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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AL TERMINE DELLA «VIA CRUCIS» AL COLOSSEO

Venerdì Santo, 20 aprile 1984

 

1. “Ecce lignum crucis . . . Ecco il legno della croce, a cui fu appeso il Cristo, salvatore del mondo. Venite, adoriamo”.

Oggi la Chiesa in tutto il mondo adora la croce di Cristo.

2. Per questa adorazione della croce del Venerdì santo siamo venuti al Colosseo. Qui, in conformità alla tradizione, i pellegrini della Settimana Santa sono soliti meditare sulla Via Crucis, sotto la guida del Vescovo di Roma. Così abbiamo fatto anche oggi, Venerdì santo dell’Anno Giubilare della Redenzione.

Il luogo sul quale ci troviamo parla a noi in modo particolare col linguaggio della croce di Cristo, perché ci porta col pensiero ai secoli in cui i cristiani furono perseguitati.

Questo luogo - come è noto - fu teatro di giochi crudeli di bestie e di gladiatori, poi fortezza e rifugio. La pietà cristiana in tempi relativamente recenti ne ha fatto luogo di preghiera, consacrato alla devozione verso la passione di Gesù e verso quella dei cristiani, martirizzati durante le persecuzioni in varie parti di Roma. Il mio predecessore Benedetto XIV confermò tale destinazione erigendo, alla fine dell’Anno Santo del 1750, le stazioni della Via Crucis nel Colosseo. In questo Anno Santo straordinario noi continuiamo quella pia devozione alla memoria della redenzione dell’uomo, operata mediante la croce.

3. Nell’Anno Santo della Redenzione ci sentiamo uniti in modo specialissimo alla croce di Cristo. In questo Anno Giubilare la testimonianza dei martiri della Roma cristiana ci parla in modo profondo ed eloquente e ci ricorda le parole di sant’Ambrogio (S. Ambrosii, Ep. 18, 11): “Nos sanguine gloriamur”.

Ecco, i nostri fratelli e sorelle nella stessa fede e nel Vangelo, nello stesso Cristo e nella Chiesa. Ecco, coloro che hanno preceduto noi, cristiani contemporanei, nella via che Cristo ha aperto: la via della nuova ed eterna alleanza mediante la croce.

Essi ci hanno lasciato una testimonianza di eroico sacrificio e in essi “la morte e la vita si sono affrontate in un prodigioso duello” («Sequentia paschalis»). Benché agli occhi degli uomini sembri aver prevalso la morte, secondo la divina economia della redenzione essi hanno ricevuto in possesso la pienezza della vita.

Vivono quindi in Dio stesso, congiunti nel mistero della comunione dei santi, nel quale - in vincolo eterno con Cristo crocifisso e risorto - si uniscono, al tempo stesso, alla Chiesa terrena nel Giubileo della Redenzione.

Desideriamo avvertire particolarmente profonda la loro presenza in questo luogo. Desideriamo entrare nell’eredità dei loro meriti che, tutti, sono frutto della croce di Cristo. Con tale fede meditiamo sul loro martirio, osando dire, insieme con l’apostolo, che con le loro sofferenze essi hanno completato ciò che manca ai patimenti di Cristo (cf. Col 1, 24).

Così, dunque, essi stessi redenti con la forza della croce di Cristo, aiutano anche noi ad avvicinarci alle sorgenti della redenzione e ad attingere abbondantemente ad esse.

4. E quando ricordiamo queste prime generazioni di cristiani che hanno vissuto per Cristo ed erano pronti a dare la propria vita per lui, non possiamo dimenticare, in questa Via Crucis al Colosseo, tutti i nostri fratelli e sorelle che nei tempi odierni, in diverse parti del mondo, vivono per Cristo e sono pronti a dare anche la vita per lui.

Proprio essi, presenti in modo singolare nel cuore della Chiesa, devono essere anche particolarmente presenti nella memoria e nella preghiera di tutti noi riuniti, presso il Colosseo romano, in questo Venerdì santo dell’Anno Giubilare della Redenzione.

