che si sentivano a così ampio livello.
Con grande visione del futuro e con gioiosa speranza davanti agli abbondanti frutti ecclesiali che si annunciavano, il mio predecessore Pio XII anticipava una favorevole risposta: “Nutriamo l’indubbia speranza che i benefici ora ricevuti saranno un giorno restituiti immensamente, moltiplicati. Verrà il giorno nel quale l’America latina potrà restituire a tutta la Chiesa di Cristo quello che ha ricevuto” (Pio XII, Ad Ecclesiam Christi: AAS 47 [1955] 539-544).
Oggi, io successore di Pietro e voi rappresentanti della Chiesa in America latina, che si avvicina ad essere la metà di tutta la Chiesa di Cristo, ci riuniamo per commemorare una data significativa e valutare i risultati con sguardo al futuro.
Davanti ai frutti copiosi raccolti in questi anni, nonostante le inevitabili deficienze e lacune; davanti a questa Chiesa latino-americana, vera Chiesa della speranza, il mio animo si apre alla gratitudine verso il Signore con le parole di san Paolo: “Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo” (1Ts 1,2-4).
È la gratitudine che sgorga pure dai vostri cuori di pastori, perché lo Spirito Santo, anima della Chiesa, ispirò nel momento giusto quella nuova forma di collaborazione episcopale che la nascita del Celam ha consolidato.
2. Organismo primo nel suo genere in tutta la Chiesa per la sua dimensione continentale, pioniere come espressione della collegialità quando le conferenze episcopali non si erano ancora consolidate, strumento di contatto, riflessione, collaborazione e servizio delle conferenze dei Vescovi del continente latino-americano, il Celam ha consegnato nei suoi annali una ricca e vasta azione pastorale. Per tutto questo, a ragione i pontefici miei predecessori l’hanno giudicato un organismo provvidenziale.
3. La vita del Celam è incorniciata, come si sa, da tre grandi momenti, corrispondenti alle conferenze generali celebrate dall’episcopato latino-americano.
La prima conferenza generale costituisce una realtà storica di particolare importanza, perché durante il suo svolgimento sorse l’idea di fondare il Celam. Questa prima tappa è legata in modo speciale alle persone dei Cardinale Jaime de Barros Camara, Arcivescovo insigne di questa arcidiocesi di San Sebastian di Rio de Janeiro, primo presidente del Celam, e di monsignor Manuel Larrain, Vescovo di Talca, pure presidente del consiglio. Il Signore li ricompensi, essi che si trovano nella casa del Padre, e ricompensi quanti resero possibile la creazione del consiglio episcopale latino-americano o l’hanno servito con encomiabile e generoso impegno.
La seconda conferenza generale, convocata dal Papa Paolo VI e celebrata a Medellin, riflette un momento di espansione e di crescita del Celam. Aveva come tema: “La Chiesa nell’odierna trasformazione dell’America latina alla luce del Concilio Vaticano II”. Il consiglio, in stretta collaborazione con gli episcopati, ha contribuito all’applicazione della forza rinnovatrice del Concilio.
La terza conferenza generale, che ho avuto la fortuna di inaugurare a Puebla, è frutto dell’intensa collaborazione del Celam con le diverse conferenze episcopali. Ne parlerò più avanti.
4. In tappe successive si è verificato un progressivo adattamento delle strutture del consiglio e sono state stabilite o potenziate nuove forme di partecipazione da parte dei Vescovi, per i quali è e lavora il Celam. Le conferenze episcopali in quanto tali sono state presenti, fin dall’inizio, tramite i loro delegati; e, a partire dal 1971, anche con i loro presidenti, membri di diritto. Molto hanno guadagnato le forme di coordinazione grazie alle riunioni regionali e con i nuovi servizi distribuiti nelle diverse aree pastorali. Numerosi pastori hanno preso parte alla sua gestione convinti che la loro grande missione supera, nella sollecitudine per tutte le Chiese, le frontiere delle loro Chiese particolari (cf. Christus Dominus, 6).
