DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL SACRO COLLEGIO DEI CARDINALI E ALLA CURIA ROMANA
Giovedì, 22 dicembre 1983
Signori Cardinali,
Venerati fratelli e Collaboratori.
1. Ringrazio cordialmente il venerato Cardinale decano, per il suo indirizzo di augurio, sempre nobile e fervoroso, che, come ogni anno, mi ha rivolto a nome di tutti voi, in questa immediata vicinanza delle festività natalizie. Se è sempre una particolare gioia accogliervi in tale circostanza, col timbro inconfondibile di serenità e di attesa che caratterizza questo momento forte della vita di Curia, quest’anno, senza dubbio, la gioia è più grande. È il Natale dell’Anno della Redenzione. Tutti avvertiamo che la realtà della nascita di Gesù è profondamente radicata, quest’anno, nella realtà del Giubileo. Getta su di esso una luce vivissima, straordinaria.
Gesù viene a salvarci. Il Figlio di Dio si mostra nell’umiltà velata della natura umana, che egli ha assunto per redimerci. Il Verbo si fa uomo per portare l’uomo all’altezza di Dio, per comunicargli, con la sua morte, la vita divina. “Factus ille quod tu, filius hominis - commenta icasticamente sant’Agostino -, ut nos efficeremur filii Dei! . . . Suscepit a te in quo moreretur pro te; suscepit a te quod offerret pro te” (S. Agostino, Enarr. in Ps. LXX, II, 10: CCL 39, 968). L’ombra della croce redentrice si proietta già sul mondo, pur nella luce della notte santa. Il Redentore nasce per morire per noi! Ecco tutta la soavità, la tenerezza, la commozione che riempiono i nostri cuori di credenti, in questo Anno Giubilare, che più vivo dipinge ai nostri occhi, e presenta alla nostra fede, il sacrificio dell’Amore misericordioso, che inizia il suo misterioso offertorio nel seno di Maria e nel silenzio della grotta di Betlemme!
2. L’anno scorso, in questa stessa occasione, vi ho esposto il mio pensiero sui significati e sulle intenzioni del Giubileo, E, riferendomi all’invito rivolto all’inizio del mio pontificato, concludevo: “Di qui, a tutta la Chiesa io grido: “Aprite le porte al Redentore!”” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad Patres Cardinales Romanaeque Curiae Praelatos, instante Nativitate Domini coram admissos, 12, 23 dicembre 1982: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V/3 [1982] 1683).
L’invito diventa tanto più concreto e realistico in questo Natale dell’Anno Giubilare. Dobbiamo veramente aprirci a Cristo che viene. Che le porte dei cuori non rimangano come quelle di Betlemme, freddamente, agnosticamente chiuse! Il richiamo vuol essere tanto più attuale in quanto non è immaginario il pericolo che la venuta del Signore trovi gli uomini assenti, impreparati, o troppo presi dalle illusioni, dalle faccende, dalle ansie del mondo che passa. Non è immaginario questo pericolo in un mondo che, spesso, rifiuta la vita, sfida la pace, rimane indifferente di fronte alle sofferenze dei piccoli, dei senza tetto, dei rifugiati, di chi muore di fame.
Aprite le porte! Lo ripeto con forza incrollabile, nella certezza che solo Cristo porta all’umanità la pienezza delle sue attese. Si aprano i cuori al Cristo che viene: “Super lignum ostii nostri sacrae redemptionis confessio resplendeat”, ci ammonisce sant’Ambrogio: “risplenda sui battenti della nostra porta la confessione della sacra redenzione!” (S. Ambrogio, Ep. 23, 22). Accogliendo lui, trovano adempimento tutte le aspirazioni del cuore umano; e quella pace “che il mondo non può dare”, e pure desidera con tutte le proprie forze, soltanto in lui si avvera pienamente, perché soltanto con la sua venuta la pace è portata agli uomini che Dio ama (cf. Lc 2, 14).
