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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PELLEGRINI POLACCHI PER GLI AUGURI NATALIZI

Aula Paolo VI - Lunedì, 24 dicembre 1984

 

1. Oggi è la vigilia di Natale. Attendendo la notte di Betlemme ci raduniamo attorno alla mensa della vigilia e spezziamo il pane chiamato “oplatek”. Vogliamo ricordare così che colui che “ha avuto corpo umano dalla Madre, la Vergine immacolata”, ci ha dato poi questo corpo come nutrimento, per renderci forti nel nostro cammino terreno con la forza del corpo divino. Spezzando questo pane rinnoviamo continuamente i vincoli della comunione fraterna che ci unisce attraverso il corpo del Signore.

L’“oplatek” deve anche rinnovare la comunione fraterna tra gli uomini. Perciò voglio spezzare oggi l’“oplatek” con i miei fratelli e sorelle, che sono figli della mia stessa patria.

2. La parola “patria” ci parla di una storia comune che ci unisce, di un passato carico di ricordi delle vittorie e delle sconfitte. L’“oplatek” trasporta questo passato verso il futuro. Ci scambiamo infatti gli auguri, e gli auguri corrono sempre verso il futuro, verso il bene che si deve realizzare, verso la speranza . . .

Un popolo che ha vissuto dure esperienze storiche non può rinunciare alla speranza che è alla radice di queste esperienze.

3. Voglio ricordare qui le parole del sacerdote la cui morte ha sconvolto le coscienze, e non solo dei polacchi. Questa morte è stata una testimonianza in cui noi, polacchi, e non soltanto noi, leggiamo quei fondamentali contenuti e valori per i quali l’uomo e la società vogliono vivere.

“Solidarnosc - diceva padre Popieluszko era ed è la speranza di milioni di polacchi, speranza tanto più forte, quanto più è unita a Dio attraverso la preghiera” (discorso dell’agosto 1982). “Il seme della preoccupazione per la patria, gettato nella terra polacca nell’agosto 1980, innaffiato di sangue, di lacrime, di sofferenze e del dolore dei nostri fratelli e delle nostre sorelle in questo ultimo anno (1982) deve dare buoni frutti

. . . Non possiamo perdere questa speranza. Infatti il popolo è abbastanza forte per operare e lavorare creativamente per il bene della patria. Questa nazione è capace di molti sacrifici ma vuole patti chiari. Vuole la garanzia che le sue fatiche non andranno di nuovo sprecate” (discorso del dicembre 1982).

4. Attorno alla mensa della vigilia ricordiamo i defunti. Molte famiglie polacche in questa omelia ricorderanno certamente quel sacerdote, la cui morte ha un’eloquenza così forte. Un’eloquenza per i vivi, per la nazione e la Chiesa, per il mondo del lavoro e il mondo della cultura, per i giovani, per chi detiene il potere.

Questa testimonianza è anche un richiamo alla presenza di Cristo nella nostra vita polacca. Tale è l’opinione della nazione. Questo desidera chi crede nella nostra patria. Questo desiderano i giovani che, difendendo eroicamente assieme ai genitori la presenza del Crocifisso nei luoghi di studio e di lavoro dei credenti, testimoniano che Cristo è per loro il valore più grande. E per questo i vescovi polacchi continuano a ricordare e rivendicare l’osservanza di questi fondamentali diritti dell’uomo.

“La croce è il sostegno della vita morale dell’uomo - leggiamo nella lettera pastorale del 6 dicembre 1984 -. Essa mostra e avvicina sempre, e a tutti, i più alti valori etici . . . svolge una funzione educativa della massima importanza: a casa, a scuola, in tutti i luoghi di lavoro e di vita sociale . . . La croce è scuola di fratellanza e di amore, poiché su di essa si è compiuta la riconciliazione . . . Vogliamo le croci nei luoghi dove cresce la nuova generazione, i figli della nazione prevalentemente cristiana”.

Auguro con forza ai miei compatrioti questa presenza liberatrice del Dio-uomo in tutta la nostra vita, perché possa formare e trasfigurare la vita! Perché sia fonte di conversioni! Ci sono certamente necessarie molte conversioni. Ringraziamo Dio per coloro che spesso ritornano da lontano, e arrivano a lui, alla Chiesa.

Ma la Chiesa, fedele alla sua missione, richiama a un’incessante conversione del cuore: a rifiutare sempre il male e il peccato per andare verso la grazia e il bene. Iddio che “ha visitato il suo popolo . . . e ha suscitato per noi una salvezza potente” (Lc 1, 68-69), tocca nell’uomo prima di tutto ciò che duole, ciò che invoca con forza particolare la misericordia e la guarigione.

Di questi dolorosi problemi, del pericolo morale che minaccia la nazione e che può sempre aggravarsi, mi parlano con tanta preoccupazione e impegno i vescovi, i sacerdoti e i laici polacchi durante i colloqui personali. Vivo profondamente e spesso sottolineo il mio legame particolare con la Chiesa e la nazione dalla quale provengo, partecipando alla gioia di ogni vittoria e di ogni evento positivo, ma vivo anche nel mio animo ogni pericolo, ogni male.