Mi è gradito constatare che è stata mantenuta una frequente e cordiale collaborazione con la sede apostolica e con i diversi dicasteri, in modo particolare con la pontificia commissione per l’America latina, la quale, dal cuore della Chiesa - secondo la felice immagine usata da Paolo VI (“Sollecitudo omnium ecclesiarum”) - segue con diligente interesse le attività del consiglio incoraggiando e sostenendo le sue iniziative in vista di una maggiore efficienza in tutti i settori dell’apostolato.
Uno spirito al servizio dell’unità
Se tutto questo è stato possibile durante questi 25 anni, è perché il Celam è stato animato da un orientamento fondamentale di servizio, che ha caratteristiche ben definite:
1. Il Celam, uno spirito.
Il Celam, nel suo spirito collegiale, prende nutrimento dalla comunione con Dio e con i membri della Chiesa. Per questo ha voluto mantenersi fedele e disponibile alla parola di Dio, alle esigenze di comunione nella Chiesa, e ha procurato di servire le diverse comunità ecclesiali nel rispetto della loro situazione specifica e della fisionomia particolare di ciascuna di esse. Si è impegnata nel discernimento dei segni dei tempi, per dare risposte adeguate alle mutevoli sfide del momento. Questo spirito è la maggior ricchezza e il maggior patrimonio del Celam ed è insieme la garanzia del suo futuro.
2. Il Celam, servizio all’unità.
La Chiesa è un mistero di unità nello Spirito. È l’anelito che emerge dalla preghiera di Gesù: “Che tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21). Perciò anche san Paolo esorta a “conservare” l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti...” (Ef 4,3-6).
Orbene, questa unità non consiste in qualcosa ricevuto passivamente o staticamente, ma deve essere costruito dinamicamente, per consolidarlo in questa ricca e misteriosa realtà ecclesiale, che è indispensabile premessa della sua fecondità pastorale. È questo l’atteggiamento che caratterizza la primitiva comunità ecclesiale: “Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore” (At 2,46-47). “La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32). E così “il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati” (At 2,48).
Perciò, quanto più gravi sono i problemi, tanto più profonda deve essere l’unità con il capo visibile della Chiesa e dei pastori tra loro. La sua unità è un segno prezioso per la comunità. Soltanto così si conseguiranno efficacemente i frutti dell’evangelizzazione. Questo è il motivo per cui con vera gioia osservai, nell’approvare le conclusioni di Puebla: “La Chiesa dell’America latina è stata rinvigorita nella sua unità, nella sua propria identità” (Giovanni Paolo II, Epistula, die 23 martii 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II [1979] 700).
3. L’unità “nello Spirito”, una unità di fede.
Essa trova infatti la sua origine nel mistero della Chiesa, costruita sulla volontà del Padre, mediante l’opera salvifica del Figlio, nello Spirito. È una unione che poi discende ai membri della comunità ecclesiale, associati tra loro in maniera sublime dai vincoli di fede, sostenuti dalla speranza e vivificati dalla carità. A noi è affidata la grave responsabilità di tutelare efficacemente questa unità nella vera fede.
Il primo servizio del successore di Pietro è quello di proclamare la fede della Chiesa: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Il Papa, come successore di Pietro, deve confermare in essa i suoi fratelli (cf. Lc 22,31). Da parte vostra, anche voi, pastori della Chiesa, dovete confermare nella fede le vostre comunità.
Questa deve essere la vostra permanente preoccupazione, ben consapevoli che si tratta di una esigenza fondamentale della vostra missione, lasciandovi guidare dai criteri del Vangelo e senza altre motivazioni ad esso estranee. Così potrete orientare con chiarezza i fedeli ed evitare pericolosi confusionismi.
Che la vostra unità continui a nutrirsi della carità che emana dall’eucarestia, radice e cardine della comunità cristiana (cf. Presbyterorum Ordinis, 6), segno e causa di unità. È poi evidente che questa unione che deve esistere tra voi, i Vescovi della Chiesa, deve pure riflettersi nei diversi settori ecclesiali: presbiteri, religiosi, laici.
