VISITA PASTORALE NEL BELICE E A PALERMO
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
ALLE RELIGIOSE RIUNITE NELLA CATTEDRALE
Palermo - Domenica, 21 novembre 1982
Carissime religiose.
1. Ringraziamo insieme il Signore per averci consentito questo incontro nel luogo che più di ogni altro rappresenta il cuore della Chiesa siciliana, la Cattedrale di Palermo e, per di più, nella Solennità di Cristo Re dell’Universo, “Alfa” e “Omega” (Ap 1, 8), Colui che, dall’alto della Croce, attrae a sé tutte le cose.
Tutti siamo chiamati a lavorare con perseveranza e con la forza del suo Spirito, affinché la sua regalità si affermi e si estenda sempre più nel cuore degli uomini.
Ho davanti ai miei occhi qui riunita, quasi un solo cuore e una sola mente, l’anima religiosa femminile della Sicilia, presente certo solo in una piccola rappresentanza, ma che reca al mio pensiero e al mio affetto anche tutte le religiose dell’Isola.
Tutte vi saluto cordialmente: vorrei farlo singolarmente e avere una parola per ciascuna, ma evidentemente non è possibile. Vogliate almeno accogliere questo mio sincero desiderio. Penso e invio il mio saluto in modo particolare a coloro tra voi che sono provate dalla sofferenza o dalle difficoltà; saluto con deferente rispetto quelle sorelle che, da tanto tempo, si affaticano nella Vigna del Signore; saluto con ammirazione e compiacimento quelle che, nel vigore delle forze, generosamente si donano nel servizio di Dio e dei fratelli; il mio saluto vuol essere speranza e incoraggiamento per le giovani, che stanno approfondendo e verificando il loro cammino e la loro scelta. Tutte vi ringrazio a nome della Chiesa Universale della quale sono Pastore, per la vostra risposta alla chiamata di Dio, e per la vostra volontà di continuare a operare e soffrire per il Regno di Cristo, a cui volete essere esclusivamente consacrate, al fine di offrire fin da quaggiù agli uomini, mediante la vostra comunione fraterna e l’esercizio delle opere della carità, le “primizie” (cf. Rm 8, 23) di quel Regno di “giustizia, pace e gioia dello Spirito Santo” (Rm 12, 17).
2. È per me motivo di grande emozione il sapervi le eredi di una antichissima e gloriosa tradizione cristiana, qual è quella della Chiesa siciliana, ricca fin dalle più lontane origini di Vergini e Martiri illustri, menzionate nello stesso Canone Romano della santa Messa, come Agata e Lucia; e rammento anche santa Rosalia, patrona di questa bella Città.
La vostra presenza in questa terra, care religiose, è degna degli esempi del passato. So che vi impegnate generosamente nella vita spirituale e nelle varie forme dell’apostolato a voi proprio: nelle istituzioni educative, nei servizi socio-sanitari, nei servizi sociali, nella pastorale, nella collaborazione fraterna e operosa con i Pastori e con i sacerdoti, nella ricerca permanente di un approfondimento culturale.
Sono qui tra voi per rallegrarmi per quanto già fate, per assicurarvi tutto il mio appoggio alle iniziative di carità che intraprendete o portate avanti, e per esprimervi la mia sentita partecipazione alle vostre sofferenze e alle vostre difficoltà. Sono qui soprattutto per dirvi una parola d’incoraggiamento e di speranza, per dare nuova forza al vostro entusiasmo, per aprirvi nuove strade, per aiutarvi a togliere gli ostacoli.
3. Innanzitutto, la raccomandazione che vorrei farvi, è questa: conservate e promuovete un giusto ed alto concetto della vita e della consacrazione religiosa, secondo quanto il Magistero ha sempre insegnato, e tuttora insegna. La Chiesa certamente oggi promuove delle forme secolari e “laicali” di vita religiosa, le quali, se ben intese, sono una grande benedizione per il Popolo di Dio e per il mondo. Il Concilio ha chiarito la dignità dei valori terreni e la spiritualità dei laici. Tuttavia, il medesimo Concilio, sottolineando il valore unico della vocazione religiosa, ci avverte di non svilirla con l’equivoco di un malinteso secolarismo, dimenticando che la vita religiosa aggiunge un ulteriore perfezionamento alla consacrazione battesimale.
Non si tratta certo, con vana presunzione, di sentirsi su di un gradino superiore ai semplici laici, giacché, come già insegnava san Tommaso (S. Tommaso, Summa Theologiae, II-IIae, 184, 4), non chiunque è nello “stato di perfezione” è necessariamente “perfetto”. Ed anzi, al religioso, proprio per aver ricevuto di più è richiesto di più: maggiore umiltà, maggior gratitudine a Dio, maggior coscienza dei suoi doveri cristiani, maggior impegno di carità, giacché “a chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più” (Lc 12, 48).
