DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI ALLA VI ASSEMBLEA PLENARIA
DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER I LAICI
Martedì, 12 ottobre 1982
Signor Cardinale,
cari fratelli nell’Episcopato,
cari amici.
1. È una gioia per me rivedervi in occasione dell’Assemblea plenaria del Consiglio pontificio per i Laici. Questo incontro, l’ho infatti molto desiderato, malgrado il programma molto denso di questi ultimi giorni.
Oltre alle cerimonie di beatificazione e di canonizzazione così stimolanti per tutto il Popolo di Dio, le numerose visite dei Vescovi offrono un’occasione privilegiata di rafforzare la comunione del Collegio episcopale e di rivedere insieme come compiere la missione della Chiesa nei differenti contesti culturali. E voi membri, consultori, dirigenti e collaboratori del Consiglio pontificio per i Laici, rappresentate tutti i laici che si sforzano di vivere la loro vocazione cristiana, con fedeltà e coerenza, nelle situazioni così diverse della Chiesa e del mondo. Desidero ringraziarvi per il perseverante lavoro che compite con devozione in seno al Dicastero e nei vostri ambienti.
2. In questi. giorni, noi celebriamo il ventesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II. Giorno memorabile, di cui ci ricordiamo con gioia, meraviglia e gratitudine verso Dio! La celebrazione di questo anniversario ci ricorda anche che noi dobbiamo, con tenacia, continuare il lavoro iniziato dai nostri predecessori, cioè, applicare seriamente il Concilio, farlo fruttificare, con l’aiuto dello Spirito di Dio. Il Consiglio pontificio per i Laici, in particolare, trova in questa eredità l’ispirazione e l’orientamento del suo lavoro.
Venti anni dopo questo avvenimento che fu una grazia, come non riconoscere i numerosi segni dell’azione di Dio nella Chiesa e tra gli uomini e non augurarsi allo stesso tempo lo sviluppo dei suoi frutti: consolidamento della comunione ecclesiale, rinnovamento spirituale, adesione più profonda alle verità fondamentali della fede, nuovo slancio missionario? Per tanti laici, il Concilio è stato un potente stimolo; illuminati dal suo insegnamento, essi si sono impegnati nei molteplici campi di apostolato, scoprendovi, non solamente un dovere, ma anche una sorgente di gioia, la piena realizzazione di se stessi.
Il Concilio Vaticano II è stato l’origine di una riflessione più approfondita sui laici, la famiglia, la cultura; e questa riflessione ha condotto alla successiva creazione di questi tre organismi post-conciliari che sono il Consiglio pontificio per i Laici, il Consiglio pontificio per la Famiglia e il Consiglio pontificio per la Cultura. Essi ricoprono campi che hanno numerosi punti in comune. Per questo io li incoraggio con forza a sviluppare tra di loro una stretta collaborazione nel rispetto della competenza di ciascuno.
3. Siete riuniti a Roma per studiare in particolare “le strutture post-conciliari che toccano direttamente il laicato, a livello nazionale, diocesano, parrocchiale, e a livello delle comunità di base”. La costituzione Lumen Gentium ha sottolineato la necessità della cooperazione tra i ministri ordinati e i laici. “I sacri pastori, afferma, conoscono benissimo quanto contribuiscono i laici al bene di tutta la Chiesa”, essi devono “riconoscere i ministeri e i carismi loro propri, in modo che tutti concordemente cooperino nella loro misura, al bene comune” (Lumen Gentium, 30). Sappiamo che una tale collaborazione ha condotto profondi cambiamenti a livello delle mentalità e degli strumenti. Essa ha anche richiesto la messa in opera di strutture, fondate sulla teologia esposta nei testi del Vaticano II.
I laici hanno per vocazione di estendere il Regno di Dio impegnandosi “in tutti i diversi doveri e lavori del mondo, nelle condizioni ordinarie della vita familiare e sociale di cui la loro esistenza è come intessuta” (Ivi. 31). Ma il loro impegno nel mondo non esclude la loro partecipazione alla vita della Chiesa, sotto la direzione dei Pastori. Al contrario, esso la suppone, come ricorda il decreto sull’apostolato dei laici: “Partecipanti alla funzione di Cristo Sacerdote, profeta e Re, (essi) hanno la loro parte attiva nella vita e l’azione della Chiesa (Apostolicam Actuositatem, 10). Per la grazia del battesimo e della cresima, ogni cristiano è chiamato a vivere concretamente la comunione ecclesiale, a testimoniare questa comunione.
4. Le prime comunità cristiane hanno imperniato l’apostolato sia dei ministri ordinati che dei laici sulla nozione di “testimonianza” secondo la parola del Signore stesso: “Voi sarete . . . miei testimoni . . . fino ai confini della terra” (At 1, 8). Oggi, più che mai, il Vangelo non sarà ascoltato e accettato se non nella misura in cui il testimone sarà credibile. E perché le azioni e le parole dell’apostolo siano credibili, bisogna innanzitutto che la sua vita parli.
Per questo, deve nutrire ogni giorno della sua vita di apostolo “di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4, 4). Non può essere sicuro della presenza attiva del Padre nella sua propria vita se non partecipa all’Eucaristia, cioè se, giorno dopo giorno, non lascia cambiare in profondità il suo cuore, unendosi al Figlio di Dio che rende presente tra noi la sua morte e la sua resurrezione. Così diventa più grande la nostra disponibilità e la nostra obbedienza allo Spirito Santo. Ancor più, è la via alla santità.
