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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL V SIMPOSIO DEL CONSIGLIO
DELLE CONFERENZE EPISCOPALI D'EUROPA (CCEE)

Martedì, 5 ottobre 1982

 

Carissimi fratelli nell’Episcopato.

1. Sono lieto di unirmi a voi e di partecipare alle riflessioni di questo V Simposio del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE). Lo considero un incontro privilegiato perché permette a noi tutti di prendere più viva coscienza della “sollicitudo” per le Chiese in Europa che portiamo collegialmente. Consapevoli dell’importanza e della vastità della missione che ci è affidata, vogliamo in questi giorni più intensamente e fraternamente invocare lo Spirito Santo perché ci illumini e ci fortifichi nell’esercizio del ministero apostolico.

La nostra riunione ha una sua natura specifica, che la caratterizza e la distingue. Il Simposio, in effetti, è un’espressione significativa, a livello di tutta l’Europa, di quella collegialità episcopale, che è stata uno degli sviluppi centrali e più densi di conseguenze della ecclesiologia del Vaticano II. Ancora più in profondità noi stiamo qui vivendo un’esperienza peculiare di quella “koinonia” ecclesiale, che ha la sua fonte vitale nel mistero stesso della Trinità. In voi sono qui in certo modo presenti le varie Chiese locali dell’intero Continente con tutta la loro eredità e la loro peculiarità. Sono Chiese, le nostre, generate dalla predicazione degli Apostoli, fecondate dal sangue dei primi martiri, vivificate dai carismi dei santi. Sono Chiese che hanno battezzato l’Europa ai suoi albori; Chiese che hanno scritto epopee esaltanti di fede e di evangelizzazione missionaria e attraversato crisi oscure e momenti drammatici. Le vostre Chiese hanno conservato felicemente la piena comunione con la Chiesa Romana anche se, ad un certo punto della loro storia, hanno dovuto fare la triste constatazione del distacco di una parte di esse. Saluto con affetto e venerazione queste Chiese che vengono dal primo millennio e sono proiettate verso il terzo millennio dell’era cristiana. Le contemplo come Chiese sorelle, formanti insieme, nello Spirito Santo e nella celebrazione dell’Eucaristia, l’unico corpo di Cristo. È questo il “luogo” teologico in cui dobbiamo situarci per interpretare “l’oggi” della storia della salvezza in Europa, aprendoci ad ascoltare quello che lo Spirito dice a queste nostre Chiese per assolvere il loro compito di evangelizzazione.

2. Il vostro sguardo si fissa in questi giorni su l’Europa e, cercando di capire il disegno e gli appelli di Dio, si interroga su quello che l’Europa oggi è, sulla sua coscienza, le sue ambizioni, le sue crisi, il suo destino.

Vorrei dirvi, anzitutto, che il vostro Simposio in se stesso fa apparire un volto originale dell’Europa e accende una speranza per tutta l’Europa.

Il vecchio Continente porta oggi ancora aperte nella sua carne le ferite di un passato, remoto e prossimo, segnato da guerre, da contrapposizioni ideologiche, politiche, militari, economiche. Qualcuno si domanderà se l’Europa oggi è un mito o mostrerà che esistono in realtà diverse Europe: da quella economica e politica, a quella culturale e militare. Nonostante l’impulso verso la ricomposizione delle fratture storiche e le forze convergenti verso l’unità, linee divisorie attraversano il Continente tra Est e Ovest, Nord e Sud. La nostra riunione non ignora, ma non assume certo questi contorni, queste divisioni e queste contrapposizioni.

La realtà collegiale del nostro incontro e della nostra missione, lungi dall’essere una sacralizzazione delle attuali divisioni, è invece un atto creativo e rigenerativo di un’Europa unita. Il nostro Simposio attesta in effetti la vocazione dell’Europa alla fraternità e alla solidarietà di tutti i popoli che la compongono dall’Atlantico agli Urali. In seno al Simposio voi rappresentate popoli distinti etnicamente e portate con voi una grande varietà di culture. La vostra riunione non appiattisce né annulla le ricchezze delle singole civilizzazioni nazionali, le mette in comunicazione, aprendole ad un mutuo arricchimento. Come già ha fatto il cristianesimo nel primo millennio d’Europa, integrando l’eredità greco-romana, la cultura dei popoli germanici e quella delle genti slave, dando vita, dalla varietà etnica e culturale, ad un comune spirito europeo, così voi, senza nostalgie per il passato, ma con piena convinzione nella intrinseca forza unificante del cristianesimo e nel suo ruolo storico, vi impegnate collegialmente a far nascere dalla varietà delle esperienze locali e nazionali una nuova e comune civilizzazione europea.

