DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
DURANTE LA CERIMONIA DI CONFERIMENTO
DEL SACRO PALLIO AL PATRIARCA ARMENO
GIOVANNI PIETRO XVIII KASPARIAN
Chiesa di San Nicola da Tolentino - Sabato, 7 luglio 1984
Fratelli carissimi.
1. La presenza di tante autorità, di un pubblico così qualificato, la splendida esecuzione di canti polifonici e le amabili parole di sua beatitudine il Patriarca, tutto questo rivela che l’odierno incontro è da iscrivere nell’albo storico delle commemorazioni più salienti della vostra e nostra Chiesa armena.
Voi comprenderete con quanta gioia io abbia accolto l’invito di partecipare in questo sacro luogo a due cerimonie di singolare importanza: l’imposizione del sacro Pallio a sua beatitudine Giovanni Pietro XVIII Kasparian e la solenne conclusione dei festeggiamenti per la ricorrenza del primo centenario del Pontificio collegio armeno in Urbe.
Le due felici circostanze, a ben riflettere, convergono entrambe in un’unica visuale: la Chiesa santa di Dio, che è, per volontà di Cristo Signore, cattolica e apostolica, si estende una e indivisa in Oriente come in Occidente. Per questo scopo sorsero i collegi nazionali e orientali in Roma, come pure per conferma del mandato divino si protrae, fino ai giorni nostri, l’uso del conferimento del pallio.
2. Il conferimento del sacro pallio è segno di comunione con il successore di Pietro, principio e fondamento visibile dell’unità di fede in Cristo, secondo quanto è dichiarato dal Concilio Vaticano II: “Nella comunione ecclesiale vi sono legittimamente le Chiese particolari, con proprie tradizioni, rimanendo però integro il primato della Cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale di carità (Sant’Ignatii Antiocheni, Ad Romanos) e tutela le varietà legittime e insieme veglia affinché ciò che è particolare non solo non nuoccia all’unità ma piuttosto la serva” (Lumen Gentium, 13).
È con viva gioia che ho conferito a lei, venerabile fratello, l’insegna liturgica, che fin dai primi secoli il Vescovo di Roma, in segno di servizio per l’unità di fede, suole consegnare ai patriarchi e ad altri presuli di sedi illustri; a vostra beatitudine, che, eletta il 5 agosto del 1982 Patriarca della veneranda Chiesa cattolica armena, stimò urgente raggiungere subito la sua sede in Beirut, funestata ancora da eccidi di un’assurda guerra.
Era consuetudine presso i romani insignire del pallio persone eminenti per cultura, e l’usanza passò poi nei credenti della Chiesa romana, come simbolo e attestazione di saggezza e di verità, quasi partecipazioni della stessa sapienza divina.
E a chi spetta meglio una distinzione piena di tanto significato se non a coloro che sono per antonomasia i depositari della divina sapienza, cioè ai reggitori della Chiesa, che è colonna e sostegno della verità? (cf. 1 Tm 3, 15).
Ricavato da lana di agnelli, questo sacro indumento dice subito relazione con la dolce figura del Buon Pastore che, portando paternamente sulle spalle la pecora smarrita, sa dare di se stesso e della sua vita un segno di comunione salvifica per tutti, quale riepilogo della sua redenzione copiosa sulla croce.
Con questa cerimonia semplice e tanto suggestiva, l’appello del Maestro divino a operare con tutte le forze “Ut omnes unum sint” (Gv 17, 11), pare divenga una concreta realtà, come è pure ribadito nel Concilio: “Questo collegio, in quanto composto da molti, esprime la varietà e l’universalità del popolo di Dio, in quanto poi è raccolto sotto un solo capo, significa l’unità del gregge di Cristo” (Lumen Gentium, 27).
In un periodo difficile come il nostro, mentre assistiamo preoccupati a persistenti tentativi di pericolose disgregazioni ad ogni livello della scienza e della convivenza umana, la Chiesa ha, per costituzione divina, il mandato di riunire gli uomini nella comunione universale dell’autentico amore al Padre.
