DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI GIOVANI DI COMUNIONE E LIBERAZIONE
Domenica, 13 maggio 1984
Vi vedo sempre molto volentieri e ascolto volentieri i vostri canti. Per questo, quando si arriva all’ultima pagina, divento sempre un po’ triste. Ma non sono soltanto i vostri canti che mi danno consolazione. Mi rallegra anche il fatto che voi, come questa sera, portate sempre più bambini. Il vostro movimento, pur rimanendo sempre giovanile, diventa nello stesso tempo familiare. Diventa giovanile nella seconda generazione: gli adulti diventano giovani grazie ai giovani. Così si ringiovanisce sempre la vita e questo mi dà una grande consolazione. Voi rimanete “ciellini”, in questa seconda generazione con la quale, naturalmente, cresce anche il vostro numero. Non faccio statistiche, perché il movimento sembra avere una sua statistica, una sua dimensione quantitativa, pur puntando a una dimensione qualitativa. Punta alla qualità o alle qualità, ai valori, a un sistema di valori, ma è bene se uno cammina con un altro, se la qualità sposa anche la quantità e la quantità sposa la qualità: è un buon matrimonio.
Devo ringraziarvi per questa visita. Avete scelto bene la giornata, perché è abbastanza fredda e bisogna cercare il modo di riscaldarsi. Avete scelto, poi, una giornata significativa per diverse circostanze. La prima è che io sono appena tornato da un viaggio molto lungo e molto ricco di emozioni. Per me stesso questo viaggio è stato una grande scoperta e ringrazio il Signore che ci ha detto: andate nel mondo universo.
C’è poi un’altra circostanza, quella del 13 maggio, che è sempre significativa, evocativa. Sì, parla della Provvidenza, si parla della vita che mi è stata donata - se così posso dire - una seconda volta. Pur rimanendo sempre la stessa unica vita, in un certo senso mi è stata data per la seconda volta.
C’è anche un’altra circostanza che voi, garbatamente, con grande delicatezza e con i fiori, avete sottolineato: cioè il tempo corre e io devo concludere - volente o no - un altro anno e aprirne un altro. Così corre la vita e questo corso è irreversibile. Ma pure il compleanno si celebra. Vi ringrazio di aver anticipato il mio compleanno e la sua celebrazione.
Vi sono grato in modo speciale, per l’impegno con cui vi siete dedicati all’Anno Santo della Redenzione e specialmente al Giubileo dei giovani. Vi siete dedicati, assieme ad altri, a questa iniziativa, curandone la preparazione in solidarietà con i diversi movimenti giovanili. Si sono visti i giovani tramite i diversi movimenti, ma si sono visti i giovani in cammino verso quella data del 1983-1984, la data del grande Giubileo, anniversario della redenzione. Si sono visti i giovani in cammino verso la riconciliazione, perché l’Anno Santo era segnato col segno della riconciliazione. Noi vediamo la necessità di un’umanità più riconciliata, meno divisa. Per realizzare una tale umanità dobbiamo abbandonare alcuni schemi ideologici rimastici dal passato a ritrovare quello che è essenziale, che è identificabile nella persona umana, con la vocazione umana, con il destino umano. Sempre, nell’economia divina, possiamo ritrovare la riconciliazione, che significa anche salvezza dell’uomo, dell’umanità, dei diversi ambienti. Penso che i giovani, che con tale impegno e con tale entusiasmo hanno celebrato l’Anno della Redenzione, il grande Giubileo, non lo hanno celebrato esclusivamente nel suo senso tradizionale, ma hanno annunciato qualche cosa per il futuro, il cammino con cui si vuole progredire verso il futuro se questo deve risparmiare a noi tutti grandi dolori, se deve essere un futuro migliore, un mondo migliore, un’umanità migliore. Così io ho capito la vostra risposta: è stata eccezionale.
Durante questo Anno della Redenzione ci sono state diverse risposte, molte risposte. Si è cercato di interpellare diversi ambienti, ma si deve pur constatare, alla fine, che la risposta data dai giovani è stata eccezionale: ha superato ogni altra risposta. E ve ne sono state pure di significative ed eloquenti, come quella delle famiglie, quella del mondo del lavoro. Ma certo quella dei giovani è sembrata superiore, più significativa delle altre. Vi sono grato di questo e della vostra collaborazione che mi ha dato conferma dell’intera iniziativa dell’Anno Santo così pensato e realizzato. E ci sono anche domande e progetti per riprendere simili esperienze.
Abbiamo bisogno di tali esperienze. Tramite queste ci sentiamo Chiesa, ci vediamo come Chiesa. Alcuni forse vorrebbero che la Chiesa fosse più nascosta, meno visibile: ma questo non è giusto. La Chiesa deve essere visibile, soprattutto per se stessa: dobbiamo vederci tutti noi che siamo Chiesa, non possiamo essere nascosti l’uno all’altro con la nostra personale religiosità interiore, senza comunicazione, senza comunione, senza apostolato. Noi dobbiamo essere una Chiesa visibile. Ed è bello che voi cerchiate di essere una Chiesa visibile anche trovandovi in circostanze e Paesi diversi, come l’Uganda o il Cile di cui mi avete parlato stasera, o altrove. Dobbiamo essere visibili per noi stessi perché questa visibilità rende più facile la comunione. La comunione tra le persone umane non può non essere visibile e la comunione tra noi è legata alla nostra visibilità.
Poi c’è anche un altro aspetto: noi come Chiesa, come cristiani, come ciellini, dobbiamo essere visibili per gli altri. Per gli altri, dobbiamo essere visibili nella società. Accettiamo il fatto che la società è pluralista, che ci sono tanti che pensano diversamente, che hanno un’altra visione del mondo, della vita umana, che hanno un’altra “Weltanschauung”, un’altra filosofia. Ma se lo sono questi altri, perché non possiamo essere anche noi visibili e cercare per mezzo di questa nostra visibilità lo spazio dovuto?
Non dico di più. Basta questo per concludere questo incontro in un’atmosfera di gioia e di allegria. E penso che la mia lunga risposta sia stata abbastanza allegra.
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