3. La prossima Festività del Natale trova la Chiesa impegnata a vivere a pieno ritmo, e a tutti i livelli, la celebrazione del Giubileo della Redenzione.
Vorrei anzitutto far giungere l’espressione gioiosa della mia lode e del mio ringraziamento a tutti i venerati fratelli nell’Episcopato, e a tutti i sacerdoti loro collaboratori, che, accogliendo prontamente il mio annuncio e comprendendone pienamente lo spirito, hanno preso le iniziative opportune perché il Giubileo fosse attuato a livello di Chiese locali, offrendo ai fedeli di tutto il mondo la possibilità di approfondire meglio il mistero della Redenzione, e di viverlo a livello esistenziale soprattutto mediante i sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia. Si è così corrisposto a quanto auspicavo nel messaggio natalizio dello scorso anno: “Ciò favorirà nei credenti il senso dell’universalità della Chiesa, la sua nota “cattolica”; e proporrò a tutti di vivere più intimamente il messaggio della Redenzione, e l’impegno di conversione e di rinnovamento spirituale che esso contiene, e che il Giubileo richiama con potente suggestività” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad Patres Cardinales Romanaeque Curiae Praelatos, instante Nativitate Domini coram admissos, 12, 23 dicembre 1982: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V/3 [1982] 1679).
Eccoci, dunque, ormai a nove mesi dall’inaugurazione dell’Anno Giubilare, nel cuore di esso. Notizie consolanti giungono incessantemente dalle diocesi di tutto il mondo.
La Chiesa vive l’Anno della Redenzione. Le diocesi hanno stabilito un programma puntuale, che tiene conto delle finalità del Giubileo; e i fedeli rispondono con generosità e con ammirevole buona volontà. Celebrazioni penitenziali nelle chiese cattedrali, in noti santuari specie mariani, come nelle singole parrocchie a ciò designate, hanno luogo con frutto ed edificazione. Iniziative diverse sono state indette per le varie categorie di persone, che vi prendono parte con grande serietà e raccoglimento: e mi piace ricordare in modo particolare i giovani, che dimostrano di aver compreso bene la realtà del Giubileo, e di volerla vivere con uno sforzo sincero di rinnovamento e di confidente apertura a Dio e ai fratelli. I malati ottengono anche premure speciali, e di questo mi compiaccio con cuore commosso, ben consapevole del posto che la loro sofferenza ha nel piano della Redenzione. Ed è soprattutto il rifiorire della pratica penitenziale, mediante il sacramento della Riconciliazione, a indicare come le profonde ragioni del Giubileo siano state accolte nel segreto delle coscienze, a livello di conversione e di elevazione personale, assicurando così in profondità il conseguimento degli scopi per cui esso è stato indetto.
Rinnovo pertanto il mio ampio apprezzamento ai miei fratelli nell’Episcopato e a tutto il clero. Inoltre, la realtà dei pellegrinaggi a Roma, a questo centro della fede cattolica che conserva un irresistibile forza di attrazione per i “trofei degli Apostoli” e le incomparabili memorie dei martiri, è continuamente sotto i nostri occhi, e non c’è bisogno di sottolinearla. Il flusso dei “romei” è costante, ha toccato punte eccezionali nei tempi forti della Quaresima e della Pasqua, come generalmente durante tutta l’estate, privilegiando la partecipazione squisitamente spirituale specialmente di piccoli gruppi, a livello parrocchiale, diocesano, di organizzazione capillare. È un vantaggio indubitato, un acquisto in profondità, una crescita di maturazione spirituale. E di tanto ringrazio anzitutto il Signore, quindi tutti coloro che, con sforzi notevolissimi sul piano dell’organizzazione, con puntualità, con abnegazione, hanno reso e rendono possibile un’esperienza ecclesiale tanto valida.
