VISITA PASTORALE IN SVIZZERA
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PROFESSORI CATTOLICI DI TEOLOGIA
DELLE UNIVERSITÀ DI COIRA, LUCERNA E FRIBURGO
Aula Magna dell'Università di Friburgo
Mercoledì, 13 giugno 1984
Signori professori.
1. Dopo aver incontrato l’insieme dei rappresentanti del mondo universitario di questo Paese, sono felice di poter dedicare un momento a voi, professori delle tre facoltà di teologia cattolica di Coira, Lucerna e Friburgo. Ricordo con piacere di essere stato vostro invitato, alcuni anni fa, nell’università in cui siamo di nuovo riuniti.
Avendo esercitato per molto tempo il vostro compito, ho ascoltato con interesse e simpatia il presidente della Commissione teologica della Conferenza episcopale svizzera e i vostri decani presentare la situazione, il funzionamento e le preoccupazioni delle vostre istituzioni.
Essendo il tempo contato, permettetemi d’entrare “media in res” e di proporre alcune riflessioni sulla specifica attività del teologo e, più brevemente, sulla formazione dei futuri sacerdoti.
2. Il compito del teologo lo pone sulla soglia del mistero di Dio. Così l’azione della grazia lo anima e la contemplazione lo ispira, mentre lo sforzo dell’intelligenza si estende per aprire all’uomo il senso della speranza. Perché Dio si rivela, si fa conoscere; Dio ama l’uomo e il mondo, si dona per essere amato. Il Verbo, luce vera, illumina ogni uomo; egli ha dato il potere di diventare figli di Dio (cf. Gv 1, 9.12). La presenza di Dio noi la scopriamo mediante la fede e l’amore che lo Spirito mette nei nostri cuori con il dinamismo della speranza (cf. Rm 5, 5). L’incontro e la conoscenza del Dio d’amore che si rivela, appartiene ai teologi di favorirne l’intelligenza per i credenti, di farne scoprire la bellezza a ogni uomo che cerca la sorgente e il senso della sua vita. La parola di Dio ci è data come espressione degli avvenimenti fondatori nella storia della salvezza di cui ne svela il senso; essa esprime il disegno di Dio rivelato all’uomo: la Chiesa non cessa di trasmettere il suo messaggio. Tra coloro che ricevono la Scrittura come un dono senza misura, uniti alla Chiesa che la porta e che la presenta nella Tradizione, voi avete la missione di scrutarne l’inesauribile ricchezza, per aiutare i vostri fratelli a trovare in essa “la via, la verità e la vita”, ossia ad avanzare verso Cristo stesso (cf. Gv 14, 6). Servo della verità di Dio, il teologo partecipa, nella Chiesa, al grande atto di tradizione che continua attraverso la storia. Rispondendo oggi all’invito di Pietro, tra i suoi fratelli e davanti al mondo, egli “risponde della speranza che è in lui” (cf. 1 Pt 3, 15).
Il teologo ode anche i molteplici appelli del mondo, di questo mondo inquieto e mobile in cui viviamo. Incerto sul suo avvenire, l’uomo contemporaneo brancola; spesso non discerne più chiaramente il senso della sua storia, né i criteri del suo comportamento. Di fronte al fatto religioso, egli s’interroga con una crescente esigenza critica. La fede dei credenti è messa alla prova. Più che mai a servizio dei suoi fratelli, il teologo partecipa alla “pedagogia fidei”: egli chiarisce i problemi, nuovi o antichi, aprendo lo sguardo alla luce di Dio. La sua opera consiste meno nel prolungare indefinitamente l’estensione del campo d’indagine, che a situare i problemi parziali nella loro reale prospettiva intorno al centro della fede. Oggi, la vita spirituale, l’azione e la testimonianza dei cristiani hanno bisogno d’essere sostenute da una rinnovata intelligenza del mistero di Dio, di Cristo e della Chiesa, prima di poter affrontare in modo pertinente i molteplici interrogativi della prassi.
Un campo in cui la collaborazione dei teologi è particolarmente importante, voi lo sapete, è il lavoro svolto in favore dell’unità dei cristiani: è bene che ciascuno vi contribuisca nella verità, chiaramente consapevole della propria identità ecclesiale e portatore del suo patrimonio dottrinale, morale, liturgico e, nello stesso tempo, aperto, rispettoso dell’identità altrui.