Dovete comunicare all’Europa d’oggi questa speranza, che è in voi. Certo, voi non volete costruire un’Europa parallela a quella esistente, ma quello che voi fate è di rivelare l’Europa a se stessa. Voi mostrate all’Europa la sua anima e la sua identità, voi offrite all’Europa la chiave di interpretazione della sua vocazione.

3. La Chiesa e l’Europa. Sono due realtà intimamente legate nel loro essere e nel loro destino. Hanno fatto insieme un percorso di secoli e rimangono marcate dalla stessa storia. L’Europa è stata battezzata dal cristianesimo; e le nazioni europee, nella loro diversità, hanno dato corpo all’esistenza cristiana. Nel loro incontro si sono mutuamente arricchite di valori che non solo sono divenuti l’anima della civiltà europea, ma anche patrimonio dell’intera umanità. Se nel corso di crisi successive la cultura europea ha cercato di prendere le sue distanze dalla fede e dalla Chiesa, ciò che allora è stato proclamato come una volontà di emancipazione e di autonomia, in realtà era una crisi interiore alla stessa coscienza europea, messa alla prova e tentata nella sua identità profonda, nelle sue scelte fondamentali e nel suo destino storico.

L’Europa non potrebbe abbandonare il cristianesimo come un compagno di viaggio diventatole estraneo, così come un uomo non può abbandonare le sue ragioni di vivere e di sperare senza cadere in una crisi drammatica.

È per questo che le trasformazioni della coscienza europea spinte fin alle più radicali negazioni dell’eredità cristiana rimangono pienamente comprensibili solo in riferimento essenziale al cristianesimo. Le crisi dell’uomo europeo sono le crisi dell’uomo cristiano. Le crisi della cultura europea sono le crisi della cultura cristiana.

È estremamente significativo esaminare la metamorfosi subìta dallo spirito europeo in quest’ultimo secolo. L’Europa è oggi attraversata da correnti, ideologie, ambizioni che si vorrebbero estranee alla fede, quand’anche non direttamente opposte al cristianesimo. Ma è interessante rilevare come, partendo da sistemi e da scelte che intendevano assolutizzare l’uomo e le sue conquiste terrene, si è arrivati oggi a mettere in discussione precisamente l’uomo stesso, la sua dignità ed i suoi valori intrinseci, le sue certezze eterne e la sua sete di assoluto. Dove sono oggi i solenni proclami di un certo scientismo che prometteva di dischiudere all’uomo spazi indefiniti di progresso e di benessere? Dove sono le speranze che l’uomo, proclamata la morte di Dio, si sarebbe finalmente collocato al posto di Dio nel mondo e nella storia, avviando un’era nuova in cui avrebbe vinto da solo tutti i propri mali?

Le tragiche vicende di questo secolo, che hanno insanguinato il suolo d’Europa in spaventosi conflitti fratricidi; l’ascesa di regimi autoritari e totalitari, che hanno negato e negano la libertà e i diritti fondamentali dell’uomo; i dubbi e le riserve che pesano su un progresso che, mentre manipola i beni dell’universo per accrescere l’opulenza ed il benessere, non solo intacca l’“habitat” dell’uomo, ma costruisce anche tremendi ordigni di distruzione; l’epilogo fatale delle correnti filosofico-culturali e dei movimenti di liberazione chiusi alla trascendenza: tutto questo ha finito per disincantare l’uomo europeo, spingendolo verso lo scetticismo, il relativismo, se non anche facendolo piombare nel nichilismo, nella insignificatezza e nell’angoscia esistenziale.

Questa contraddizione e questo sbocco drammatico e imprevisto sembrano paradossali e difficili da spiegare. Certuni diranno che si tratta di una crisi di crescita, legata alla natura dell’uomo essenzialmente caratterizzata dalla finitezza e dalla storicità della sua condizione. Ma il dramma sembra racchiudere un significato più recondito, che spetta a voi di svelare pienamente, dandone l’interpretazione spirituale alla luce di una teologia della storia che vede l’uomo in un dialogo di libertà con Dio e con il suo progetto salvifico.

4. In questa luce, il cristianesimo può scoprire nell’avventura dello spirito europeo le tentazioni, le infedeltà ed i rischi che sono propri dell’uomo nel suo rapporto essenziale con Dio in Cristo. Ancor più profondamente, possiamo affermare che queste prove, queste tentazioni e questo esito del dramma europeo non solo interpellano il Cristianesimo e la Chiesa dal di fuori come una difficoltà o un ostacolo esterno da superare nell’opera di evangelizzazione, ma in un senso vero sono interiori al Cristianesimo e alla Chiesa. L’ateismo europeo è una sfida che si comprende nell’orizzonte di una coscienza cristiana; è più una ribellione a Dio e una infedeltà a Dio che una semplice negazione di Dio. Il secolarismo, che l’Europa ha diffuso nel mondo col pericolo di inaridire rigogliose culture dei popoli di altri continenti, si è alimentato e si alimenta alla concezione biblica della creazione e del rapporto uomo-cosmo.