4. Per una più cosciente e incisiva celebrazione dell’Anno Santo ha avuto un’eccezionale forza d’urto la concomitante celebrazione della VI assemblea generale del Sinodo dei Vescovi, nello scorso mese di ottobre. È noto come il tema fosse in piena consonanza con le finalità del Giubileo: e, di fatto, la trattazione circa “la riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa” non ha potuto non risvegliare nella coscienza dei fedeli più vivo il senso del peccato e l’attesa di quei frutti della Redenzione, che effettivamente la Chiesa comunica con l’annuncio pubblico della conversione e con l’esercizio del potere delle chiavi nel segreto delle coscienze.
Inviando a tutti i Vescovi la mia lettera del 25 gennaio scorso, che accompagnava l’“Instrumentum laboris” preparato per l’assemblea, sottolineavo: “Alla radice dei mali morali, che dividono e lacerano la società, sta il peccato. Tutta la vita umana si presenta quindi come una lotta, spesso drammatica, tra il bene e il male. Soltanto se si toglie la radice dei mali si può raggiungere una valida riconciliazione. Perciò la conversione personale a Dio è insieme la miglior strada per il duraturo rinnovamento della società, giacché in ogni atto di vera riconciliazione con Dio mediante la penitenza è intrinsecamente presente, accanto alla dimensione personale, anche quella sociale. Fin dalla sua preparazione il Sinodo mira a questa penetrazione della Redenzione nell’azione della Chiesa a beneficio della società umana. Il fervore di preparazione al Sinodo produrrà quindi nelle Chiese locali una riflessione e una fermentazione che coincidono con le finalità dell’Anno Santo” (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VI/1 [1983], p. 210; cf. Ivi, p. 216).
Dal canto loro, nell’appassionato messaggio emesso al termine dell’assemblea, i Padri Sinodali si sono così espressi: “La Parola di Dio interpella il genere umano circa il suo dolore e la sua speranza; ci sollecita a convertirci e a tornare di nuovo a Dio. La Parola proclamata dal Signore fin dall’inizio del suo ministero di riconciliazione si rivolge con particolare vigore a tutti, credenti e non credenti, specialmente in quest’Anno Santo: “Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1, 15). Questa Parola ci richiama alla penitenza e alla conversione del cuore, affinché chiediamo perdono e ci riconciliamo col Padre. Il piano voluto dal Padre per la nostra società è che viviamo come un’unica famiglia, nella giustizia e nella verità, nella libertà e nell’amore” (Patrum Synodalium Nuntius ad Populum Dei, 28 ottobre 1983).
È un richiamo che faccio mio, in attesa che le conclusioni del Sinodo siano raccolte in un apposito documento del Magistero ordinario della Chiesa; e tale richiamo diventa tanto più eloquente in questa vicinanza del Natale, in cui il Verbo si fa uomo per bussare alle porte di ogni cuore, e ottenere l’assenso dell’amore.
5. Tutto ciò rende particolarmente significativa l’imminente celebrazione. È il Natale della Redenzione. Risentiamo echeggiare nella Notte Santa il canto degli Angeli, inneggiante alla gloria di Dio nei cieli e alla pace degli uomini in terra, canto che esploderà nell’Alleluia della Veglia pasquale; inizia il cammino di salvezza, che il Verbo di Dio è venuto a condividere con gli uomini per farli partecipi della sua risurrezione. Se, come ho detto qui annunciando il Giubileo, questo “è un anno ordinario celebrato in modo straordinario”, questo Natale deve portare con sé tale caratteristica di straordinarietà: nell’aprire i nostri cuori al Bambino che nasce; nel produrre frutti di vera conversione: sia sul piano personale e individuale, ove si operano i ritorni definitivi a Dio pur dopo l’amara esperienza dell’infedeltà e del peccato; sia sul piano sociale e comunitario, sul quale le mancanze dei singoli si ripercuotono per una misteriosa legge di comunione e di corresponsabilità. Come hanno scritto i Vescovi nel già citato messaggio conclusivo dei lavori del Sinodo, “il cuore umano è in se stesso diviso e piagato dal peccato; da ciò spesso derivano anche le crudeltà e l’ingiustizia della nostra società” (Patrum Synodalium Nuntius ad Populum Dei, 28 ottobre 1983).
