VISITA PASTORALE IN GRAN BRETAGNA
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALLA COMUNITÀ POLACCA
Domenica, 30 maggio 1982
Cari fratelli e sorelle, amati connazionali!
1. Con mirabile forza si sono impresse nella mia memoria le parole, che pronunziò il Cardinale Heenan, Primate d’Inghilterra, quando durante il Concilio visitò i Vescovi polacchi che alloggiavano nel Collegio all’Aventino. Egli iniziò il suo discorso con queste parole: “Gli aviatori polacchi hanno salvato la Gran Bretagna!”.
Faccio riferimento a queste parole in questo giorno, perché mi sembra che in esse si debba cercare una risposta alla domanda sulla vostra identità, qui. Chi siete voi? Siete soltanto una comunità di emigrati, simile a tante altre, che esistono sul globo intero? Certamente sì. E certamente bisogna cercare qui l’analogia con la Grande Emigrazione del secolo scorso, che si è concentrata principalmente in Francia. E tuttavia c’è qualcosa di particolare che, in un certo senso, non permette di pensare a voi con le categorie di “emigrazione”; almeno non permette di pensare così nei riguardi di quelli che aveva davanti agli occhi il Cardinale Heenan, quando diceva: “Gli aviatori polacchi hanno salvato la Gran Bretagna!”.
Non si può pensare a voi partendo dal concetto di “emigrazione”; bisogna pensare, partendo dalla realtà “Patria”. È vero che prima della seconda guerra mondiale ci fu in Inghilterra un certo numero di Polacchi-emigrati. Tuttavia, coloro che vi si sono trovati nel quadro degli avvenimenti bellici, non erano emigranti. Erano la Polonia strappata dalle proprie frontiere, dai propri campi di battaglia; la Polonia risvegliata, appena venti anni prima, all’esistenza indipendente; la Polonia che rapidamente si stava ricostruendo dalle distruzioni e lesioni secolari; la Polonia, infine, che hanno tentato ancora una volta di dividere, come nel secolo XVIII, imponendole una orribile guerra omicida, con le forze prevalenti degli invasori.
È così. Quella che oggi noi siamo abituati a chiamare “Polonia inglese”, si è formata come il midollo stesso della Polonia combattente per la santa causa della sua indipendenza. Tale Polonia costituivano gli aviatori, che difendevano le isole britanniche; le divisioni e le brigate combattenti presso Narvik; le divisioni e le brigate, che raggiungevano dal fondo delle repubbliche sovietiche dell’Europa Orientale e dell’Asia, e poi attraverso la Persia, il Medio Oriente, l’Egitto e la Libia sulla penisola appenninica, Monte Cassino, “contribuendo alla restituzione della libertà alla terra italiana”. Ho ancora davanti agli occhi quella iscrizione posta attraverso la strada che a Bologna conduce dal cimitero dei caduti al centro della città (la percorrevo il 18 aprile di quest’anno); l’iscrizione diceva: “Per questa via entravano i tuoi connazionali portandoci la libertà - per la stessa via tu ci porti la fede”.
2. Ciò che dico scorre dal vivo senso della storia. Voi, che avete creato l’odierna “Polonia inglese”, siete per me anzitutto non emigrazione, ma prima di tutto la viva parte della Polonia, che, pur lontana dalla terra nativa, non cessa di essere se stessa. Anzi, vive con la convinzione che in essa, proprio in questa parte, in modo particolare vive l’insieme.
Se mi sono trovato sulla terra inglese come pellegrino, Papa-pellegrino, e, nello stesso tempo, figlio della vostra stessa terra, non posso non esprimere, prima di tutto, questa verità su di voi: la verità che ho sentito sempre. Ho sentito la sua organica autenticità e, nello stesso tempo, la sua profonda tragicità.