4. L’unità dei presbiteri con i Vescovi scaturisce dalla medesima fraternità sacramentale. Giustamente avete affermato nella conferenza di Puebla: “Il ministero gerarchico, segno sacramentale di Cristo pastore e capo della Chiesa, è il principale responsabile dell’edificazione della Chiesa nella comunione e del dinamismo della sua azione evangelizzatrice” (Puebla, 659). E aggiungevate: “Il Vescovo è segno e costruttore dell’unità. Esercita evangelicamente la sua autorità a servizio dell’unità..., infonde fiducia nei suoi collaboratori, specie nei presbiteri per i quali dev’essere padre, fratello e amico (Puebla, 688).
Con questo spirito si deve continuare a stimolare e a fortificare l’unità nel lavoro pastorale, nei diversi centri di comunione e partecipazione nella parrocchia, nella comunità educativa, nelle comunità minori.
5. L’unione con la gerarchia di coloro che hanno abbracciato la vita consacrata ha una grande importanza. Tanti aspetti positivi segnalati a Puebla, come “il desiderio di interiorizzazione e approfondimento del modo di vivere la fede” (Puebla, 726) e l’insistenza affinché “la preghiera riesca a divenire atteggiamento di vita”, (Puebla, 727); lo sforzo di solidarietà, di condivisione con il povero, devono essere visti nella prospettiva di una piena comunione.
In questo modo la vita consacrata è “mezzo privilegiato per una evangelizzazione efficace” (Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 69). Perciò nel mio discorso inaugurale della III Conferenza generale segnalavo che ai Vescovi “non deve mancare la collaborazione, in pari tempo responsabile e attiva, ma anche docile e fidente dei religiosi” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad III Coetum Generalem Episcoporum Americae Latinae, II,2, die ian. 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II [1979] 201).
Appartiene ai Vescovi l’orientamento dottrinale e il coordinamento dell’azione pastorale. Perciò tutti coloro che svolgono apostolato devono assecondare, generosamente e responsabilmente, le direttrici indicate dalla gerarchia. tanto in campo dottrinale quanto nelle attività ecclesiali. Questo si applica alla competenza dei vescovi nella loro Chiesa particolare e, secondo i principi di una sana ecclesiologia, alle conferenze episcopali o, nella dovuta misura, al servizio prestato dal Celam. D’altra parte è evidente che una attenta cura per il bene spirituale dei religiosi e delle religiose deve brillare nella pastorale diocesana o sopradiocesana.
6. La comunione ecclesiale con i pastori non può nemmeno mancare in un campo tanto importante com’è il mondo dei laici. La Chiesa ha bisogno del formidabile contributo del laico, il cui raggio d’azione è molto ampio.
La conferenza di Puebla ha insistito sul fatto che il laico “ha la responsabilità di ordinare le realtà temporali per porle al servizio dell’instaurazione del regno di Dio” (Puebla, 789) e che “i laici non possono esimersi da un serio impegno per la promozione della giustizia e del bene comune” (Puebla, 793). Con speciale accento sull’attività politica (cf. Puebla, 791), il laico deve promuovere la difesa della dignità dell’uomo e dei suoi diritti inalienabili (cf. Puebla, 792).
In questa missione propria dei laici, si deve lasciare ad essi il posto che loro compete, soprattutto nella militanza e leadership dei partiti politici, o nell’esercizio di cariche pubbliche (cf. Puebla, 791). È un criterio solido, che si ispira alla conferenza di Medellin (cf. Sacerdotes, 19) e al Sinodo dei Vescovi del 1971, quello che avete indicato: “I pastori..., dovendosi occupare dell’unità, si spoglieranno d’ogni ideologia politico-partitica... Avranno in tal modo la libertà per evangelizzare il politico sull’esempio di Cristo, partendo da un Vangelo scevro da partitismi e ideologizzazioni” (Puebla, 526). Sono direttive, queste, di dense conseguenze pastorali.