Il Natale di questo Anno Giubilare della Redenzione invita tutti gli uomini, e in modo particolare i credenti in Cristo, a prendere coscienza delle proprie responsabilità per giungere alla vera conversione, cioè alla profonda pacificazione con Dio, e, di conseguenza, per contribuire alla riconciliazione nella società, cioè alla sincera pacificazione tra gli uomini.
6. In effetti, ci troviamo oggi in una situazione di drammatica divisione, a tutti i livelli, che fa riflettere le persone più pensose dell’avvenire dell’umanità.
L’uomo è interiormente dissociato dalle opposte tensioni che sente in se stesso, come la costituzione pastorale Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II ha richiamato con accenti di estrema lucidità, trattando della condizione dell’uomo nel mondo contemporaneo (cf. Gaudium et Spes, 4-10). L’uomo, come è stato là sottolineato, debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe (cf. Rm 7, 14 ss.), per cui soffre in se stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società” (Gaudium et Spes, 10).
Questa dissociazione si riflette dolorosamente nell’ambiente in cui vive l’uomo. Prima di tutto nella famiglia, che in modo più immediato e in forma più sensibile rivela il profondo malessere dell’uomo. Accanto a grandi e innegabili aspetti positivi, come ho messo in luce nell’esortazione apostolica Familiaris Consortio, “non mancano segni di preoccupante degradazione di alcuni valori fondamentali: un’errata concezione teorica e pratica dell’indipendenza dei coniugi fra di loro; le gravi ambiguità circa il rapporto di autorità tra genitori e figli; le difficoltà concrete, che la famiglia spesso sperimenta nella trasmissione dei valori; il numero crescente dei divorzi; la piaga dell’aborto; il ricorso sempre più frequente alla sterilizzazione; l’instaurarsi di una vera e propria mentalità contraccettiva” (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, 6).
Sono elementi negativi che coinvolgono la più importante cellula vitale, entro cui si sviluppa l’uomo, e che dimostrano come la crisi della persona, bisognosa di Redenzione, si estenda in primo piano alla famiglia, che ha anch’essa bisogno della ricomposizione dell’ordine voluto da Dio, se vuole ritrovare la propria identità di vita e la propria funzione plasmatrice delle coscienze.
7. Il malessere dell’uomo dissociato si estende poi all’intera società. Vi sono nel mondo d’oggi - e ogni giorno ne giungono le tragiche conferme - continui focolai di situazioni che attentano al messaggio della riconciliazione e della conversione, che la Chiesa proclama in nome di Cristo. La guerra minaccia l’esistenza della società, lacerata da pericolosi egoismi, ed esposta a continue sfide. Le Nazioni, nonostante nobili sforzi di Organismi internazionali e sopranazionali, sembrano sempre più profondamente divise, e i loro rapporti librati su giochi di equilibri, spesso fragili e precari.
Un’esaltazione della libertà, che prescinde da ogni norma morale, minaccia di annientare l’uomo nella sua meravigliosa ricchezza spirituale e nelle sue energie, da cui dipende l’avvenire dell’intera umanità. E, d’altra parte, la limitazione, in molte parti del mondo, delle elementari libertà sancite dalla Dichiarazione sui diritti dell’uomo e dai documenti internazionali che vi hanno fatto seguito fino a quest’ultimo periodo, vorrebbe soffocare nell’uomo l’anelito insopprimibile della sua dignità primigenia e fondamentale, che porta stampata in se stessa l’orma immortale dell’immagine di Dio.
Nel mondo intero si ripercuotono le lacerazioni dell’uomo singolo, e creano situazioni intollerabili di oppressione e di crisi. Il peccato personale acquista dimensioni planetarie. Ecco perché vi è il bisogno urgente di una pacificazione, che parta dalla verace conversione interiore delle persone singole per giungere alla sfera più ampia della vita sociale e politica.