La superiorità dello stato religioso non dipende certamente dal rapporto del cristiano col fine ultimo, che è uguale per tutti: la beatitudine in Dio, conseguita nella santità e nella perfezione della carità; riguarda invece i mezzi della perfezione, che, come tali, sono superiori a quelli che derivano dalla consacrazione battesimale, sufficiente a caratterizzare la condizione secolare o coniugale. Il religioso, però, se vuol realizzare quella maggior intimità con Cristo che caratterizza la sua vocazione, deve far uso sapiente e perseverante di quei mezzi speciali che sono a sua disposizione.
4. Questa eminenza della vita religiosa va testimoniata con le parole, e soprattutto con le opere: va provata nei fatti, affinché il mondo veda e creda.
Per questo, il concetto e la pratica che si hanno della vita religiosa, si riflettono immediatamente e consequenzialmente nell’azione che si compie per la promozione delle vocazioni, delle quali so che avete discusso nel vostro 5° Convegno regionale.
Il cuore umano cerca istintivamente il meglio, ciò che è più elevato e sta più in alto: e se voi non date quella “testimonianza del Trascendente”, della quale parlava il vostro Cardinale Arcivescovo in una recente lettera, se voi cioè non siete “segno” di ciò che va oltre questo mondo e la sua caducità, e di ciò che è massimamente elevato - le realtà divine ed escatologiche - voi non potrete esercitare una vera attrattiva alla vita religiosa sulle giovani che oggi sono alla ricerca dell’Assoluto.
Non abbiate dunque timore di proporre al mondo l’ideale di una vita che trascende il presente. Ricordatevi che il senso profondo della vostra consacrazione è quello di essere, insieme con i vostri confratelli, i segni prefigurativi dell’umanità futura, dell’“uomo nuovo” e della “donna nuova” della risurrezione. Siate, mediante il vostro stesso comportamento, le “prove” viventi e concrete dell’esistenza di Dio, della sua Bontà, e del Regno di pace che ci ha promesso con la sua Croce!
5. In secondo luogo, non dimenticatevi del vostro ruolo specifico, come donne, all’interno della Chiesa e al servizio dell’umanità. Aiutatevi e aiutate la Chiesa, con l’assistenza dello Spirito e con la vostra ponderata riflessione, a metter sempre meglio in luce tale ruolo. Come Maria santissima è parte integrante del piano divino della salvezza, così la donna, specie se religiosa, è immagine di Maria, ideale della Donna, ed ha anch’essa quindi una parte propria ed essenziale nella salvezza dell’umanità. Riproducendo poi in se stessa il mistero mariano, la religiosa è anche immagine della Chiesa, della quale Maria, come dice il Concilio (Lumen Gentium, 63), è “figura” o “tipo”.
Se sarete sempre convinte della insostituibilità di questo ruolo che vi compete, ne sentirete una sana ed umile fierezza, senza esser tentate di desiderare altri ruoli o funzioni che snaturerebbero la vostra fisionomia in seno alla Chiesa.
6. Ma la scelta di consacrazione secondo il modulo proprio della femminilità non può essere fine a se stessa: deve radicarsi su quello che è il valore veramente fondamentale, quello della carità operosa e generosa, che faceva dire a san Paolo: “La carità di Cristo ci spinge” (2 Cor 5, 14).
Ho avuto altre volte occasione di dire che l’essenza profonda della consacrazione religiosa è un atto d’amore a Cristo. Il religioso e la religiosa sono chiamati a riprodurre più da vicino a Cristo il suo stesso Amore. Essi sono un “segno”, come ho detto, di risurrezione. Ma possono esserlo, solo in quanto il loro amore rifulga per la sua oblatività e il suo spirito di sacrificio, come quello di Cristo, “che si è offerto a Dio in sacrificio di soave odore” (Ef 5, 2). Devono essere dei “morti al mondo” (cf. Col 2, 20), per essere dei “risorti con Cristo” (Col 3, 1).
Anche voi, care sorelle, come gli apostoli, siete “luce del mondo e sale della terra” (Mt 5, 13-14). Siete la speranza del mondo. La vostra stessa esistenza smentisce l’amaro e a volte ipocrita fatalismo di chi, credendo insuperabili le ingiustizie, è tentato di seguire gli esempi dei violenti e dei malfattori. Non vi si chiede di vincere queste ingiustizie con la severità e la forza d’interventi, che non rientrano nella vostra missione. Voi tuttavia avete armi che, sia pure meno appariscenti, non sono meno efficaci: le armi della preghiera, della dedizione perseverante, dell’obbedienza responsabile, della missione pedagogica e caritativa, della purezza di vita, della parola franca e sincera, della pazienza cristiana, piena di una speranza d’immortalità. Sono queste le stesse armi di Cristo, “Re dei secoli” (1 Tm 1, 17); Cristo, Agnello che è “Re dei Re” (cf. Ap 17, 14). Sono le armi della sua santissima Madre. Sono le armi che hanno vinto il mondo.
Vi accompagni e vi sostenga la mia benedizione.
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