3. La teologia si pone a un livello scientifico; essa può trovare un credito duraturo solo per il rigore della sua ricerca. Questa esigenza conduce all’incontro di tutte le indagini che noi designiamo globalmente sotto il titolo di “scienze umane”: un insieme di metodi e di scoperte sulla storia, il linguaggio, la società, la psicologia. Esprimendo oggi il messaggio cristiano, la teologia ricorre a quello che le apportano queste scienze dell’uomo, e ciò è utile per rispondere ai problemi contemporanei e per far udire la parola su nuovi terreni.
Tuttavia, la funzione critica della teologia si deve esercitare qui: si tratta di operare un attento discernimento. Le correnti di pensiero, le tecniche investigative non devono avere il sopravvento sul messaggio. Nessun linguaggio può diventare normativo per se stesso, perché Dio non può lasciarsi chiudere in un sistema di pensiero chiuso e il discorso su Dio non può essere assimilato ad alcun altro discorso. La parola di Dio precede la nostra e nessuna generazione ne esaurirà mai la portata. L’oggetto del discorso teologico è il Dio vivente e personale: la rivelazione ci dona l’intelligenza della sua realtà e della sua opera, ma non è affatto in nostro potere dominarle quando le cogliamo. La teologia conosce i suoi limiti, perché è consapevole della grandezza di ciò che tratta.
L’equilibrio del discorso teologico e il rigore stesso della sua ricerca sarebbero compromessi se gli strumenti di pensiero oggi disponibili non fossero confrontati lucidamente con quelli che hanno contribuito alle elaborazioni precedenti. È necessario pertanto conoscere e praticare quello che il patrimonio filosofico apporta all’esercizio della ragione. Perché sia fedele a se stessa, la teologia ha bisogno che si domini bene l’insieme delle discipline che le sono utili, con una lucida attenzione al carattere specifico del loro apporto.
Se si integra nella vita intellettuale della nostra epoca, l’atto del teologo entra pure nella continuità della tradizione vivente, e si pone sulla traiettoria che traccia la parola di Dio lungo la storia.
4. L’esercizio della sua missione vincola strettamente il teologo a tutto quanto accade nella Chiesa. Per il popolo di Dio egli spiega le Sacre Scritture e interpreta la tradizione in unità con l’insegnamento. Il suo compito si riferisce all’insegnamento, senza però fondersi con questo. Ascoltiamo qui soprattutto il Concilio Vaticano II, che nella costituzione sulla rivelazione divina dice: “È chiaro dunque che la sacra tradizione, la Sacra Scrittura e il magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che non possono indipendentemente sussistere, e che tutti insieme, ciascuno secondo il proprio modo, sotto l’azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime” (Dei Verbum, 10). Il Concilio esprime qui una regola fondamentale di metodo della teologia: essa si fonda su tutto ciò che è stato affidato alla Chiesa sul bene della fede tramandata (“depositum fidei”) e sulle decisioni, che l’insegnamento della Chiesa ha preso nel corso della storia.
Queste diverse funzioni si completano alla luce della grazia dello Spirito Santo. Il Papa e i vescovi in unità con lui hanno per primi il compito di annunciare la fede e di affermare l’autenticità delle sue forme di espressione. In forza del loro ministero episcopale essi confermano la missione del teologo e hanno nei suoi confronti una funzione regolatrice. Con un dialogo fraterno e attraverso incontri aperti e pieni di fiducia, dovrebbe essere possibile imparare a comprendere meglio i problemi e le eventuali necessità dell’una e dell’altra parte. In questo spirito di fiduciosa unione sono venuto oggi fra voi.
Una tale reciproca solidarietà è tanto più necessaria, quanto più i compiti del teologo sono difficili e rischiosi. Egli deve fra l’altro studiare anche i problemi controversi; questo è il suo dovere. Poiché però egli non agisce a sua propria discrezione, né sta al servizio di un singolo gruppo, egli non è chiamato a giudicare, ma ad una leale collaborazione con coloro che, grazie al loro ufficio, hanno il compito dell’unità per tutti; egli deve anche poter accettare che non può risolvere al suo livello di conoscenza tutti i problemi che gli si presentano.
Un lavoro così impegnativo secondo le severe regole della scienza deve essere accompagnato dall’umile atteggiamento di un discepolo di Dio; deve derivare dall’adesione interiore al fatto che libertà della ricerca non significa piena autonomia, ma è diretta al suo obiettivo e deve servire il popolo di Dio. Attraverso uno più grande di noi, attraverso Cristo, ci è stata trasmessa la responsabilità della “pedagogia fidei”, dell’educazione alla fede; perciò dobbiamo occuparci soprattutto dei “deboli” e dei “poveri”. Si raggiungeranno perciò i maggiori risultati nella ricerca quando, nell’ambito di una scuola di teologia o di un Paese, questi vengano esaminati da altri studiosi, prima di presentarli all’opinione pubblica. Bisogna quindi agire in modo da non confondere quei fedeli, che sono meno istruiti nei problemi della fede, quando si espongono ufficialmente delle tesi non riconosciute e talvolta non ancora mature senza la necessaria differenziazione.