8. La Chiesa, con tutta umiltà ma con franchezza totale, che nasce dalla piena fiducia nell’aiuto promessole dal Signore, è consapevole di compiere tutto quanto le è possibile perché la vita umana si dipani secondo l’ordine fondamentale voluto da Dio.
Anzitutto, per la sua vita interna, che vuole regolata da norme, dettate dalla carità e improntate alla giustizia. E in questa luce si colloca l’avvenimento storico, accaduto in quest’Anno Giubilare, della promulgazione del nuovo Codice di Diritto canonico dopo 24 anni dal suo primo annuncio fatto dal mio predecessore Giovanni XXIII. Anche questa è stata, ed è, un’opera di ecclesialità, i cui influssi benefici sono da vedere nella luce dell’Incarnazione del Verbo. Cristo che si fa uomo obbedisce alla volontà del Padre che lo ha mandato (cf. Eb 10, 5-11; Gv 6, 38). Nell’obbedienza del Figlio al Padre, che brilla nel mistero del Natale, ha radice l’obbedienza dei figli nel Figlio. Il complesso delle leggi della Chiesa, ora riveduto alla luce del Vaticano II, non tende ad altro che a “creare un tale ordine nella società ecclesiale - come è scritto nella costituzione apostolica Sacrae disciplinae - che, assegnando il primato alla fede, alla grazia e ai carismi, renda più agevole contemporaneamente il loro organico sviluppo nella vita sia della società ecclesiale, sia anche delle singole persone che ad essa appartengono” (Giovanni Paolo II, Sacrae disciplinae leges, 29 gennaio 1983: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VI/1 [1983] 232). In altre parole, la legge scritta serve alla vita di grazia, la facilita, fornisce le condizioni entro cui possa svilupparsi. È la Chiesa che assicura a se stessa le condizioni primarie per la vita dei suoi figli.
In secondo luogo, la Chiesa non cessa di offrire lealmente la sua collaborazione anche all’esterno affinché si spengano i già menzionati focolai di divisione e di odio. Essa annuncia la riconciliazione sia ai singoli come a livello di popoli: nei rapporti delle loro varie componenti sociali per una operosa concordia civile, come nelle relazioni internazionali per una effettiva intesa e una vera pace. È un messaggio che coinvolge tutti, nessuno escluso. Come ho voluto sottolineare nell’omelia a San Salvador, il 6 marzo scorso, il cristiano sa che tutti i peccatori possono essere riscattati: che il ricco può e deve cambiare atteggiamento; che chi fa ricorso al terrorismo può e deve cambiare: che chi serba rancori e odio può e deve liberarsi da tale schiavitù: che i conflitti possono essere superati; che dove impera il linguaggio delle armi in lotta può e deve regnare l’amore, fattore irrinunciabile di pace. E parlando di conversione come strada verso la pace, non auspico una pace artificiale che nasconde i problemi e ignora i meccanismi corrotti che occorre risistemare. Si tratta di una pace vera, nella giustizia, nel riconoscimento integrale dei diritti della persona umana. È una pace per tutti” (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VI/1 [1983] 603-604).
