DICHIARAZIONE COMUNE
DEL PAPA GIOVANNI PAOLO II
E DEL PATRIARCA SIRO D'ANTIOCHIA
MORAN MAR IGNATIUS ZAKKA I IWAS
1. Sua Santità Giovanni Paolo II, Vescovo di Roma, Papa della Chiesa cattolica e sua Santità Moran Mar Ignatius Zakka I Iwas, Patriarca d’Antiochia e di tutto l’Oriente, Capo supremo della Chiesa siro ortodossa universale, si inginocchiano in tutta umiltà di fronte al trono esaltato e magnificato di nostro signore Gesù Cristo, rendono grazia per questa mirabile opportunità che è stata loro concessa di incontrarsi insieme nel suo amore, per rafforzare ancora di più le relazioni tra le nostre due Chiese sorelle, la Chiesa di Roma e la Chiesa siro ortodossa d’Antiochia, relazioni già eccellenti, grazie all’iniziativa intrapresa in comune da sua Santità di felice memoria, papa Paolo VI e sua Santità di felice memoria, Moran Mar Ignatius Jacoub III.
2. È solenne desiderio di sua Santità Giovanni Paolo II e di sua Santità Zakka I, di dilatare l’orizzonte della loro fraternità e affermare, così facendo, le modalità della profonda comunione spirituale che li unisce ed unisce i prelati, il clero e i fedeli di entrambe le loro Chiese, per consolidare questi legami di fede, speranza e carità e progredire nella ricerca di una completa e comune vita ecclesiale.
3. Innanzitutto, sua Santità Giovanni Paolo II e sua Santità Zakka I confessano la fede delle loro due Chiese, fede formulata dal Concilio di Nicea del 325 d.C., comunemente conosciuto come “Credo di Nicea”. Essi comprendono oggi che le confusioni e gli scismi avvenuti tra le loro Chiese nei secoli successivi, in nessun modo intaccano o toccano la sostanza della loro fede, poiché tali confusioni e scismi avvennero solo a causa di differenze nella terminologia e nella cultura e a causa delle varie formule adottate da differenti scuole teologiche per esprimere lo stesso argomento. Conseguentemente, non troviamo oggi nessuna base reale per le tristi divisioni e per gli scismi che avvennero poi tra di noi circa la dottrina dall’incarnazione. Con le parole e nella vita, noi confessiamo la vera dottrina su Cristo nostro Signore, malgrado le differenze nell’interpretazione di questa dottrina che sorsero all’epoca del Concilio di Calcedonia.
4. Pertanto desideriamo riaffermare solennemente la nostra professione di fede comune nell’incarnazione di nostro signore Gesù Cristo, come hanno affermato nel 1971 papa Paolo VI e il patriarca Moran Mar Ignatius Jacoub III. Essi negarono che vi fossero delle differenze nella fede da loro confessata nel mistero del Verbo di Dio divenuto carne e fatto uomo. A nostra volta noi confessiamo che egli si è incarnato per noi, assumendo un vero corpo e un’anima razionale. Egli ha condiviso in tutto la nostra umanità eccetto il peccato. Noi confessiamo che il nostro Signore e nostro Dio, il nostro salvatore e re di ogni cosa, Gesù Cristo, è perfetto Dio quanto alla sua divinità e perfetto uomo quanto alla sua umanità. In lui la sua divinità è unita alla sua umanità. Quest’unione è reale, perfetta, senza mescolanza o commistione, senza confusione, senza alterazione, senza divisione, senza la minima separazione. Egli che è Dio eterno e indivisibile, è diventato visibile nella carne e ha preso la forma di un servo. In lui umanità e divinità sono unite in un modo reale, perfetto, indivisibile e inseparabile, e in lui tutte le sue proprietà sono presenti e attive.
5. Poiché abbiamo la stessa concezione di Cristo, confessiamo anche la stessa concezione del suo mistero. Incarnato, morto e di nuovo risorto, il nostro Signore, Dio e Salvatore ha trionfato sul peccato e sulla morte. Per mezzo di lui, durante il tempo che va dalla Pentecoste alla sua seconda venuta, periodo che è anche la fase ultima del tempo, è dato all’uomo di fare l’esperienza della nostra creazione, il regno di Dio, lievito trasformatore (cf. Mt 13,33), già presente in mezzo a noi. Per questo, Dio ha scelto un nuovo popolo, la sua Chiesa santa che è il corpo di Cristo. Per mezzo della parola e per mezzo dei sacramenti, lo Spirito Santo agisce nella Chiesa per chiamare ognuno di noi e farci membri del corpo di Cristo. Coloro che credono sono battezzati nello Spirito Santo, nel nome della Santa Trinità, per formare un solo corpo e, attraverso il sacramento dell’unzione della Cresima (Confermazione), la loro fede è resa perfetta e rafforzata dallo stesso Spirito.