Nel pellegrinaggio dell’anno scorso a Lourdes, dinanzi alla Madre di Cristo, ho voluto evocare il ricordo di tali fratelli sofferenti a motivo della loro fede cristiana, con le seguenti parole:

“Ci sono oggi migliaia e migliaia di testimoni della fede, molto spesso ignorati o dimenticati dall’opinione pubblica . . . Essi sono spesso conosciuti da Dio solo. Sopportano privazioni quotidiane, nelle regioni più diverse di ogni continente. Si tratta di credenti costretti a riunirsi clandestinamente perché la loro comunità religiosa non è autorizzata. Si tratta di vescovi, sacerdoti, religiosi, ai quali è proibito esercitare il ministero nelle Chiese o in pubbliche riunioni. Si tratta di religiose disperse che non possono vivere la loro vita consacrata. Si tratta di giovani generosi, impediti di entrare in un seminario o in un luogo di formazione religiosa per realizzarvi la propria vocazione. Si tratta di ragazze alle quali non è data la possibilità di consacrarsi in una vita dedita alla preghiera e alla carità verso i fratelli”.

Anche la Lettera Apostolica Salvifici Doloris (Ioannis Pauli PP. II, Salvifici Doloris, n. 31), nell’approfondire il senso evangelico di ogni sofferenza, menziona le suddette situazioni di dolorosa e contrastata testimonianza, esprimendosi, tra l’altro, così:

“Occorre, pertanto, che sotto la croce del Calvario idealmente convengano tutti i sofferenti che credono in Cristo e, particolarmente, coloro che soffrono a causa della loro fede in lui, crocifisso e risorto, affinché l’offerta delle loro sofferenze affretti il compimento della preghiera dello stesso salvatore per l’unità di tutti”.

Tutti i fratelli che soffrono per la loro fede hanno una singolare “parte” alla croce di Cristo, e condividono perciò, a speciale titolo, i beni spirituali di questo Anno Giubilare della Redenzione. Attingono ad esso e contemporaneamente creano la sua spirituale ricchezza salvifica nell’unione col Signore Gesù Cristo, crocifisso e risorto.

5. Ecco il legno della croce.

Ecco il legno sul quale Cristo, Figlio del Dio vivente, Cristo, Figlio di Maria di Nazaret, ha compiuto la redenzione del mondo.

La Chiesa adora oggi questo legno salvifico e al tempo stesso si rivolge ad esso con umile preghiera: “O crux, ave, spes unica!”.

“O croce di nostra salvezza, albero tanto glorioso . . . Or piega i tuoi rami frondosi, distendi le rigide fibre, si allenti quel rigido legno che porti con te per natura: accogli su un morbido tronco le membra del Cristo Signore” (Antifona e inno del Venerdì Santo).

La croce sostiene col suo abbraccio mortale il corpo di Cristo, fino a che “tutto è compiuto”. Solo allora essa restituisce il corpo morto alla Madre dolorosa, e inizia la sepoltura del Crocifisso.

Tale mistero dell’abbraccio mortale della croce col corpo del Figlio di Dio continua nella storia del mondo.

E continua anche la gloria della redenzione legata per sempre alla croce del Calvario.

Quindi la Chiesa - e in essa il Vescovo di Roma, quale indegno custode di questo inscrutabile Mistero - grida agli uomini del passato e del futuro; grida soprattutto a tutti i contemporanei: “Venite adoremus! Venite adoremus!”: da tutti i confini della terra; da tutti i continenti; da tutte le nazioni e razze; da tutte le lingue e culture.

Uomini di ogni età e professione, in qualsiasi stato della vostra esperienza umana vi troviate, qualunque sia il prezzo che pagate nella vostra vita, qualunque sia il peso che grava sulla vostra coscienza, qualunque sia il vuoto che minaccia il vostro spirito.

Venite! Venite!

Adoriamo insieme la croce di Cristo, che si è legata inseparabilmente alla storia di questa terra.

Adoriamo insieme la croce su cui è morto il Figlio di Dio! Per mezzo di questa croce Dio non morirà mai nella storia dell’uomo!

 

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