L’azione della Chiesa si rivolge a tutti. E la Chiesa prega affinché tutti ottengano quella pace, a cui aspira l’intimo anelito dei loro cuori. A questa universale sollecitudine di preghiera ho esortato anche l’immensa folla, che gremiva l’Esplanade del Santuario di Lourdes, alla veglia dell’Assunta. “Che trovino posto nella nostra preghiera quegli uomini e quelle donne che, in ogni luogo dell’universo, soffrono per le devastazioni della guerra, per le migrazioni, coloro che sono vittima del terrorismo - politico o no - che colpisce senza scrupolo gli innocenti, con l’odio, le oppressioni, le ingiustizie di ogni genere, rapiti, sequestrati, torturati, condannati senza garanzia di giustizia; tutti coloro che subiscono attentati intollerabili alla loro dignità umana e ai loro diritti fondamentali, che sono ostacolati nella loro giusta libertà di pensare e di agire, umiliati nelle loro legittime aspirazioni nazionali. Affinché cambi l’atteggiamento dei responsabili e le vittime ricevano conforto e coraggio! Pensiamo anche alla miseria totale di coloro che sono travolti nella corruzione di ogni genere. Preghiamo ancora per coloro che conoscono gravi difficoltà in seguito alla loro condizione di immigrati, di disoccupati, di malati, di infermi, poiché sono soli. È il Cristo, il Figlio dell’uomo che soffre in loro” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad christifideles ante Cryptam Lapurdensem congregatos habita, 14 agosto 1983).
La pace all’interno delle Nazioni, la pace nelle relazioni tra i popoli: è questa l’opera che la Chiesa sta svolgendo, e la collaborazione che vuole offrire a tutti gli uomini di buona volontà, ai Governanti come all’uomo della strada. È un colloquio che non mi stanco di intrecciare nei miei incontri con i Capi di Stato, con i responsabili della politica internazionale, con le folle durante i miei viaggi: ricordo in modo particolare l’America Centrale, la Polonia, l’Austria. Anche questo rientra in quella logica della conversione che, in questo Giubileo della Redenzione, deve coinvolgere tutte le Nazioni. Ne va della loro vita! Ne è di mezzo il futuro dell’umanità!
9. Vedete dunque come in quest’Anno Giubilare si assommano e confluiscono tutte le situazioni in cui oggi vive l’umanità, nel bene come nel male. Le sofferenze, a cui accennavo lo scorso anno in questa occasione, che permettono all’uomo contemporaneo di prolungare e di rivivere in se stesso la Passione di Cristo - “adimpleo ea quae desunt” (Col 1, 24) - si sono ulteriormente aggravate: si pensi soltanto alla crescente drammaticità delle vicende nel Libano e in altre zone del Medio Oriente come dell’America Centrale, al terrorismo che continua implacabile, ai sequestri che tengono in ansia intere famiglie.
Ma questi fatti pur tanto dolorosi, ai quali accenno solo sommariamente, non possono far dimenticare tutto il gran bene che vi è nel mondo: l’impegno di preghiera e di approfondimento evangelico nella gioventù; la fedeltà generosa della maggioranza delle famiglie, pur in reali e gravi situazioni di difficoltà; la solidarietà che si afferma in favore dei fratelli meno privilegiati dalla sorte; l’azione missionaria della Chiesa; l’aspirazione ad un ritorno alle sorgenti, specie mediante la sacra Liturgia, che anima tante persone, e tante organizzazioni di apostolato laicale. Il Giubileo, che fonde nella sua chiamata alla conversione tutte queste voci, liete o tristi, dell’odierna storia del mondo, dà ad esse la giusta luce, le inquadra nella retta comprensione, e fa sperare in un domani migliore, per la maturazione delle coscienze alla luce del Vangelo di Cristo.
10. Ecco perché questo Natale dell’Anno Santo deve avere per tutti un particolare richiamo. Deve invitarci a riflettere più a fondo sulle responsabilità che il Signore, facendosi uomo, affida alla Chiesa per la salvezza dell’uomo. Deve spingerci a lavorare di più perché la sua venuta porti davvero l’umanità a vivere nella direzione che egli ha impresso nella storia del mondo. Dopo la nascita di Cristo. tutto è cambiato: “Ecce nova facio omnia” (Ap 21, 5). La sua venuta porta con sé un rinnovamento cosmico, poiché, come ha scritto il Crisostomo: “L’Incarnazione del Figlio di Dio è il compendio e la radice di tutti i beni” (S. Giovanni Crisostomo, In Matth. Hom. II, 3: PG 57, 27).