7. La ricerca dell’unità ecclesiale ci conduce al cuore dell’ecumenismo: “E ho altre pecore che non sono di questo ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore” (Gv 10,16). Bisogna collocare in questa prospettiva il dialogo ecumenico, che in America latina riveste caratteristiche speciali. La preghiera, la fiducia, la fedeltà devono essere il clima dell’ecumenismo autentico. Il dialogo tra fratelli di confessioni diverse non cancella la nostra propria identità, ma la suppone. So bene che voi vi sforzate per creare un’atmosfera di maggiore avvicinamento e rispetto, ostacolata da alcuni che ricorrono a metodi di proselitismo non sempre corretti.
8. L’unità della Chiesa, al servizio dell’unità dei popoli.
La Chiesa si iscrive nella realtà dei popoli: nella loro cultura, nella loro storia, nel ritmo del loro sviluppo. Vive, profondamente solidale, i dolori dei suoi figli, condividendo le loro difficoltà e assumendo le loro legittime aspirazioni. In tali situazioni annuncia il messaggio di salvezza che non conosce frontiere né discriminazioni.
La Chiesa è cosciente di essere portatrice della parola efficace di Dio, parola che creò l’universo e che è capace di ricreare nel cuore dell’uomo e nella società, ai suoi diversi livelli, atteggiamenti e condizioni in cui si possa operare la civiltà dell’amore. Con questa finalità, il documento di Puebla fu presentato ufficialmente all’Onu e all’organizzazione degli Stati americani.
In virtù dell’annuncio del Vangelo, quando l’uomo è schiacciato nella sua eminente dignità, quando si mantiene o prolunga la sua prostrazione, la Chiesa denuncia. Fa parte del suo servizio profetico. Denuncia tutto ciò che si oppone al piano di Dio e impedisce la realizzazione dell’uomo. Denuncia in difesa dell’uomo ferito nei suoi diritti, affinché si risanino le sue ferite e si suscitino atteggiamenti di vera conversione.
Servendo la causa della giustizia, la Chiesa non intende provocare o approfondire divisioni, inasprire conflitti o potenziarli. Bensì, con la forza del Vangelo la Chiesa aiuta a vedere e a rispettare in ogni uomo un fratello, invita al dialogo le persone, i gruppi e i popoli, perché si salvaguardi la giustizia e si preservi l’unità. In certe circostanze giunge a fare anche da mediatrice. È anche questo un servizio profetico.
Perciò, quando nell’esercizio della propria missione sente il dovere della denuncia, la Chiesa si conforma alle esigenze del Vangelo e dell’essere umano, senza servire interessi di sistemi economici o politici né ideologie del conflitto. Essa, al di sopra di gruppi o classi sociali, denuncia l’incitamento a qualsiasi forma di violenza, il terrorismo, la repressione, le lotte di classe, le guerre, con tutti i loro orrori.
Davanti al doloroso flagello della guerra e della corsa agli armamenti, che producono crescente sottosviluppo, alzi la Chiesa in America latina e in ciascuno dei popoli generati al Vangelo, il grido del venerato Papa Paolo VI: “Non più la guerra!”. Di questo grido io stesso mi sono fatto eco davanti all’assemblea delle Nazioni Unite. Che non si aggiungano alle penose situazioni nuovi conflitti, che aggravano la condizione di prostrazione, soprattutto dei più poveri.
La Chiesa, come dimostra la storia con eloquenti esempi, è stata in America latina il più vigoroso fattore di unità e di incontro tra i popoli. Continuate dunque, diletti pastori, a dare tutto il vostro contributo alla causa della giustizia, di una ben intesa integrazione latino-americana, come un servizio all’unità pieno di speranza. E in questo compito di far talora sentire la vostra voce critica, soprattutto in un servizio collegiale del bene comune, continuino sempre a dirigere i vostri gesti la rigorosa oggettività e il giusto momento, affinché nell’ossequio dovuto alle legittime istanze, la voce della Chiesa interpelli le coscienze, tuteli le persone e la loro libertà, reclami i dovuti interventi.
Il Celam e Puebla sull’orma di Medellin
1. In questa occasione nella quale guardiamo ai passati 25 anni del Celam, per proiettarli verso il futuro, vanno ricordate due conferenze ugualmente importanti e significative: Medellin e Puebla.