Tale unità di fede e di carità non può non portarci a pensare a quella stima e affetto che noi riserviamo per le Chiese sorelle nella fede di Cristo, con particolare riferimento a quelle armene dei catolicosati di Eczmiazin e di Cilicia e dei patriarcati di Gerusalemme e di Costantinopoli. Ai venerandi capi di dette illustri Chiese, nostri confratelli, rivolgo il mio saluto affettuoso: “La pace del Signore Gesù sia con tutti voi!”.
Vostra beatitudine è stata chiamata ad affrontare delicati e complessi problemi della gloriosa Chiesa cattolica armena: possa ella sviluppare nel suo ministero pastorale lo spirito di collaborazione e di dialogo con la gerarchia, il clero e i fedeli per l’inconcussa fedeltà alla verità rivelata, che ha sempre distinto la sua Chiesa.
Nella liturgia eucaristica, questo Pallio ricorderà la nostra costante preghiera a Dio per la pace e la serenità dei popoli sconvolti del Medio Oriente e del mondo, perché conoscano finalmente giorni migliori.
3. A questa festosa adunanza siamo convenuti perché spinti anche da un altro motivo: il primo centenario di fondazione di questo Pontificio collegio armeno.
È un traguardo storico che reca gioia alla Chiesa cattolica armena, ma anche alle altre Chiese orientali e alla latina. L’aver voluto che questo indispensabile istituto di formazione ecclesiastica per i chierici armeni sorgesse all’ombra della Sede apostolica, sta ad indicare la fiduciosa certezza di quanti vedevano fondersi mirabilmente le istituzioni, i riti, le tradizioni ecclesiastiche e la disciplina di tutte le Chiese orientali in una con quelle della Chiesa di Roma, fondamento granitico e immutabile il cui Vescovo succede per volontà divina al beato Pietro nel primato sulla Chiesa universale.
Se l’odierna commemorazione rievoca il munifico gesto di Leone XIII, per cui il collegio è detto pure “Leonino”, è vero tuttavia che l’iniziativa risale a tre secoli prima, al pontificato di Gregorio XIII che, avendo constatati i vantaggiosi risultati sugli alunni del collegio greco da lui eretto nel 1577, con la bolla “Romana Ecclesia” del 13 ottobre 1584, decretava la fondazione di un altro collegio per i giovani armeni chiamati al sacerdozio, realizzando quanto il Concilio di Trento aveva stabilito per l’autentica riforma della Chiesa in ogni campo e direzione. Il gesto profetico di quel grande Papa non ebbe tempo di tradursi in realtà: gli sopraggiunse la morte.
I chierici armeni, che frequentavano le scuole teologiche romane, ebbero in seguito generosa ospitalità presso il Collegio urbaniano. Ma i vescovi armeni, convenuti a Roma nel 1867, in particolari circostanze riguardanti la comunità cattolica armena dell’impero ottomano, rinnovarono a Pio IX pressante richiesta per erigere in Urbe un proprio collegio, che assicurasse ai loro chierici una specifica e sicura formazione armena nello studio e nella liturgia.
Spettò, invero, a Leone XIII, che fin dall’inizio del suo luminoso pontificato espresse tutta la sollecitudine e il rispetto della Santa Sede verso le Chiese d’Oriente, a dare concreta realizzazione a questo Pontificio collegio armeno col breve del 1° marzo 1883 «Benigna Hominum Parens» (Leonis XIII, Benigna Hominum Parens, die 1 mar. 1883: ASS 15 [1883] 337-340), nel quale si legge fra l’altro, che “in nessun’altra località c’è tanta opportunità di formare sacerdoti idonei, come ce n’è in Roma, centro della cristianità, presso la tomba dei due grandi apostoli, sotto la paterna sollecitudine del Sommo Pontefice, che per il suo ufficio di Vicario di Cristo è padre comune delle genti e custode e interprete della fede cattolica” (Ivi).