È il rinnovamento dell’uomo: “Era necessario per il genere umano che Dio diventasse uomo - dice san Tommaso - per dimostrare la dignità della natura umana . . . Col farsi uomo, Dio volle manifestare apertamente il suo amore per gli uomini, da indurli a sottomettersi a Dio non per paura della morte . . . ma per amore di carità” (S. Tommaso, Compendium theologiae, 201).
E il rinnovamento della famiglia, che a Betlemme e a Nazaret trova l’esemplare perfetto della propria vita, e l’ispirazione e la forza per i quotidiani eroismi, a cui è chiamata. La recente “Carta della famiglia” pubblicata da questa Santa Sede, ha ribadito che “la famiglia costituisce, più ancora di un mero nucleo giuridico, sociale ed economico, una comunità di amore e di solidarietà che è in modo unico adatta a insegnare e a trasmettere valori culturali, etici, sociali, spirituali e religiosi, essenziali per lo sviluppo e il benessere dei propri membri e della società” (Carta dei diritti della famiglia, 22 ottobre 1983, Preambolo, E). E questo amore e questa solidarietà trovano nel Natale l’incentivo forte e soave, l’ambiente ideale, la giustificazione suprema.
Infine, è il rinnovamento della società, nella proclamazione di quella pace, che solo in Dio trova la propria realizzazione e difesa, e che oggi manca nel mondo appunto perché non si trova il coraggio di appellarsi a Dio, autore della pace; perché solo la vittoria sul peccato e sugli egoismi personali può portare con sé la pace.
11. Spunterà finalmente un’alba di pace? È il sospiro che sale da tutta l’umanità. La fede ci dice che questo è possibile; nella misura in cui il mondo saprà cogliere il Cristo che viene: nella misura in cui gli uomini faranno tacere i richiami dell’egoismo e sapranno, nella rinuncia al piacere irrazionale e umiliante, disporsi alla conversione del cuore.
Affido questa speranza incrollabile all’intercessione della Vergine Santa. Ella è il “tipo” della Chiesa particolarmente in questo tempo di attesa, come Vergine in ascolto della Parola di Dio, e come Madre che offre al mondo la Parola incarnata del Padre; ella sola pertanto può guidare la Chiesa, in questo Natale dell’Anno Giubilare della Redenzione, sul cammino della vera riconciliazione e della pace, con Dio e con i fratelli. Con lei andiamo verso il Redentore: mentre, anno dopo anno, ci avviciniamo al grande Giubileo del Duemila, possiamo fin d’ora, con lei e come lei, realizzare in noi le promesse del Redentore, accogliere il suo invito alla conversione, vivere nella verità del suo Vangelo e nella forza del suo amore.
“Erroris umbras discute / Syrtes dolosas amove, / fluctus tot inter, deviis / tutam reclude semitam”. Sì, Maria ci apra la via sicura a Cristo Redentore, e ci conduca a lui col suo amore materno.
Nell’attesa di questo Natale, nella dolcezza che questi sentimenti suscitano in noi, tutti vi benedico, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Buon Natale e sereno Anno!
* * *
Da qualche ora è stata diffusa la notizia che un Vescovo del Nicaragua, Monsignor Salvator Schläefer, Vicario apostolico di Bluefields, è stato ucciso in circostanze ancora non bene conosciute. Egli era stato rapito ieri, insieme a tre suoi sacerdoti e ad un numero imprecisato di persone, mentre era in visita pastorale ad una comunità di Indiani Miskitos della sua diocesi. Se confermata, sarebbe una notizia molto dolorosa, che vela di mestizia questa vigilia natalizia. Essa fa subito pensare alla grave parola della Scrittura: “Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge” (Mt 26, 31).
Vorrei elevare con voi una preghiera per quel zelante Presule, benemerito missionario in una terra già così tormentata, testimone dell’amore di Cristo in mezzo alla umile gente di cui era amato Pastore, ed esprimere la nostra solidarietà con i Vescovi e la Chiesa che soffre in Nicaragua e nei Paesi dell’America Centrale.
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