3. Infatti, non si può, riconoscendo a voi l’irrevocabile diritto ad essere (alle origini) una parte singolare della Polonia: governo, armata, amministrazione, strutture del potere per il Paese e fuori di esso, non si può, dico, specie con il passare degli anni, non incontrare questa dolorosa “assenza” fisica, nella quale si doveva trasformare la vostra così vivace e così splendida, storica inamovibile presenza della Polonia . . . fuori della Polonia. Non si può non ricordare, ancora una volta, la Grande Emigrazione e quei grandi, più grandi spiriti, che guidati dal senso della viva presenza pregavano rivolti alla assente: “patria mia! tu sei come la salute: ad apprezzarti interamente solo apprende colui che ti ha perduto! Oggi la tua bellezza, in tutto il suo splendore, io veggo e descrivo perché nell’esilio, mi struggo di te!” (Pan Tradeusz, trad. di Clotilde Garosci, Torino 1955, 2ª ediz.).
Un mirabile, in qualche modo mistero delle coscienze e dei cuori si è iniziato nel secolo scorso e torna a ripetersi nel secolo attuale. La Polonia è uno dei paesi più provati del globo terrestre. Una delle patrie più profondamente arate dalla sofferenza e contemporaneamente una delle più amate. Forse al mistero di questo insolito amore della patria si compone quel mirabile spostamento spirituale: per tanti suoi figli e figlie e spesso per quelli migliori essa è spiritualmente presente mediante l’assenza fisica. E poi, per quelli che vivono nel Paese, questa assenza non è soltanto l’assenza. È una sfida. Gli “assenti” non solo “non hanno ragione”; essi, al tempo stesso, rendono una storica testimonianza. Parlano della Polonia quale era, e quale deve essere. Parlano di quale fu il suo vero prezzo, e quale esso rimane.
Perciò, il vostro sacrificio e la vostra fatica, il sangue di tanti nostri fratelli e sorelle, nonostante non abbiano raggiunto pienamente gli obiettivi per i quali si battevano, non sono stati inutili.
La storia, soprattutto la storia della nostra Patria, è piena di opere nobili. Le vediamo pure nei tempi contemporanei. Si sa che gli sforzi che mirano alla libertà, al rispetto della dignità dell’uomo, al rispetto del suo lavoro, alla possibilità della vita in pace con la propria coscienza e con le proprie convinzioni, apparentemente non hanno raggiunto gli obiettivi voluti. Tuttavia, hanno mutato l’anima della Nazione, la sua consapevolezza. Questi sforzi sollevano l’anima. Indicano che nella vita vi sono altri valori, spirituali, morali, che non si misurano con i valori materiali, ma sono valori decisivi nella giusta gerarchia dell’umana esistenza.
4. Da dove germina questa forza interiore dell’emigrazione polacca? Le sue sorgenti bisogna cercarle nei pressi della Vistola, nella fede dei polacchi e nella loro cultura. Essa è, come ho detto a Gniezno durante il pellegrinaggio in Patria, “l’espressione dell’uomo . . . L’uomo la crea e, mediante essa, l’uomo crea se stesso . . . E al medesimo tempo crea la cultura in comunione con gli altri . . . La cultura polacca è un bene sul quale si appoggia la vita spirituale dei polacchi. Essa ci distingue come nazione. Essa decide di noi lungo tutto il corso della storia, decide più ancora che le frontiere politiche. Si sa che la Nazione polacca è passata attraverso la dura prova della perdita dell’indipendenza per più di cent’anni. E in mezzo a questa prova è rimasta sempre se stessa. È rimasta spiritualmente indipendente perché ha avuto la propria cultura. Anzi nei periodi delle spartizioni l’ha ancora tanto arricchita e approfondita, perché solo per mezzo della creazione di una cultura può conservarsi”.
Bisogna dire oggi che così fu pure dopo la seconda guerra mondiale. Sono comunemente noti i meriti della vostra emigrazione nel campo delle ricerche e delle pubblicazioni concernenti la storia della Polonia, in particolare la sua storia nell’ultimo secolo. È un grande contributo alla conoscenza della vera storia della nazione. Se mancasse questo contributo di ricerca e di pubblicazioni, la conoscenza del passato della storia nazionale non sarebbe pieno.
