INCONTRO DI GIOVANNI PAOLO II
CON I DETENUTI DEL CARCERE ROMANO DI REBIBBIA
Martedì, 27 dicembre 1983
Voglio ringraziarvi per la vostra partecipazione raccolta e sentita alla liturgia. Vi ringrazio anche per i doni che mi avete offerto e anche per le lettere che mi sono state consegnate. Voglio leggerle e lo farò, perché sono indirizzate a me. Adesso voglio avvicinarmi a voi e salutarvi personalmente e attraverso voi saluterò anche tutti gli altri che non sono in questa cappella. Sono venuto qui per parlare con tutti. Il mio messaggio è per tutti. Ci troviamo vicini al primo gennaio, alla Giornata mondiale della pace. In quella occasione il Papa pubblica un messaggio rivolto a tutto il mondo e io voglio lasciarvi in dono anche questo messaggio, perché certamente il problema della pace ci preoccupa tutti e ci unisce tutti. Vi lascio anche la corona del Rosario.
Ho potuto avvicinare personalmente ciascuno di voi. Forse mi avete detto cose già preparate, quasi tenendo presente uno schema. Qualcun altro ha voluto fare una piccola confessione. Io vi ho detto quello che avevo nel cuore. Vi assicuro di essere pronto a fare per voi ogni cosa, a essere sempre vicino a voi. Farò per voi quanto è possibile.
La presenza di Maria, Madre di Cristo, è vicina, perché voi non siete più bambini, anche se tutti noi nella nostra vita rimaniamo bambini e dobbiamo essere spiritualmente dei bambini. A questa Madre io affido ciascuno di voi. Perché lei è la fonte della nostra consolazione e quindi della nostra speranza. Perché la Madre di Cristo e Madre nostra può darvi come dono l’amore di Dio. Voglio affidarvi a questa Madre e voglio che questa Madre sia in mezzo a voi come una dolce, dolcissima presenza. Vi assicuro che questa data del 27 dicembre 1983 rimarrà nella mia anima e nel mio cuore come una grande esperienza umana e cristiana. Sia lodato Gesù Cristo.
Oggi ho potuto incontrare il mio attentatore e ripetergli il mio perdono, come già feci subito, non appena mi fu possibile. Ci siamo incontrati da uomini e da fratelli e tutte le vicende della nostra vita portano a questa fratellanza.
Volevo farvi una visita per completare quella che ho fatto nell’altra casa, dove si è anche celebrata la liturgia della Parola che voi avete potuto ascoltare: con le parole della Sacra Scrittura e anche con la mia omelia e con quello che ho presentato in quell’omelia ai vostri spiriti, alla vostra riflessione per il bene delle vostre anime, per una speranza per le vostre vite. Ma non volevo abbandonare le altre case: la vostra e quella femminile. Ripeto tutto quello che ho già detto e vi ringrazio per le parole rivoltemi, vi ringrazio per i doni che mi sono stati offerti. Ammiro questi doni artistici. Ringrazio specialmente per l’ultima parola detta dal vostro compagno. Ha parlato della speranza nell’avvenire. Ecco, questo auguro a tutti voi: un avvenire migliore, e di non perdere questa speranza in un avvenire migliore per ognuno di voi, per le vostre famiglie. La cosa che posso lasciarvi è quella sostanziale: l’assicurazione che Cristo è fra voi; anzi, egli si è identificato con i prigionieri, i carcerati, perché ha detto a tutti coloro che lo ascoltavano in tutte le epoche: se avete visitato un prigioniero avete visitato me. Così egli si è identificato con ciascuno di voi. Questo ci dà molto da pensare, molto da pensare a ciascuno di noi, per me oggi e ogni giorno. Ma questo dà anche molto da pensare a ciascuno di voi.
Vi lascio questo pensiero. Che sia per voi una luce, una luce forte, luce di speranza. Così come adesso celebriamo il Natale e ci avviciniamo al nuovo anno, questa luce natalizia, questa stella conduce gli uomini come conduceva i magi; direi: conduce gli uomini sulle loro strade, forse lunghe, molto lunghe, ma strade che finalmente conducono a un punto sicuro. Questo punto sicuro di ogni realtà umana è Dio, e la verità che Dio è amore. Questo è rivelato in Cristo: Dio è amore.
Voglio completare la mia visita che ho iniziato con una celebrazione della Parola di Dio e con un’omelia, che anche voi avete potuto ascoltare. Vorrei completare questa visita con una visita specifica alla vostra casa. Devo dirvi che qui mi sento molto commosso, profondamente commosso, vedendo voi e avendo per voi donne una speciale stima, una stima che proviene dalla mia devozione alla Madre di Cristo, speciale in questo periodo natalizio. Avendo questa stima per ogni donna, rimango profondamente commosso dal nostro incontro, da questa visita. Voglio offrirvi l’espressione di questa stima nel periodo natalizio quando tutti ci incontriamo intorno al presepe, intorno alla Vergine Madre, intorno a Gesù Bambino. Anche qui ho incontrato alcune madri e alcuni bambini: anche questa è un’altra sorgente della mia commozione. Vorrei augurarvi tutto quello che ho augurato nella prima allocuzione, nell’omelia tenuta nella prima casa, ma con un indirizzo specifico che tocca la vostra situazione femminile, la vostra psicologia femminile, la vostra vocazione umana e cristiana, se ci sono, e penso che siano la maggioranza, delle cristiane tra voi. Vi auguro questa scarcerazione di cui parla la Sacra Scrittura di oggi. Questa “scarcerazione interna”. Naturalmente anche quella esterna, pubblica, una reintegrazione nella vita delle vostre famiglie, dei vostri ambienti, del vostro popolo italiano e non italiano (perché so che ci sono tra voi anche persone di altra nazionalità).
Tutto quello che dico è poco di fronte alla realtà che vivo interiormente in questo incontro. Poiché questo è l’ultimo incontro, voglio aggiungere ancora una parola sull’insieme della visita. Rimarrà un giorno storico nella mia vita, come uomo, come cristiano, come Vescovo e come Vescovo di Roma. La visita in carcere, l’esperienza umana e cristiana, pastorale che questa visita mi ha portato. Esperienza ancora più profondamente vissuta nel contesto del periodo natalizio, ancora più profondamente vissuta nel contesto dell’Anno Santo della Redenzione.
In questa circostanza, ho potuto incontrare anche la persona, che voi tutti conoscete, di nome Alì Agca, che nell’anno 1981, il 13 maggio, ha attentato alla mia vita, ma la Provvidenza ha condotto le cose in una sua maniera, direi, eccezionale, direi anche, meravigliosa. Oggi, dopo più di due anni, ho potuto incontrare il mio attentatore e ho potuto anche ripetergli il mio perdono che ho concesso subito dopo l’attentato e poi ho anche dichiarato pubblicamente, quando era possibile per me, dall’ospedale. Penso che anche l’incontro di oggi, nel contesto, nella cornice dell’Anno della Redenzione, è provvidenziale. Non è stato pianificato, programmato; è venuto e il Signore mi ha dato, come penso abbia fatto anche a lui, la grazia di poterci incontrare da uomini e da fratelli, perché tutti siamo fratelli e tutte le vicende della nostra vita devono confermare quella fratellanza che proviene dal fatto che Dio è nostro Padre e che noi tutti siamo suoi figli in Gesù Cristo. Così siamo tutti fratelli. Vi ringrazio per la vostra accoglienza, mi raccomando anche alle vostre preghiere e vi auguro di ritenere la vostra dignità personale, umana, femminile, intatta e di poter essere reintegrate nella vita della vostra famiglia e della vostra società.
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