5. So che il vostro non è un compito facile. Esige da voi un disinteresse tanto maggiore, quanto più passione mettete nel vostro impegno. Siate perciò consapevoli che la materia della vostra ricerca e del vostro insegnamento è la rivelazione di Dio per la salvezza dell’uomo. Fondamento del vostro impegno è quello di essere, conformemente alla vostra attività, discepoli di Cristo, nostro Signore e Salvatore, riceverete la luce decisiva per il vostro cammino nella preghiera, nella meditazione del mistero di Cristo. Lì troverete la vera sapienza. Quando nella fede ci si lascia catturare da Cristo, si scopre che servire lui, l’unico Maestro, può essere la fonte della gioia più profonda. Quando ci si lascia condurre dallo Spirito dell’amore, si scopre la felicità dell’autentica libertà (cf. 2 Cor 3, 17).
Vi sono stati fatti molti doni spirituali. Secondo la misura di questi doni siete chiamati ad essere i testimoni di Cristo in questo mondo, dove molti uomini cercano la luce nella fede, dove tanti fratelli e sorelle sono stati chiamati perfino alla testimonianza decisiva, il martirio.
6. Come testimoni della fede della Chiesa avete una responsabilità particolare, in quanto siete stati incaricati dai vescovi della Svizzera, di prendervi cura della formazione teologica dei candidati al sacerdozio nelle vostre diocesi. Voi esercitate in tal modo per la Chiesa un servizio di prim’ordine. Sapete che ciò sta molto a cuore anche a me; infatti penso a tutti quei Paesi, nei quali questi seminaristi saranno inviati domani e che attendono il loro servizio.
Voi istruite questi giovani uomini a leggere la Sacra Scrittura con profitto, a scoprire le ricchezze della tradizione e a sviluppare una comprensione critica per i problemi dell’umanità. È un vantaggio che il livello superiore di questi studi permetta ai giovani di rafforzare la loro capacità di giudizio e che assimilino metodi scientifici sicuri mentre si impratichiscono nella ricerca teologica.
Nelle vostre facoltà i seminaristi condividono la loro formazione teologica con altri studenti che non si propongono di diventare sacerdoti. Ciò dà agli uni come agli altri la possibilità di distinguere il ruolo particolare del sacerdozio istituito da Cristo, dai diversi servizi che i laici possono assumere nella Chiesa. È quindi importante approfondire in modo particolare con gli studenti, l’ecclesiologia del Concilio, come pure la teologia dei sacramenti e del ministero sacerdotale. Certo sapete anche che non bisogna mischiare completamente questi due metodi formativi.
A motivo del loro particolare impegno, al quale i seminaristi si preparano e della loro prossima missione nel presbiterio della loro diocesi, devono vivere negli anni della loro preparazione all’ordinazione sacerdotale in un clima sacerdotale. Hanno bisogno di un accompagnamento spirituale indipendente in un seminario dove la preghiera, la vita liturgica e la riflessione sul sacerdozio abbiano largo spazio. Un tale istituto, nel quale essi vivano dall’inizio dei loro studi, favorisce la loro unione con il vescovo e i sacerdoti della diocesi. È perfino auspicabile che essi facciano una tale esperienza pastorale, attraverso la quale imparino a conoscere il loro futuro servizio e possano rafforzare la loro risposta alla particolare vocazione sacerdotale. I loro insegnanti dovrebbero testimoniare che nessuno sceglie da solo di diventare prete, ma che è chiamato, sì, che il sacerdozio è uno dei servizi più belli, affidato da Dio e che questa vita consacrata al Signore può portare alla gioia! Possa la testimonianza degli insegnanti di teologia far sì che vengano formati dei veri servitori del Vangelo nel ministero sacerdotale della Chiesa.
7. Per concludere vorrei riprendere le parole di san Paolo: “Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, quanto si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele” (1 Cor 4, 1-2). Possa Dio concedervi di diventare fedeli nell’adempimento dei compiti fondamentali che la Chiesa vi affida e di servire, uniti nella gioia, l’uomo nello Spirito di Cristo. Sono felice di questo incontro di oggi con voi e prego il Signore con tutto il cuore di benedirvi.
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