L’impresa scientifico-tecnica di assoggettare il mondo non sta forse nella linea biblica del compito che Dio ha affidato all’uomo? E la volontà di potere e di possedere non è la tentazione dell’uomo e del popolo sotto il segno dell’alleanza con Dio?

Potremmo continuare nella nostra analisi. E scopriremo, forse non senza meraviglia, che la crisi e la tentazione dell’uomo europeo e dell’Europa sono crisi e tentazioni del Cristianesimo e della Chiesa in Europa.

Ma se è vero che le difficoltà e gli ostacoli all’evangelizzazione in Europa trovano appiglio nella stessa Chiesa e nello stesso Cristianesimo, i rimedi e le soluzioni andranno cercati all’interno della Chiesa e del Cristianesimo, e cioè nella verità e nella grazia di Cristo, Redentore dell’uomo, Centro del cosmo e della storia.

La Chiesa stessa deve allora auto-evangelizzarsi per rispondere alle sfide dell’uomo d’oggi.

Se l’ateismo è una tentazione della fede, sarà con l’approfondimento e la purificazione della fede che esso sarà vinto.

Se il secolarismo chiama in causa la concezione dell’uomo nel mondo e l’utilizzazione dell’universo, l’evangelizzazione dovrà riproporre quella teologia e spiritualità cosmica che, fondata biblicamente e presente nella liturgia, ha ricevuto illuminanti prospettive dal Concilio Vaticano II (cf. Gaudium et Spes, 37).

Se la rivoluzione industriale, nata in Europa, ha dato origine a un tipo di economia, a rapporti sociali e a movimenti che sembrano opporsi alla Chiesa e ostacolare l’evangelizzazione, sarà vivendo, annunciando e incarnando il Vangelo della giustizia, della fraternità e del lavoro, che restituiremo al mondo del lavoro un mondo umano e cristiano.

Potremo continuare ad applicare questi concetti a realtà così importanti, come la famiglia, la gioventù, le zone di povertà e i “nuovi poveri” in Europa, le minoranze etniche e religiose, i rapporti tra Europa e Terzo Mondo.

Far appello alla fede e alla santità della Chiesa per rispondere a questi problemi e a queste sfide non è una volontà di conquista o di restaurazione, ma è il cammino obbligato che va fino in fondo alle sfide e ai problemi.

La Chiesa, per rispondere alla sua missione oggi in Europa deve aver coscienza che, lungi dall’essere estranea all’uomo europeo o tanto meno sentirsi inutile e impotente a risolvere le crisi e i problemi dell’Europa, porta invece in se stessa i rimedi alle difficoltà e la speranza del domani.

E sarà con l’essere fedele fino in fondo a Cristo e divenendo sempre più, con la santità di vita e con le virtù evangeliche, trasparenza di Cristo, che la Chiesa entrerà nell’animo e nel cuore dell’Europa.

5. La nostra responsabilità e la nostra missione nei riguardi dell’Europa sono quindi ben grandi, così come grande è la speranza di cui siamo portatori.

Le nostre comunità, evangelizzate nella prima ora della storia della Chiesa, hanno ricevuto talenti preziosi da amministrare. Non possiamo certo, come gli operai della parabola evangelica, vantare meriti nei confronti delle Chiese novelle degli altri continenti. Dobbiamo anzi, con sincera umiltà, chiedere perdono delle nostre infedeltà, delle nostre divisioni e delle malattie che abbiamo diffuso nel mondo.

Ma, insieme, dobbiamo intraprendere, con rinnovata convinzione, la missione che Dio oggi ci affida in ordine all’Europa.

Noi non abbiamo ricette economiche né programmi politici da proporre. Ma abbiamo un Messaggio e una Buona Novella da annunciare.

Dipenderà anche da noi se l’Europa si rinchiuderà nelle sue piccole ambizioni terrestri, nei suoi egoismi e soccomberà all’angoscia e all’insignificatezza, rinunciando alla sua vocazione e al suo ruolo storico, oppure ritroverà la sua anima nella civiltà della vita, dell’amore e della speranza.

Auguro a voi di scoprire nelle riflessioni di questo Simposio le vie che lo Spirito Santo apre alla Chiesa e alle vostre Chiese per annunciare il suo Messaggio all’Europa d’oggi.

Vi accompagni la mia benedizione. 

 

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