Per il completamento dell’opera contribuirono principalmente la munificenza del Papa, l’abnegazione eroica del cardinale Antonio Hassun e l’abilità consumata del patriarca Stefano Azarian.
Quest’almo collegio, quindi, ebbe come scopo di infondere e rafforzare nell’animo dei futuri pastori di questa Chiesa armena lo spirito di quell’unità di fede, sempre tanto avvertita e desiderata da tutti i connazionali e che è stata sempre la finalità di ogni collegio orientale sorto in Roma, di formare cioè un clero irreprensibile e preparato per il non facile lavoro pastorale ed ecumenico delle Chiese cattoliche d’Oriente.
Fra gli alunni del collegio in questi cento anni è doveroso fare particolare menzione dei 15 sacerdoti condiscepoli, dei quali nove subirono il martirio a causa della fede e sei immolarono la propria vita, condannati per la loro fedeltà a Cristo, fiori purpurei che, da soli, fanno risaltare le alte benemerenze acquistate dall’istituto nella sua esistenza.
Pertanto, mentre dirigo il mio saluto a voi, autorità, gerarchia, superiori, alunni, clero e fedeli della Chiesa armena, direttamente partecipi a questa festa, desidero rivolgermi anche a voi, condiscepoli degli altri istituti orientali dell’Urbe, qui presenti, perché, vivendo insieme la consolante realtà della comunione ecclesiale nella verità dei vostri riti, prendiate parte attiva al ministero apostolico, inteso a realizzare l’anelito di Cristo di unificare, cioè, il popolo di Dio nella libertà dello Spirito e nella molteplicità dei suoi doni celesti, secondo quanto suggerisce il genio, l’indole e l’estro dei singoli popoli.
4. Figli carissimi, facendo mie le espressioni del grande Agostino d’Ippona, “rivolgo la mia parola a voi, eletti in Cristo, prole sempre nuova della Chiesa, grazia del padre, fecondità della madre, pio germoglio, sciame novello, fiore del nostro onore e frutto della nostra fatica, mio gaudio e mia corona, a voi tutti che siete qui saldi nel Signore” (S. Augustini, Discorsi 1, 4: PL 46, 838).
Dovendo voi partecipare all’“identico e unico sacerdozio e ministero di Cristo” (Presbyterorum Ordinis, 7), occorre che vi configuriate a lui, prima ancora che con l’ordinazione sacerdotale, con tutta la vostra vita spirituale e con la vostra formazione intellettiva.
Radicati e fondati nelle virtù teologali, fede, speranza e carità, aprite il vostro animo ai doni dello Spirito Santo e cercate di acquistare quell’“habitus” dell’orazione, che proviene dalla ricchezza della vostra liturgia e dall’ascolto attento della parola di Dio, per giungere a possedere l’armonioso corredo di tutte le virtù indispensabili per un degno ministro di Cristo Signore. Con tale fedele esercizio delle varie virtù, il vostro comportamento di vita mostrerà agli altri che non siete a servizio di questo mondo se non per guidarlo a Dio: “Ex hominibus assumpti, pro hominibus constituti in his quae sunt ad Deum” (cf. Eb 5, 1).
Con animo pronto e aperto imparate a percepire i mutamenti dell’umana società, a interpretare i segni dei tempi, a saper unificare con la grazia di Dio la vostra vita interiore con l’azione pastorale che vi viene affidata. È poi anche urgente la vostra formazione intellettuale mediante gli studi filosofici e teologici, come pure la conoscenza delle altre scienze e discipline, proprie ad alcuni campi pastorali a voi congeniali.
Voi siete stati chiamati ad acquisire una disponibilità pastorale del tutto specifica nella vigna del Signore: vivere il proprio ministero pastorale nel contesto e a contatto con i fratelli delle Chiese ortodosse. Esercitatevi fin d’ora a esplicare tali attitudini ecumeniche con animo generoso, con fede indefettibile e con amore illimitato a Cristo, alla Chiesa, ai fratelli.