Ringraziamo Dio per quanto esse hanno dato alla Chiesa. La prima “ha voluto essere un impulso di rinnovamento pastorale, un nuovo “spirito” di fronte al futuro, in piena fedeltà ecclesiale nell’interpretazione dei segni dei tempi in America latina”, (Giovanni Paolo II, Homilia in Basilica B.M.V. a Guadalupe habita, die 27 ian. 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II [1979] 162-163). Perciò io stesso vi dicevo che doveva “prendere come punto di partenza le conclusioni di Medellin, con tutto quanto hanno di positivo, ma senza ignorare che a volte hanno avuto errate interpretazioni e che esigono sereno discernimento, opportuna critica e chiare prese di posizione” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad III Coetum Generalem Episcoporum Americae Latinae, die 28 ian. 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II [1979] 189).
La seconda raccolse e assunse l’eredità della precedente, nel nuovo contesto ecclesiale. È questo presente che ci occupa come pastori. Ma nel voler orientare il momento presente, siamo ben consapevoli che in esso rivive, fornendogli radici e ispirazione, il passato. In questo senso permettetemi che mi riferisca ancora in modo speciale ad alcuni aspetti riguardanti la conferenza di Puebla.
Lo considero tanto più importante in quanto so bene che nel Celam, nelle sue riunioni regionali e in non poche conferenze episcopali, i grandi orientamenti della III conferenza generale sono stati assunti nei loro propri piani pastorali. La medesima cosa si osserva nelle relazioni quinquennali di molte diocesi.
Mi ha rallegrato molto la rapida diffusione e penetrazione nelle comunità dell’America latina, e fuori di essa, del documento di Puebla. Speravo che così avvenisse. Infatti la conferenza di Puebla, come ho detto in altre occasioni, in un certo modo è una risposta che oltrepassa le frontiere di questo amato continente.
Al documento di Puebla, che conobbi nei dettagli e approvai con gioia dopo la precisazione di alcuni concetti, sono ricorso frequentemente negli incontri avuti durante le vostre visite “ad limina”. Ho voluto in questa maniera sottolineare i suoi densi orientamenti dottrinali e pastorali.
2. Insistetti, all’inizio della conferenza, sulla vostra nobile missione di maestri della verità.
Ci sarà nell’approccio pastorale con le nostre comunità, una forma di presenza che il popolo ami di più di questa di maestri? Potrebbe una autentica azione pastorale, o un genuino rinnovamento ecclesiale, fondarsi su fondamenti differenti da quelli della verità su Gesù Cristo, sulla Chiesa e sull’uomo, quali noi li professiamo? La coerenza davanti a queste verità pone il sigillo pastorale alle direttive e opzioni che la conferenza ha formulato. A queste verità avete prestato grande attenzione, come si vede nei vari capitoli del documento.
3. Avete affrontato, infatti, seri problemi di cristologia ed ecclesiologia, che erano stati sollecitati dagli stessi episcopati e che causano preoccupazioni anche tra voi.
La fedeltà alla fede della Chiesa riguardo alla persona e alla missione di Gesù Cristo ha una importanza capitale, con enormi ripercussioni pastorali. Continuate dunque ad esigere un impegno di coerenza nell’annuncio del “Redemptor Hominis”. Che questa fedeltà risplenda nella predicazione, nelle sue diverse forme, nella catechesi, in tutta la vita del Popolo di Dio.
4. La Chiesa è per il credente oggetto di fede e di amore. Uno dei segni del reale impegno nei confronti della Chiesa è il rispettare sinceramente il suo magistero, fondamento della comunione. Non si può accettare la contrapposizione che a volte si fa tra una Chiesa “ufficiale”, “istituzionale”, e la Chiesa-comunione. Non sono, non possono essere realtà separate. Il vero credente sa che la Chiesa è Popolo di Dio in ragione della convocazione in Cristo e che tutta la vita della Chiesa è determinata dall’appartenenza al Signore. È un “popolo” eletto, scelto da Dio.