Permettete che in questa mensa comune della vigilia, io esprima la mia sollecitudine e la mia preoccupazione. La Chiesa in Polonia è cosciente delle perdite e dei danni che colpiscono la comunità dei credenti a causa del programma ateistico impostole ormai da anni, ma è anche consapevole della debolezza, dei peccati e dei difetti del suo popolo. Il lavoro è il bene fondamentale dell’uomo e della società.

Purtroppo nella nostra terra esso è colpito da una molteplice crisi. Nasce giustamente il timore che le perdite subite dalla società nell’ambito dell’etica del lavoro saranno difficili da riparare. Mancano anche quelle importanti iniziative che potrebbero promuovere la vera “soggettività” della società, l’autentica “autogestione” nelle varie dimensioni del lavoro polacco, della vita polacca.

Possano risuonare qui ancora una volta le parole che ho pronunciato nello stadio “X Anno” di Varsavia durante il mio ultimo pellegrinaggio in patria: “Si tratta . . . dell’ordine maturo della vita nazionale e di quella dello Stato, nella quale saranno rispettati i fondamentali diritti dell’uomo. Solo una vittoria morale può portare la società fuori dalla divisione e restituire l’unità. Un tale ordine può essere contemporaneamente vittoria dei governati e dei governanti. Bisogna arrivare ad esso per la via del dialogo reciproco e dell’accordo, l’unica strada che consenta alla nazione di poter godere in pienezza dei diritti civili e di strutture sociali rispondenti alle sue giuste esigenze” (17 giugno 1983).

5. È importante che la patria, dopo le dolorose esperienze dello stato di guerra, riacquisti la posizione che le è propria nella vita internazionale.

Con soddisfazione si registrano cambiamenti nell’atteggiamento dei governi occidentali nei confronti della Polonia. Bisogna pure sottolineare che il nostro Paese è in grado di intraprendere un rinnovamento in tutti i campi, che gli restituirà l’importanza che giustamente gli spetta tra le nazioni del mondo. Tramite il suo millenario passato, tramite la sua cultura la Polonia è legata all’eredità occidentale grazie a Roma, da dove venne a noi il cristianesimo. Nello stesso tempo la posizione geografica del nostro Paese, collocato al punto di confluenza di influssi orientali e occidentali, ha configurato in maniera significativa la nostra identità storica. Non senza ragione la Polonia si è meritata il titolo di baluardo della cristianità. Bisogna che questa specificità della nazione sia presa in considerazione nei rapporti internazionali, e che trovi piena comprensione anche da parte dei vicini dell’Est.

6. Durante le celebrazioni a Niepokalanów ho ricordato le parole di san Paolo: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male!” (Rm 12, 21). Oggi ancora una volta, nello spirito di queste parole, esprimo gli auguri della vigilia per il Natale e il nuovo anno.

Li indirizzo a tutti i compatrioti nel nostro Paese e anche fuori da esso, agli emigrati.

“Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male!”. I vescovi polacchi hanno pubblicato un nuovo programma pastorale in cui desiderano tener conto dei contenuti espressi dal Papa durante l’ultimo pellegrinaggio in patria. Sono molto riconoscente per questa possibilità di un’ulteriore collaborazione con la pastorale svolta in Polonia.

Spezzo l’“oplatek” della vigilia con l’episcopato polacco: i cardinali, il primate, il mio successore alla sede di san Stanislao, gli arcivescovi e i vescovi, e anche con il cardinale Jan Król, arcivescovo di Filadelfia e tutti i vescovi del mondo di origini polacche.

Così pure con tutti i fratelli nel sacerdozio. Ricordo sempre che sono diventato sacerdote in terra polacca, nella comunità del presbiterio polacco dell’arcidiocesi di Cracovia.

Così pure con tutti gli ordini religiosi e comunità maschili e femminili, con i membri degli istituti secolari. Il Verbo incarnato benedica la vostra testimonianza di vita “consacrata” e il vostro apostolato.

Così anche con gli studenti dei seminari diocesani e religiosi, con gli studenti religiosi e laici degli atenei cattolici, con coloro che si preparano alla vita consacrata nel noviziato.

Con i missionari polacchi in tutto il mondo.

7. Sento il canto natalizio che “esploderà” a mezzanotte in tanti luoghi della terra polacca durante la messa di mezzanotte:

“Nel silenzio della notte / una voce si diffonde, / alzatevi! . . . Dio nasce per voi”. E poi il canto-lamento:

“Non c’era posto per loro a Betlemme . . . / e non c’è posto per te / in tante anime umane”.

E infine quel canto così pieno di contenuto teologico: “Dio nasce, la forza trema di paura . . .” e la preghiera:

“Alza la tua mano, Bambino divino, / benedici l’amata patria, / nei buoni consigli, in una buona esistenza / sostieni le sue forze con la tua forza!” affinché non ci lasciamo vincere dal male, ma vinciamo con il bene il male. E questo è il caldo augurio che, accanto a questo “oplatek”, indirizzo a tutti i miei compatrioti nel Paese e oltre i suoi confini.

A tutte le famiglie, i padri, le madri, i giovani, i bambini, alle persone che lavorano nei campi, in fabbrica, nell’artigianato, nelle professioni intellettuali, agli uomini della cultura e della scienza, ai malati e ai sofferenti: a tutti.

Alza la tua mano, Bambino divino . . .

Alza la tua mano, Bambino divino . . . affinché non ci lasciamo vincere dal male, ma vinciamo con il bene il male (cf. Rm 12, 21).

 

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