5. Ho detto anche a Gniezno che la cultura polacca porta in sé i chiari contrassegni cristiani e non è per caso che il primo monumento letterario, che ne dà testimonianza, è il canto Bogurodzica (“Genitrice di Dio”).
Proprio a queste radici cristiane dobbiamo ritornare sempre, e da esse crescere di nuovo in ogni epoca, perché tale è la verità sull’uomo. Egli deve scoprirla sempre di nuovo.
L’emigrazione compirà la sua missione tanto più efficacemente, quanto più alto sarà il suo livello etico, quanto più Cristo sarà il centro della sua vita e della sua azione, quanto più essa crederà che soltanto lui è “la via, la verità e la vita” (Gv 14, 6).
Nell’enciclica Redemptor Hominis ho scritto che “Gesù Cristo va incontro all’uomo di ogni epoca, anche della nostra epoca con le stesse parole: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” . . . Anche oggi, dopo duemila anni, il Cristo appare a noi come Colui che porta all’uomo la libertà basata sulla verità . . .” (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 12).
Bisogna dire che avete compreso e continuate a comprendere la necessità del legame con la fede e con la Chiesa. E perciò questa Emigrazione, come parte della Nazione, conteneva tutti gli strati con l’intero profilo sociale, con le istituzioni politiche, culturali, scientifiche, professionali, ma anche con tutta l’organizzazione ecclesiastica. Sin dal primo momento la Chiesa fu presente con le sue strutture; vi fu il Vescovo, l’indimenticabile Arcivescovo Giuseppe Gawlina, e più tardi Rettore della Missione Polacca in Inghilterra; vi furono i sacerdoti e le organizzazioni religiose, che si sviluppavano. Questi centri furono tra i primi organizzati. Grazie alla comprensione e alla benevolenza della Gerarchia locale, ma soprattutto grazie alla vostra generosità e al lavoro carico di sacrifici dei sacerdoti, sono sorte tante Chiese e Cappelle polacche, che servono proprio all’approfondimento dei legami con Cristo e vi introducono nei Misteri divini, unendovi con lui. Presso i centri pastorali sono state organizzate le scuole di lingua polacca.
6. Il legame con la cultura polacca si realizza nella casa paterna, nella vita religiosa e nella vita delle organizzazioni. Invece la scuola, gli studi superiori e la vita professionale uniscono con la cultura del paese di soggiorno. Il legame tra il paese degli Avi e il paese di soggiorno si realizza proprio al livello della cultura. Essa fornisce una giusta prospettiva della convivenza e mediante l’educazione prepara una persona giovane sia ai compiti nell’ambiente d’emigrazione sia anche all’assumere l’adeguato atteggiamento nella vita.
Perciò, uno dei compiti più importanti è la trasmissione delle proprie idee alle nuove generazioni. L’emigrazione deve essere idonea a una adeguata educazione dell’uomo totale. Soltanto in tal caso la giovane generazione sarà capace di assumere l’idea della libertà e della serietà dalla generazione che tramonta.
L’educazione dell’uomo totale - l’educazione alla verità e l’educazione nella tradizione cristiana e polacca - inizia nella famiglia. L’attuale stato della morale pubblica non sempre assicura alla famiglia, e specialmente ai genitori, la necessaria autorità che compete loro.
Sono varie le cause che contribuiscono a ciò. La famiglia ha quindi bisogno di una particolare sollecitudine pastorale. Soltanto la famiglia, forte di Dio, consapevole dei suoi doveri cristiani, può essere in grado di realizzare i compiti dell’educazione dell’uomo totale, poiché, come ho detto in altra occasione, “l’opera di educazione dell’uomo non si compie soltanto con l’aiuto delle istituzioni, con l’aiuto di mezzi organizzati e materiali, per quanto eccellenti siano . . . il più importante è sempre l’uomo, l’uomo e la sua autorità morale, che deriva dalla verità dei suoi principi e dalla conformità delle sue azioni con questi principi” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad UNESCO habita, 11, die 2 iun. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 [1980] 1645).