5. Attenzione particolare merita il lavoro dei teologi. Questo ministero è un nobile servizio, che la stragrande maggioranza compie con fedeltà. Il suo lavoro implica un fermo atteggiamento di fede. Insieme con la libertà di investigazione, la comunicazione orale o scritta delle sue investigazioni e riflessioni deve farsi con ogni senso di responsabilità, in accordo con i diritti e i doveri che competono al magistero, posto da Dio per guidare nella fede tutto il popolo fedele.
6. La conferenza di Puebla ha voluto essere anche una grande opzione per l’uomo. Non si può contrapporre servizio di Dio e servizio degli uomini, diritto di Dio e diritto degli uomini. Servendo il Signore, impegnando la nostra vita nel dire che “crediamo in un solo Dio”, che “Gesù è il Signore” (1Cor 12,3; Rm 10,9; Gv 20,28), facciamo un taglio netto con tutto quello che pretenda erigersi in assoluto, e distruggiamo gli idoli del denaro, del potere, del sesso, di quelli che si nascondono nelle ideologie, “religioni laiche” con ambizione totalitaria.
Il riconoscimento della signoria di Dio porta la scoperta della realtà dell’uomo. Riconoscendo il diritto di Dio, saremo capaci di riconoscere il diritto degli uomini. “Dell’uomo in tutta la sua verità, nella sua piena dimensione..., di ciascun uomo, perché ognuno è stato compreso nel mistero della redenzione, e con ognuno Cristo si è unito per sempre...” (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 13).
7. Data la realtà di tanto vasti settori colpiti dalla miseria e davanti alla frattura esistente tra ricchi e poveri - che segnalai all’inizio delle storiche giornate di Puebla - avete giustamente invitato alla opzione preferenziale per i poveri, non esclusiva né escludente (cf. Puebla, 1145. 1165). I poveri sono, infatti, i prediletti di Dio (cf. Puebla, 1143). Nel volto dei poveri si riflette Cristo, il servo di Jahvé. “La loro evangelizzazione è per eccellenza segno e prova della missione di Gesù” (cf. Puebla, 1142). Giustamente avete indicato che “il miglior servizio al fratello è l’“evangelizzazione che lo dispone a realizzarsi come figlio di Dio, lo libera dalle ingiustizie e lo promuove integralmente” (Puebla, 1145). È, quindi, un’opzione che esprime l’amore di predilezione della Chiesa, entro la sua universale missione evangelizzatrice e senza che alcun settore rimanga escluso dalle sue attenzioni.
Tra gli elementi di una pastorale che porta il contrassegno della predilezione per i poveri emergono: l’interesse per una predicazione solida e accessibile; per una catechesi che abbracci tutto il messaggio cristiano; per una liturgia che rispetti il senso del sacro ed eviti i rischi di strumentalizzazione politica; per una pastorale familiare che difenda il povero da campagne ingiuste che offendono la sua dignità, per l’educazione, facendo sì che raggiunga i settori meno favoriti; per la religiosità popolare, nella quale si esprime la stessa anima dei popoli.
Un aspetto dell’evangelizzazione dei poveri consiste nel rinvigorire un’attiva preoccupazione sociale. La Chiesa ha sempre avuto questa sensibilità e oggi tale coscienza rinvigorisce: “La nostra condotta sociale è parte integrante della nostra sequela di Cristo” (Puebla, 476). A questo proposito in ossequio alle direttive che vi diedi all’inizio della conferenza di Puebla, avete sottolineato, amati fratelli, la validità e necessità della dottrina sociale della Chiesa, il cui “oggetto primario... è la dignità personale dell’uomo, immagine di Dio, e la tutela di tutti i suoi diritti inalienabili” (Puebla, 475).
Un aspetto concreto dell’evangelizzazione e che deve rivolgersi soprattutto a coloro che godono di mezzi economici - affinché collaborino con quelli più bisognosi - è la retta concezione della proprietà privata, sulla quale “grava un’ipoteca sociale” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad III Coetum Generalem Episcoporum Americae Latinae, III,4, die 28 ian. 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II [1979] 204). Tanto a livello internazionale come all’interno di ciascun paese, quelli che possiedono i beni devono essere molto attenti ai bisogni dei loro fratelli. È un problema di giustizia e di umanità. Anche di visione del futuro, se si vuole preservare la pace delle nazioni.