Cari giovani, è veramente grande la missione che la Chiesa in questo tempo vi consegna: il dialogo teologico-ecumenico. Questo compito, a cui siete chiamati e per il quale dovrete esplicare gran parte del vostro ministero sacerdotale, esige una lealtà a tutta prova verso il magistero della Chiesa e verso la Sede di Pietro, depositaria della rivelazione, principio e fondamento visibile dell’unità di fede, nella comunione di carità. Questo impegno la Chiesa del Concilio Vaticano II attende da voi ancor più che da qualsiasi altro fedele.
Protagonisti al centro della nuova dinamica ecumenica, “voi giovani, che vi preparate al ministero sacerdotale, dovete essere per gli altri giovani una chiara proposta di vocazione. Chi ha percepito la chiamata di Gesù, come la più grande ricchezza della propria vita, deve avvertire la necessità di comunicare la sua scoperta agli altri. È quanto fece l’apostolo Andrea portando a Gesù il fratello Simon Pietro (Gv 1, 41). Carissimi chierici, irradiate gli ideali che muovono le vostre esistenze e siate fra i vostri coetanei i primi animatori di vocazioni” (Ioannis Pauli PP. II, Nuntius scripto datus ob diem tota Ecclesia ad missionales res prevehendas constitutum Christifidelibus universis missus, 3, die 11 febr. 1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII/1 [1984] 372s.).
L’accogliente ospitalità offertavi nella Città eterna agevola la vostra preparazione specifica per la piena maturità del vostro divenire fino al conseguimento del sacerdozio di Cristo.
Sulla strada non facile di questa vostra formazione cristiana e sacerdotale, apostolica e culturale, fulgida come stella mattutina splende l’Immacolata Madre di Dio, regina degli armeni, e san Gregorio l’Illuminatore, patrono di tutta l’Armenia e vostra guida celeste, di cui oggi abbiamo festeggiato la solennità liturgica nella Chiesa armena. Possano i vostri santi protettori implorare dal padrone delle messi che la schiera di giovani seminaristi divenga sempre più numerosa e qualificata.
E mentre ringrazio tutti per l’attestato della vostra fedeltà e per la gioia che mi avete procurato, a voi, alunni del Pontificio collegio armeno e ai giovani di tutti gli altri collegi romani, a vostra beatitudine che con i venerandi confratelli nell’episcopato formate la gerarchia cattolica armena, a quanti qui rappresentate le Chiese sorelle d’Oriente, ai superiori e officiali del sacro dicastero a servizio di dette Chiese, imparto di cuore la mia benedizione.
I am very happy to be here in the Armenian College today. The two special events which we are commemorating are in themselves occasions for joy. But I am also deeply pleased to greet the Armenian faithful who have gathered from differents parts of the world. You have come to pay honour to your glorious Armenian traditions and to celebrate the Catholic unity of your Church. I ask you to take my greeting and blessing back to your local communities and to assure your families and all your fellow faithful of my love in Christ Jesus.
Je salue cordialement tous les Arméniens de langue française présents à cette rencontre autour de leur vénéré Patriarche. La double célébration de ce jour vous donne l’occasion de manifester votre fidélité à vos traditions arméniennes et votre union au Successeur de Pierre. Je demande au Seigneur de vous aider à conserver et à développer, là où vous vivez, la foi que vous avez reçue de vos ancêtres, et je vous bénis de grand cœur, vous et vos familles.
Saludo cordialísimamente a todas las personas de lengua española aquí presentes en una circunstancia de tal profundo significado para este Pontificio Colegio Armenio de Roma. Que ello constituya para todos un motivo de renovado amor y fidelidad a la Iglesia, que a través de los diversos ritos y tiempos presenta a cada pueblo el mensaje salvador del Hijo de Dios.
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