5. Sì, la Chiesa gioisce in questi giorni dei beati e dei santi che Dio le ha donato. E, allo stesso tempo, essa ci insegna che noi siamo tutti chiamati alla santità. Oggi noi possiamo, o piuttosto, noi dobbiamo parlare anche del capitolo 5 della costituzione sulla Chiesa: “La chiamata universale alla santità”; noi dobbiamo proporre l’ideale della santità a noi stessi e agli altri come un fine da raggiungere. “Ecco questa è la volontà di Dio: la vostra santificazione” (1 Ts 4, 3), ci dice san Paolo. Dio ci ha chiamati a lasciarci trasformare nell’immagine gloriosa di Cristo stesso (cf. 2 Cor 3, 18). Il miglior apostolo è il santo; perché solo colui che rimane in Cristo e in cui dimora il Cristo “porta molto frutto” (Gv 15, 5).
Se non si mantiene viva nello spirito questa prospettiva di fede, si rischia di occuparsi di strutture per motivi discutibili: troppo influenzati dalle categorie del mondo, alcuni potrebbero essere tentati di non ricercare che l’efficacia o il potere; o ancora di introdurre nella Chiesa stessa le separazioni che esistono nella società, secondo il tipo di opposizione tra gruppi politici dovuto a lotte ideologiche.
L’esistenza di questi pericoli non significa, sicuramente, che strutture teologicamente valide non siano necessarie. Non sarebbe realistico voler negare l’aiuto che esse apportano. Ma, non si possono creare delle strutture di apostolato ecclesiale, né impegnarsi in seno ad esse senza necessariamente convertirsi, al fine di purificare le proprie motivazioni in uno spirito di riconciliazione con Dio e con i fratelli. E questa purificazione, sappiamo tutti che si compie in profondità e in maniera appropriata ricevendo il sacramento della penitenza. Quale ricchezza sarebbe per la Chiesa se, in occasione del prossimo Sinodo dei Vescovi, le comunità cristiane riscoprissero lo straordinario dono che il Signore fa loro in questo sacramento!
6. Tra le strutture ecclesiali, bisogna prestare una particolare attenzione alla parrocchia, coscienti che essa “rimane un punto di riferimento importantissimo per il popolo cristiano, anche per i non praticanti” e che essa “deve ritrovare la sua vocazione che è quella di essere una casa di famiglia, fraterna e accogliente, in cui i battezzati e i cresimati prendono coscienza di essere Popolo di Dio” (Giovanni Paolo II, Catechesi Tradendae, 67).
Nel corso dei vostri numerosi contatti con i Vescovi, voi avete sicuramente l’occasione di sottolineare questo: è nelle comunità parrocchiali o diocesane che la grande maggioranza dei cristiani, non raggruppati in un laicato organizzato, vivono la loro partecipazione alla vita della Chiesa. Le parrocchie, come gran parte delle strutture ecclesiali, sono essenzialmente degli strumenti istituzionali per favorire la comunione, la vita di fede, per rendere l’apostolato più efficace. Lo scopo è dunque di animare, di coordinare, di arricchire l’ammirevole varietà dei carismi e dei servizi.
Quanto alle comunità di base che sono, anch’esse, un segno della presenza continua dello Spirito nella sua Chiesa, è importante precisarne bene i criteri di ecclesialità, come ha fatto Paolo VI nella esortazione apostolica sull’evangelizzazione nel mondo moderno (cf. Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 58) e come ho fatto anch’io nella mia allocuzione all’Episcopato brasiliano.
7. Parlando delle strutture riguardanti il laicato, pensiamo evidentemente anche ai movimenti e associazioni. Questi movimenti, come sottolineano spesso i Vescovi durante le loro visite “ad limina”, sono molto importanti per sostenere la vita cristiana e l’apostolato. Nella loro diversità, essi portano un prezioso contributo alla realizzazione della missione della Chiesa. Sono un luogo in cui giovani e adulti fanno esperienza della Chiesa, si aiutano a vivere da cristiani in un mondo poco credente e, fortificando la loro fede e la loro appartenenza ecclesiale, si preparano ad un dialogo apostolico. Perché essere apostoli oggi suppone un’identità cristiana solida.
I differenti movimenti non sono sufficienti a sé stessi. Essi devono riconoscere la complementarietà che esiste tra tutte le forze vive della Chiesa e collaborano con le strutture postconciliari, cioè i Consigli pastorali a tutti i livelli.
Vorrei aggiungere qui che con gioia vedo la nascita di nuove forme di raggruppamenti. Nelle sue lettere, l’apostolo Paolo non cessava di affermare la pluralità dei doni dello Spirito nella Chiesa. E questo vale anche per tutti i momenti della storia della Chiesa. In ciascuna epoca, lo Spirito di Dio manifesta la sua presenza nel Popolo di Dio in un modo che contribuisce alla crescita del Corpo di Cristo. La nostra fedeltà verso lo Spirito Santo deve dunque condurci ad accogliere, con il discernimento richiesto e soprattutto con simpatia, questi movimenti nuovi, quelli che sono già sorti, così come quelli che potranno nascere.
8. Non ho potuto sviluppare tutti gli aspetti che concernono i vostri lavori. Ma è con grande interesse che prenderò conoscenza delle conclusioni della vostra Assemblea.
Di tutto cuore, vi do la mia benedizione apostolica, domandando al Signore che il suo Spirito vi doni la sua luce, affinché le vostre riflessioni e i vostri orientamenti portino molto frutto.
E per i laici aggiungo un’ultima parola: vi affido il compito di trasmettere i miei saluti e la mia benedizione ai membri delle vostre famiglie - ai vostri sposi e spose, a tutti i bambini - che cooperano in un certo senso al lavoro di questo Consiglio pontificio, accompagnandovi con la loro preghiera e attraverso il lavoro supplementare che essi devono compiere a casa per il fatto che voi siete trattenuti dal vostro impegno.
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