Elevo quindi oggi la voce da questo luogo con le parole dell’esortazione apostolica Familiaris Consortio: “famiglia, scopri questo insopprimibile appello, che si trova in te stessa! Famiglia, “diventa” ciò che “sei”! Convocata quale Chiesa domestica dalla Parola e dal Sacramento, diventa insieme, come la grande Chiesa, maestra e madre!” (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, 17.38).
7. Il nostro odierno incontro avete voluto farlo coincidere con il vostro pellegrinaggio centrale in occasione del 600° anniversario della presenza della Madre di Dio, nella sua Immagine Miracolosa, a Jasna Góra. Sappiamo che cosa era e che cosa è questo Santuario, questa Effigie di Jasna Góra per la nazione polacca.
Unendomi a questa vostra comune intenzione, che è anche la mia, permettetemi che richiami agli occhi della nostra memoria il grande personaggio, il defunto Primate di Polonia Cardinale Stefano Wyszynski. Faccio questo nella nostra assemblea nel primo anniversario della sua morte e dei suoi funerali, del suo transito da questa patria terrena, che così inflessibilmente serviva, alla Casa del Padre.
Faccio questo, nell’odierna assemblea con quello stesso amore con cui lo circondavano tutti i polacchi in patria e all’estero, guardando a lui come uomo provvidenziale, donato alla patria durante i tempi delle difficili scelte e durante il tempo della nuova strada. Vedo in lui, come voi tutti, l’uomo legato fin nel profondo della sua anima con il mistero della Madre di Jasna Góra presente nella vita dei suoi figli e nella vita della nostra nazione.
Coloro che lasciavano il Paese, sia in cerca del pane, sia per altri motivi, portavano con sé l’immagine di Jasna Góra o di Ostrobrama. Essa era un segno esterno della loro fede e dell’attaccamento a Cristo e alla Polonia. I primi emigrati in questo paese, quelli del secolo scorso, hanno portato l’immagine della Madre di Dio di Czestochowa sia a Manchester, come anche qui a Londra. Quando il Cardinale Augusto Hlond benedisse la prima Chiesa a Devonia, la dedicò alla Madre di Dio di Czestochowa.
Quest’immagine, durante l’ultima guerra, era in quasi tutte le cappelle dei campi militari, e le stesse immaginette si trovavano spesso nelle divise dei militari polacchi. Le immagini della Signora di Czestochowa si trovano in ogni Chiesa, dove vi riunite per la preghiera, particolarmente per assistere alla Messa domenicale. Essa è quasi in ogni casa degli emigrati.
L’Anno Giubilare è l’anno di un particolare rinnovamento della fede, della vita familiare. È necessario che i genitori, guardando a Maria, si rendano di nuovo consapevoli della loro responsabilità e dei compiti educativi. Certamente molte famiglie recitano l’Appello di Jasna Góra: quel “Maria, Regina della Polonia, sono vicino a te, mi ricordo di te, veglio”. Siamo vicini a lei e vegliamo! Siano presso di lei e veglino gli anziani. Veglino i giovani. A voi, cari Giovani Amici, mi rivolgo in modo particolare. Abbiate il coraggio di assumere questa difficile eredità e di svilupparla. Tanti sono oggi i problemi, tanti i valori, che esigono che noi vegliamo, perché l’uomo non cancelli in se stesso, nei suoi legami e nelle relazioni sociali, l’immagine e la somiglianza di Dio, iscritta in lui dal Creatore e rinnovata da Cristo; che non la cancelli negli altri!
8. Non per caso questo nostro odierno, insolito incontro, si svolge nella Solennità della Pentecoste.
“Vieni, Santo Spirito, / manda a noi dal cielo / un raggio della tua luce”.
Convincici quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio (cf. Gv 16, 8).
Guidaci alla verità tutta intera (cf. Gv 16, 13).
Glorifica Cristo in noi, prendi del suo, e ce lo riveli (cf. Gv 16,14).
Ricordaci tutto ciò che Cristo ci ha detto (cf. Gv 14, 26).
Non sia turbato il nostro cuore e non abbia timore (cf. Gv 14, 27).
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