Per questo esprimo la mia compiacenza per il messaggio inviato da Puebla ai popoli dell’America latina e ho insieme fiducia che il “servizio operativo dei diritti umani” del Celam si farà eco della voce della Chiesa dove lo reclamino situazioni di ingiustizia o di violazioni dei legittimi diritti uomo.
8. Tema importante nella conferenza di Puebla è stato quello della liberazione. Vi avevo esortato a considerare la specifica e originale presenza della Chiesa nella liberazione (Giovanni Paolo II, Allocutio ad III Coetum Generalem Episcoporum Americae Latinae, III,1, die 28 ian. 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II [1979] 202). Vi segnalavo come la Chiesa “non ha bisogno di ricorrere a sistemi ed ideologie per amare, difendere e collaborare alla liberazione dell’uomo” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad III Coetum Generalem Episcoporum Americae Latinae, III,2, die 28 ian. 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II [1979] 203). Nella varietà delle esposizioni e delle correnti della liberazione è indispensabile distinguere tra quello che implica “una retta concezione cristiana della liberazione” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad III Coetum Generalem Episcoporum Americae Latinae, III,6, die 28 ian. 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II [1979] 206), “nel suo significato integrale, profondo, come lo ha annunciato e realizzato Gesù” (Ivi), applicando lealmente i criteri che la Chiesa offre, e altre forme di liberazione lontane e perfino contrastanti con l’impegno cristiano.
Dedicaste opportune considerazioni ai segni per discernere quella che è una vera liberazione cristiana, con tutto il suo valore, urgenza e ricchezza, e quello che prende le strade delle ideologie. I contenuti e gli atteggiamenti (cf. Puebla, 489), i mezzi che utilizzano, aiutano in tale discernimento. La liberazione cristiana usa “mezzi evangelici, con la loro particolare efficacia, e non ricorre a nessuna forma di violenza né alla dialettica della lotta di classe...” (Puebla, 486), o alla prassi o analisi marxista, per “il rischio d’ideologizzazione cui si espone la riflessione teologica, quando si realizza a partire da una prassi che ricorre all’analisi marxista. Le sue conseguenze sono la totale politicizzazione dell’esistenza cristiana, la dissoluzione del linguaggio della fede in quello delle scienze sociali e l’eliminazione della dimensione trascendente della salvezza cristiana” (Puebla, 545).
9. Uno dei contributi pastorali più originali della Chiesa latino-americana, come fu presentato nel Sinodo dei Vescovi del 1974 e riassunto nella esortazione apostolica “Evangelii Nuntiandi”, è stato quello delle comunità ecclesiali di base.
Possano queste comunità continuare a mostrare la loro vitalità e a dare i loro frutti (cf. Puebla, 97. 156), evitando insieme i rischi che possono incontrare e ai quali alludeva la conferenza di Puebla: “È deplorevole che, in alcuni luoghi, interessi chiaramente politici pretendano di manipolarle e distaccarle dall’autentica comunione coi loro Vescovi” (Puebla, 98). Davanti al fatto della radicalizzazione ideologica, che in alcuni casi si registra (cf. Puebla, 630), e per l’armonioso sviluppo di queste comunità, vi invito ad assumere l’impegno sottoscritto: “Come pastori vogliamo decisamente promuovere, orientare, accompagnare le comunità ecclesiali di base, secondo lo spirito di Medellin e i criteri dell’“Evangelii Nuntiandi” (Puebla, 648).
10. La conferenza di Puebla ha voluto dare impulso a “un’opzione più decisa per la pastorale d’insieme” (Puebla, 650), necessaria per l’efficacia dell’evangelizzazione e per la promozione dell’unità delle Chiese particolari (cf. Puebla, 703). In essa, quindi, si articolino i diversi aspetti della pastorale, con dinamica unità di criteri teologici e pastorali. Molto può fare a tal proposito il Celam.