6. La vita sacramentale trova nella santa Eucaristia il suo compimento e il suo vertice, in modo tale che è attraverso l’Eucaristia che la Chiesa realizza e rivela la sua natura nel modo più profondo. Attraverso la santa Eucaristia, l’evento della Pasqua di Cristo si dilata su tutta la Chiesa. Attraverso il santo Battesimo e la Cresima, infatti, i membri di Cristo sono uniti dallo Spirito Santo, sono innestati sul Cristo; e attraverso la santa Eucaristia la Chiesa diventa ciò che essa è destinata ad essere attraverso il Battesimo e la Cresima. Per mezzo della comunione con il Corpo e il Sangue di Cristo, i fedeli crescono in questa misteriosa divinizzazione che, attraverso lo Spirito Santo, fa sì che abitino nel Figlio come figli del Padre.
7. Gli altri sacramenti che la Chiesa cattolica e la Chiesa siro ortodossa d’Antiochia hanno in comune in un’unica e stessa successione del ministero apostolico, cioè i Sacri Ordini, il Matrimonio, la Riconciliazione dei penitenti e l’Unzione degli infermi, convergono verso quella celebrazione della santa Eucaristia che è il fulcro della vita sacramentale e la massima espressione visibile della comunione ecclesiale. Questa comunione dei cristiani tra di loro e delle Chiese locali raccolte attorno ai loro legittimi vescovi, si realizza nell’assemblea comunitaria che confessa la stessa fede, che tende nella speranza verso il mondo che verrà, nell’attesa del ritorno del Salvatore ed è unita dallo Spirito Santo che abita in essa con un amore che non viene mai meno.
8. Dal momento che essa è la massima espressione dell’unità cristiana tra i fedeli e tra i vescovi e i sacerdoti, la santa Eucaristia non può ancora essere celebrata tra noi. Una tale celebrazione presuppone una completa identità di fede, identità di fede che ancora non esiste fra di noi. Alcune questioni, in effetti, necessitano ancora di essere risolte per quanto si riferisce alla volontà del Signore per la sua Chiesa, come anche per quanto riguarda implicazioni dottrinali e particolari canonici delle tradizioni proprie alle nostre comunità, che sono rimaste troppo a lungo nella separazione.
9. La nostra identità di fede, per quanto non ancora completa, ci permette tuttavia di prevedere la collaborazione tra le nostre Chiese nella cura pastorale, in situazioni che, al giorno d’oggi, sono frequenti, sia a causa della dispersione dei nostri fedeli attraverso il mondo, sia per le precarie condizioni di questa difficile epoca. Non è raro il fatto che i nostri fedeli trovino moralmente o materialmente impossibile accedere ad un sacerdote della loro propria Chiesa. Nel desiderio di venire incontro alle loro necessità e avendo a mente il loro vantaggio spirituale, li autorizziamo, in tali casi, e quando ne hanno bisogno, a chiedere i sacramenti della Penitenza, dell’Eucaristia e dell’Unzione degli infermi a sacerdoti legittimi dell’una o l’altra delle nostre due Chiese sorelle. Dalla collaborazione pastorale dovrebbe logicamente derivare la collaborazione nella formazione dei sacerdoti e nell’educazione teologica. Si incoraggiano i vescovi a promuovere una compartecipazione nelle strutture di educazione teologica, ogni qual volta essi lo giudichino possibile. Nel fare questo, non dimentichiamo certo che è nostro dovere fare ancora tutto ciò che è nelle nostre capacità per realizzare la piena comunione visibile tra la Chiesa cattolica e la Chiesa siro ortodossa d’Antiochia, e imploriamo incessantemente il nostro Signore di accordarci quell’unità che è la sola a permetterci di dare al mondo una testimonianza del Vangelo concorde e unanime.
10. Ringraziando il Signore che ci ha permesso questo incontro nella gioia consolante della fede che abbiamo in comune (cf. Rm 1,12) e che ci ha permesso di proclamare davanti al mondo il mistero della Persona del Verbo incarnato e della sua opera di salvezza, fondamento incrollabile di questa fede comune, ci impegniamo solennemente a fare tutto ciò che ci sarà possibile per rimuovere gli ultimi ostacoli che si frappongono ancora alla piena comunione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa siro ortodossa di Antiochia, per far sì che, con un solo cuore e con una sola voce, noi possiamo predicare la parola che è: “la vera luce che illumina ogni uomo” e “dà il potere di diventare figli di Dio ai credenti nel suo nome” (cf. Gv 1,9-12).
Roma 23 giugno 1984
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