11. In questa prospettiva di una adeguata pastorale d’insieme, permettetemi che insista con voi sulle priorità pastorali che indicai a Puebla e che avete accolto con così marcato interesse. Conservano tutta la loro vitalità e urgenza. Mi riferisco alla pastorale familiare, giovanile e vocazionale.
Far sì che la famiglia, in America latina, stretta dal sacramento del matrimonio, sia vera Chiesa domestica, è un compito urgente. La civiltà dell’amore deve costruirsi sulla base insostituibile del focolare. Attendiamo dal prossimo Sinodo un forte stimolo per questa priorità.
La gioventù, lo constato spesso nei miei contatti ministeriali e nei miei viaggi apostolici, è disposta a rispondere. Non si è esaurita la sua generosa capacità di impegnarsi in nobili ideali, benché esigano sacrificio. Essa è la speranza del mondo, della Chiesa, dell’America latina. Sappiamo quindi trasmetterle, senza decurtazioni o falsi pudori, i grandi valori del Vangelo, dell’esempio di Cristo. Sono cause che il giovane percepisce come degne di essere vissute, come modi di rispondere a Dio e all’uomo fratello.
La pastorale vocazionale deve meritare una particolarissima attenzione, come ho ripetutamente detto ai Vescovi latino-americani durante la loro visita “ad limina”. Le vocazioni al sacerdozio devono essere il segno della maturità delle comunità; e devono anche manifestarsi come conseguenza della fioritura dei ministeri affidati ai laici e di una opportuna pastorale scolare e familiare, che prepari ad ascoltare la voce di Dio.
Si ponga perciò ogni diligenza nella solida formazione spirituale, accademica e pastorale nei seminari. Solo a questa condizione potremo aver fondata garanzia per il futuro. Abbiamo bisogno di sacerdoti pienamente dedicati al ministero, entusiasti del loro impegno totale con il Signore nel celibato, convinti della grandezza del ministero di cui sono portatori.
E voglia Dio che possiate un giorno incrementare l’invio di missionari che siano d’aiuto nelle zone sprovviste, nelle vostre proprie nazioni e in altri continenti.
Conclusione
Voglio ora terminare queste riflessioni facendo una pressante chiamata alla speranza. Certamente non è poco il cammino che manca da percorrere nella costruzione del regno di Dio in questo continente. Molti sono gli ostacoli che si interpongono.
Ma non v’è motivo di disperare. Come ci ha promesso, Cristo sarà con noi fino alla fine dei tempi, con la sua grazia, il suo aiuto, il suo potere infinito. La Chiesa per la quale lottiamo e soffriamo, è la sua Chiesa, nella quale lo Spirito Santo continua a vivere e a spargere le meraviglie del suo amore. Nella fedeltà alle sue ispirazioni andiamo avanti con rinnovato entusiasmo nell’opera di evangelizzazione di tutti i popoli.
Estendo questo invito alla speranza, nella cordiale gratitudine per tanti sforzi consacrati alla Chiesa a tutti i Vescovi dell’America latina, a quanti lavorano nel Celam, ai sacerdoti, ai membri dei vari istituti di vita consacrata e del laicato, che in forme tanto diverse manifestano in modo meraviglioso, spesso nascosto, la magnifica varietà dell’amore al Signore e all’uomo.
Associo in questo sentimento di meritata gratitudine tutti quegli organismi di Europa e Nordamerica, che tanto validamente collaborano, con personale apostolico e con mezzi economici, nella vita di numerose Chiese particolari. Il Signore li ricompensi abbondantemente per questa loro sollecitudine pastorale.
Che la Vergine santissima, Nostra Signora di Guadalupe, ai cui piedi avete depositato con immensa fiducia il documento di Puebla, vi accompagni nel cammino, vi alleggerisca maternamente la fatica, vi sostenga nella speranza, vi guidi a Cristo, al Salvatore, al premio imperituro.
Con la benedizione e l’affetto del successore di Pietro, con dilatato amore alla Chiesa, portate a Cristo tutte le genti. Così sia.
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